venerdì 10 aprile 2020

Nicola D’Aloisio, giornalista, critico, scrittore e commediografo: un ricordo a 60 anni dalla scomparsa.


di Lino Spadaccini

Sessant'anni fa, il 10 aprile del 1960, ci lasciava Nicola D’Aloisio, giornalista, critico, scrittore e commediografo. 
Nato a Vasto il 17 dicembre 1886 da Luigi e Lucia Jecco, Nicola D’Aloisio, per oltre quarant’anni è vissuto a Roma, facendosi conoscere e apprezzare negli ambienti artistico-letterari della capitale.
Giovanni Peluzzo nel volume "Scrittori a Vasto", così ne parla: "Il D’Aloisio, figlio della nostra terra, ha trasfuso nell’arte il murmure dei nostri fiumi, l’azzurro del nostro mare, la maestà dei nostri monti e la poesia generosa delle genti d’Abruzzo", e aggiunge, "Ma dove la sua personalità ha trovato più ampio campo di espressione è senza dubbio il Teatro e nel suo Teatro il d’Aloisio riesce

a spaziare oltre la ristrettezza della finzione scenica, sublimando le passioni fino a farne poesia che non esita a divenire dramma umano o favola leggiadra".
Di carattere piuttosto riflessivo e taciturno, D'Aloisio frequenta teatri, tiene conferenze, si occupa di questioni sindacali nell'arte, ha anche un buon successo con le sue commedie, ma, nonostante ciò, si tiene sempre da parte dal grosso pubblico e lontano dai sodalizi letterari. Chiuso nello studio della propria abitazione a via di Porta Pinciana, scrive molto, mettendo nero su bianco tutto ciò che osserva facendone tesoro. "Una sua eleganza particolare, intima, di coscienza, di modi di scrivere e di pensare soprattutto", scrive Marcello Gallian su Il Giornale della Sera, "lo porta a una padronanza della materia, cosa rara in scrittori dello stesso genere. Sostanziato da uno spirito liberale e da un amore verso l'arte, basta vederlo per convincersi sempre più che una sua giovinezza lontana, quello che lo avrebbe dovuto dare coetaneo dei realisti o dei romantici del 1910 o del 1930, gli si risolve negli occhi e nel portamento come un continuo trapasso capace di sviluppi ancora imprevedibili".

La sera del 20 aprile 1910, al termine di un breve corso di recite tenuto a Vasto, viene rappresentato presso il Teatro Rossetti il dramma in un atto "Per non morire". L'autore è il ventiquattrenne Nicola D’Aloisio. Questi i commenti del cronista pubblicati sul giornale Istonio: "Il dramma, vero ed umano, rispecchia una delle più desolanti sventure che affliggono il proletariato – la disoccupazione – causa di tante funeste conseguenze e di tanti dolori nelle famiglie operaie. L’autore, con semplicità di dialogo, e senza ricorrere ad artifizi, è riuscito ad impressionare, a commuovere il pubblico, accorso numeroso alla rappresentazione, terminata fra vivissimi entusiastici applausi. L’esecuzione da parte della Compagnia Mazzeranghe è stata buona, specialmente per opera della sig.na Gemma Mazzeranghi, vera anima di artista, e del sig. Corsini".

Nel 1919, vince il secondo premio al concorso drammatico del Dopolavoro Ferroviario di Roma, indetto dalla Società degli autori di Roma con il dramma in 3 atti "Quando il sogno è finito" (inizialmente presentato con il titolo "Quando ci si desia").
Lo stesso anno viene annunciato, come lavoro già pronto  "Il problema di Amleto", scritto a quattro mani con Temistocle D'Ettorre. Due anni più tardi è la volta della commedia "Il desiderio e l'amore", il cui testo viene pubblicato sulla rivista Commedia della Domenica. L'intesa attività drammaturgica prosegue con l'atto unico "La cena di Pierrette", rappresentato il 13 febbraio del 1924 a Roma nell'Accademia di recitazione Cesare Dandini, e riproposto il 18 gennaio del 1921 all'Arcimboldidi Milano dalla Compagnia Talli. Secondo i critici, si tratta di "un episodio sentimentale e poetico, condotto con grazia, misura e garbo".

Nell'estate del 1924, nel Salotto di Palazzo Altieri di Roma, Ferdinando, Renata e Sandro Morandi, mettono in scena il dramma "Quello che paga".La pièce viene ripresa il 14 aprile del 1927 dalla Compagnia Veneziana di Cesco Baseggio, in occasione della serata d'onore per il noto attore, e rappresentata al Teatro Odescalchi di Roma.
La trama tirata e avvincente viene proposta con abilità e garbo dagli attori. Anna resta vedova. Si dice che suo marito si sia suicidato. Tuttavia cominciano a circolare le voci che in realtà si tratti di un omicidio perpetrato con molta abilità. Per condurre a fondo le indagini, un vecchio magistrato, Roberto, convoca nel suo ufficio Anna e la sottopone ad un drammatico interrogatorio che sconcerta la vedova e la costringe a confessare che in realtà è stato il suo amante a togliere di mezzo l'incomodo marito. Il magistrato è soddisfatto del brillante risultato raggiunto, ma mai avrebbe immaginato quale sarebbe stato il tragico finale. Anna, proseguendo nella sua confessione rivela che il suo amante, l'assassino, è proprio il figlio di Roberto. Il magistrato, malato di cuore, non regge al colpo e muore. Magra consolazione di un padre che non è costretto, morendo, a denunciare il proprio figlio. Buono il successo di pubblico grazie alle eccellenti interpretazioni degli attori Cesco Baseggio e Lia Favretto.
Nel 1925 D'Aloisio vince il 1° premio al concorso Lyceum Romano con il dramma "Una notte di maggio", rappresentato con successo il 27 giugno al prestigioso Teatro Argentina di Roma dalla compagnia Niccoli.

Nel febbraio del 1929 all'Astra di Roma viene rappresentata dalla Compagnia Graziosi la commedia in tre atti "Tutti con gli occhiali, signori".
L'11 giugno del 1932 è la volta di "Fanfan, viaggiatrice di commercio" (Firenze, Ed. Teatro Nostro), un atto unico, tratto da una novella di Dina Galli, rappresentato a Roma, presso il Teatro Baracca e Burattini, dalla Compagnia dei cinque autori. La trama gioca sull'equivoco portato avanti nei confronti di Fanfan, vezzeggiativo di Francesca, da un maturo casanova (Tarquinio), che le fa credere di poterla imporre come attrice. Inizialmente la ragazza sembra cadere alle lusinghe dello spasimante, anche grazie alla presentazione di un anello con un grosso brillante. Ben presto il gioco del seduttore viene scoperto e la ragazza si ribella e lo respinge. "Con tutta probabilità", scrive Tito Spinelli nel volume "La ferrigna calcina", "D'Aloisio intuiva, in quegli anni, la vitalità di un fenomeno artistico dalla sempre più larga e che, dopo l'avvento del sonoro, s'andava imponendo con i suoi miti e i suoi divi. Da attento psicologo ne ha fatto teatro educativo, riservando al cinema una connotazione non sgradevole come arte, ma ironizzando sulla sua organizzazione approssimativa e cialtronesca per trarne il tipo umano di riferimento".

Il 1° febbraio del 1931, presso il Teatro Apollo di Roma, la Compagnia della Fiaba diretta da Gian Maria Cominetti e Giovanni Petti mette in scena "L'Avventura di Jò-Jò" (Lanciano, Carabba, 1936), fiaba in tre atti di Nicola D'Aloisio musicata dal M° Dino Janita.
Ada Negri definisce questa deliziosa composizione una "gentilissima e fresca fiaba per teatrino di bambini". "In due aggettivi", si legge sulla rivista "La Donna", "l'illustre scrittrice ha saputo veramente esprimere il carattere di questa narrazione musicale e farne risaltare i pregi maggiori. Un delicato senso di gentile freschezza emana dai versi che scorrono armoniosissimi ed accompagnati dalle musiche di Dino Janita, devono veramente acquistare un sapore delizioso".
Cantano le Ninfe boscherecce:

Gri, gri, gri!!!
Tutti i grilli fan così.
Forse contano le stelle ne le notti belle
E le lucciole sorelle
Che s'accendono sui prati
Sopra i fiori addormentati…

Una fiaba fresca e frizzante, quella scritta dal D'Aloisio, con una dedica speciale:alla santa memoria della madre, grande amica dei bambini. 
In virtù dell'enorme successo, la rappresentazione viene replicata per più di trenta sere di seguito.
Tra le altre commedie e romanzi, pubblicate o rimaste inedite, abbiamo "L'amante" (commedia), "Quando il sogno è finito" (commedia), "Cuori nel mondo" (commedia), "La madre" (dramma), "Valle violata" (romanzo), "Quest'anno non avremo S. Lucia" (Roma, Edizioni Argo).
Oltre che autore, Nicola D’Aloisio è un critico teatrale molto stimato. Tra i principali artefici della rivista Aprutium, si occupava di inviare alle riviste le cronache di opere teatrali alla cui prima egli assisteva personalmente.

A proposito del teatro, nel 1931, sulle pagine dell'Almanacco degli Artisti, curato dal fratello, il pittore Carlo D'Aloisio da Vasto, scrive: "Ogni interpretazione è un fatto spontaneo. Gli elementi che un attore pone volontariamente e dopo lunga riflessione in un carattere non sono i migliori : la parte più interessante è quella determinata dal caso, dalle speciali condizioni fisiche e psicologiche dell’interprete:e cioè quel quid variabile e indefinibile che costituisce la personalità di un artista. I risultati d’una analisi lenta e accurata, magari profonda, non possono figurare, con il loro valore vero, alla ribalta. Il teatro è sintesi : una sintesi formidabile e vigorosa che non si può compiere che in uno stato di esaltazione".

Per le sue grandi capacità oratorie e indubbia preparazione culturale, Nicola D’Aloisio è stato anche un apprezzato conferenziere. Di lui si ricordano importanti discorsi (alcuni dei quali sfociate in pubblicazioni) tenuti all’Associazione della Stampa, alla Dante Alighieri, al Lyceum Romano, all'Accademia Forense di Cultura e alla Università Popolare, su personaggi quali Gabriele D’Annunzio, Giovanni Cena, Fausto Maria Martini, Lucio D’Ambra, Alfredo Baccelli (Lanciano, Carabba, 1938), Cesare Giulio Viola, Giacomo Di Giacomo (Roma, Atena, 1940), Luigi Chiarelli (Roma, Biblioteca de L'Eloquenza, 1948), Luigi Antonelli e Ugo Betti (Roma, Edizioni Della Conchiglia, 1952). Diversi gli interventi anche nella sua città natale, Vasto, a cui era molto legato e tornava sempre molto volentieri.

Il 22 gennaio del 1956, invitato dalla Società Amici di Castel Sant'Angelo di Roma, in occasione del centenario della nascita di Giovanni Pascoli, tiene un’importante conferenza sul poeta romagnolo e, come riferisce il giornale vastese Histonium, "Interrotto spesso dalle vive acclamazioni del colto pubblico che affollava il salone di Castel S. Angelo, il conferenziere ha ottenuto un grande successo nella declamazione delle migliori liriche del Pascoli e particolarmente de La cavallina storna".

Diverse le novelle pubblicate in varie riviste. Solo per citarne alcune, ricordiamo "Più nulla" e "Una notte di Natale", su "Terra Vergine", "Sogno dell'ultima sera di Carnevale", su Il Giornale d'Abruzzo e Molise,"Scaricalasino", in "Il Monastero di S. Gallo di Paolo Monacelli" (Carabba, Lanciano, 1904). Molti gli articoli interessanti, alcuni dei quali riguardanti Vasto e l'Abruzzo, pubblicati in riviste nazionali o locali della propria terra d'origine, come l'Istonio, diretto da Emilio Monacelli. Ricordiamo "Il monumento a Gabriele Rossetti nella città di Vasto" (Varietas, n.10 1926), "La chiesa di S.Maria di Collemaggio in L'Aquila" (L'Abruzzo, n.12 1920), "Diritto sulla trincea: Carlo Mayo" (Histonium n.4 1952), "Un maestro dell'Ottocento: Filippo Palizzi" (Histonium n.1-2 1956), "All'Esposizione Artistica di Roma: Dante Gabriele Rossetti" (Istonio n.35 1911), "Antonio De Nino è morto!" (Istonio n.10 1907), "L'Epigrafe dedicata a Giuseppe Ricci, Antonio Bosco e Gaetano Marchesani" (Istonio n.26-27 1907), "L'Abruzzo all'Esposizione di Roma" (Istonio n.24 1911), "La poesia di Alfredo Luciani" (Istonio n.25 1911), "Tito Acerbo" (Il Tevere, 1932), "Solitudine e Avventura di Romualdo Pantini", (pubblicato in 8 puntate nel 1950 sull'Histonium), oltre a diverse altre recensioni pubblicate per l'amico. A tal proposito, presso l'Archivio Storico "G.Rossetti" di Vasto, nel Fondo Pantini, è conservata una lettera scritta da D'Aloisio il 18 febbraio del 1912, una settimana dopo il successo del "Tiberio Gracco" rappresentato all'Argentina di Roma:

Carissimo Romualdo,
sono venuto a cercare di te anche ieri, ma non ti ò trovato.
Per "Il Tirso" ci siamo ricordati un po' tardi; la scena bisognava passarla in redazione mercoledì, al più tardi. Io t'avevo sollecitato al riguardo. Poco male, del resto, che dal critico del "Tirso" mi aspettavo un articolo più lungo e meglio redatto.
Ho letto stamani l'articolo di Giulio Caprin sul "Marzocco" e l'altro sul "Fanfulla della domenica" e l'altro su "La Maschera".
Ancora congratulazioni infinite e auguri sinceri di sempre maggiori vittorie.
Se ài bisogno di me, scrivi: Via Sicilia, 207. Sono sempre disposto a scriverti in tutto quello che posso.
Attendo, quando che sia, i "Canti di vita". Tengo molto ad averli.
Cordiali saluti in tutta fretta.
Aff.mo Nicola D'Aloisio

Durante il primo conflitto mondiale cura la pubblicazione "A beneficio delle famiglie dei richiamati" e una contemplazione di guerra dal titolo "Sulla soglia dell'ombra (Roma, Ars Nova, 1919), con la copertina disegnata dal fratello Carlo.

Nel 1919, per la Modernissima di Milano, pubblica il profilo di Fausto Maria Martini, figura di intellettuale e scrittore. Partito come volontario per la guerra, Martini viene ferito due volte: la prima in modo lieve, la seconda in modo serio, tanto da essere quasi dato per spacciato. Alla fine si salva restando per tre anni in ospedale. "Mio caro Fausto", scrive D'Aloisio nella dedica iniziale, "…Ho taciuto (e avrei potuto dire tanto) della tua vita gloriosa di soldato, non volendo che essa sopraffacesse in alcun modo il valore della tua vita di poeta. Ma non so non ricordare senza sentirmi inumidire il ciglio la tua medaglia conquistata in guerra, che ti tolse con l'agilità il privilegio della giovinezza". Dieci anni più tardi, nel 1929, una nuova edizione vede la luce per i tipi Palladino di Mantova.
Intensa anche l'attività poetica del D'Aloisio. "Dai suoi primi tentativi giovanili alle sue affermazioni della maturità", scrive Giovanni Peluzzo nella sua rubrica "Scrittori a Vasto", pubblicato sull'Histonium (n.22 1959),"egli non ha mai tradito quei principi di estetica che non possono mutare col mutare della moda, ma rimangono basilari nel pensiero e nella concezione dei veri grandi poeti".

Nel 1905 per la Tipografia E.Ducci di Firenze pubblica i versi "Echi de l'anima". Molte altre le poesie inviate e pubblicate dal settimanale Istonio, tra il 1906 ed il 1911. Per assaggiare i versi di D'Aloisio abbiamo scelto due composizioni che riguardano la terra d'origine.

"Naiade d’Abruzzo"

E ti conobbi, o sogno, e accarezzai
Nel dì di primavera,
e su la fronte pura ti baciai
mentre scendea la sera.
Del mio vano lamento?
Disconvolta, allibita
Tu fuggisti affannosa,
febbrile di spavento,
come l’antica Artemide
perseguitata dagl’immondi fauni.
Fremeanl’onde
chiacchierin d’amore,
Biasimanti di pudore
De la tua fuga oblitera,
incalzata dall’ombra d’un Mistero,
ebbro di solitudine gelosa,
per la costa odorosa…
E con le chiome al vento…
           
            ***

"O Vasto mia superba"

D'ogni dolcezza l'anima è ripiena,
albeggia su l'adriatica riviera
la bianca luna ne la grande sera:
sera d'agosto più che mai serena.

L'onda a la spiaggia gorgogliando mena
la brezza carezzevole e leggera,
e in grembo al vaporoso aere che annera
del lido appar più candida l'arena.

Vorrei cantare la tua gloria antica,
o Vasto mia superba, e i fasti, e tutti
i Grandi nati ne la terra aprica;

ma sul mio labbro muor l'epico accento,
ché troppo bianca su i cerulei flutti
appar la luna e troppo dolce è il vento.

Nella produzione poetica di D'Aloisio sono da segnalare anche alcune composizioni prettamente nazionalistiche, pubblicate su riviste fasciste dell'epoca, alcune delle quali raccolte nel volume "Poeti in Camicia nera" (Roma, Tipografia F.lli Pallotta, 1934), e parliamo di "Ode all'Alpino", "Sul Gianicolo" e "Canzone a Tito Menichetti".

Nicola D'Aloisio è anche autore dell'inno "Il saluto alla bandiera", musicato dal maestro Alessandro Ravera, cantato negli anni trenta nelle scuole italiane. Ecco il testo:

Salve bandiera – d’Italia gloria,
simbolo ardente – de’ nostri cuor;
per te rifulge – tutta una storia
d’eroiche gesta – di santo amor.

Salve, salve, o tricolore
dell’italica bandiera,
col fervor d’una preghiera
canta e palpita ogni cuore:
salve, salve, o tricolor,
nostro vanto e nostro amor.

Bella se infiammi – nelle tenzoni
i prodi fanti – di patrio zel;
bella se sventoli – fuori ai balconi
i tre colori – nel glauco ciel.

Salve sempre, o benedetta,
mille volte consacrata,
mia bandiera venerata
a ogni cuor sacra e diletta:
salve, salve, o tricolor,
nostro vanto e nostro amor.

Per te ogni prode – diede la vita
per te ogni madre – figli immolò;
per te ogni donna – fonte infinita
di sante lacrime – prona versò.

Per quel sangue, per quel pianto
che all’Italia dier la gloria
d’ogni splendida vittoria,
alto ognor s’elevi il canto:
salve, salve, o tricolor,
nostro vanto e nostro amor!

Su proposta del Capo del Governo e del Ministro dell'Agricoltura, e con sovrano "motu proprio", nel 1930 Nicola D'Aloisio viene nominato Cavaliere dell'ordine della Corona d'Italia. Una meritata onorificenza che premia l'uomo, il critico di letteratura "dai sani principi e dall'anima seria", così come sottolinea il periodico Il Vastese d'Oltre Oceano. 

Chiudiamo questo lungo e doveroso ricordo dell'illustre nostro cittadino, forse troppo presto dimenticato, con le parole di Giovanni Peluzzo: "Il D'Aloisio, figlio della nostre terra, ha trasfuso nell'arte il murmure dei nostri fiumi, l'azzurro del nostro mare, la maestà dei nostri monti, e la poesia generosa delle genti d'Abruzzo".

Lino Spadaccini






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