martedì 26 gennaio 2016

Porta Nuova: un quartiere senza speranza?

Prima la mutilazione inferta dal movimento franoso del 1956 che sconvolse l'intero quartiere, poi la demolizione dell'antichissima chiesa di S. Pietro Apostolo, le cui fondamenta poggiavano sul tempio dedicato alla dea Cerere; ancora, l'abbattimento dell'edificio dell'Istituto Commerciale Mercantile e per Geometri Filippo Palizzi, che ospitava anche il Gabinetto Archeologico; la distruzione, per evitarne la rovina, dell'asilo e del- l'edificio delle Monache alla passeggiata adriatica.
II crollo degli edifici che ospitavano la sede degli Uffici Finanziari (del Registro e delle Imposte Dirette), delle Poste e dell'intero quartiere "marinaro" che esisteva attorno alla chiesa di San Pietro.

 Queste le vicende drammatiche e memorabili che hanno determinato lo spopolamento della zona delimitata da Corso Palizzi, Corso Dante, fino a Porta Nuova, conseguenza di una penosa realtà di cui oggi si ha un ricordo indelebile, non solo nella configurazione urbanistica, bensì,
soprattutto, negli affetti familiari. L'assenza di poli di attrazione umana, quali, come su ricordato, sedi di uffici pubblici, l'emigrazione demografica, hanno letteralmente sfigurato il volto di un intero quartiere della città, il più popolato per tradizione, fino a 40 anni fa.

 La "morte" del quartiere detto di "Porta Nuova", è conseguenza anche della sparizione di negozi di genere di largo consumo, che, purtroppo, sono stati "polverizzati" da una condizione di inattività. Più volte si è tentato di "rivitalizzare" questo tratto urbano che, per quel che rimane, conserva ancora le tracce del tipico tessuto viario romano, quando Vasto si chiamava Histonium ed era fiorente municipio con autonoma amministrazione da Roma capitale.

 Si è creduto, ingenuamente, di recuperare tradizione e cultura urbanistica, imponendo 30 anni fa un primo piano di ristrutturazione del centro storico, il Piano Spagnesi, che, invece, in realtà, non solo ha contribuito a imbalsamare il patrimonio edilizio esistente, non consentendosi il benché minimo intervento, ma ha provocato l'esodo di quella parte di popolazione che era rimasta e che sperava di poter sopravvivere contando in un recupero decoroso, e più confacente alle odierne condizioni di vita, delle abitazioni.

 Dopo il Piano Spagnesi c'è stato un intermezzo di vacatio legis, per poi lanciare il Piano di Recupero Cervellati, varato definitivamente di recente.

 Quali, dunque, le speranze?

 Da più parti si lanciano appelli pressanti per salvare dalla morte questo quartiere cittadino, per far sì che la gente ritorni ad abitare le case che vi restano, e che si consenta di poterle ristrutturare e destinarle all'uso decente per una famiglia. Consentire, anche, la localizzazione di adeguati esercizi. In questa opera di "recupero" della città dal degrado ambientale, molto può l'azione degli amministratori. Spetta loro, nel significato di servire gli interessi della collettività che li ha preposti a reggere le sorti della città, ìndicare concretamente interventi idonei a creare l'inesorabile decadimento di un intero quartiere urbano. Fintantoché si parlerà, a vuoto, di progetti irrealizzabili, di belle intenzioni che poi verranno nascoste nei cassetti polverosi della lentocrazia; come è avvenuto ormai per quarant'anni, allora possiamo onestamente affermare che non si opera per la "riabilitazione" morale della città: si fa solo demagogia che non risponde alle attese della popolazione.

 Giuseppe Catania

1 commento:

Unknown ha detto...

Ma il comune è u alleato di chi vuole aprire un'attività? Cerca di motivarli con una formazione artigianale e/o commerciale parlando anche di problemi fiscali legati alla creazione di una bottega o mini impresa? Cose che molti comuni facevano più di trenta anni fa. Solo se rinasce l'attività economica Porta Nuova può rifiorire.
"Tutto il resto è noia non ho detto gioia"