di LINO SPADACCINI
Settant'anni fa, il 14 marzo del 1945, a soli ventisette
anni, veniva strappato alla vita don Giuseppe Cinquina, giovane sacerdote
vastese vissuto in odore di santità.
Ultimo di dodici figli, Giuseppe nacque da Filippo e Rosaria
Baccalà nel giorno di Pasqua del 31 marzo 1918. Di carattere mite e buono
d’anima, intorno ai 5-6 anni, come da suo grande desiderio, divenne
chierichetto. Imparò ben presto come muoversi stando accanto ad Adamo Di Fano
(1917-2010), di pochi mesi più grande di lui, ma già “esperto”. A Giuseppe non
bastava stare sul presbiterio, voleva assolutamente la vestina col merletto che
indossavano i chierichetti e farsi una foto. Dopo poco tempo che i due bambini
avevano stretto amicizia, un giorno si presentò a casa di Adamo la mamma di
Giuseppe per chiedere in prestito la cotta da chierichetto, perché doveva
confezionarne una per il figlio.
L’amicizia tra i due coetanei proseguì anche negli anni a
seguire, fino a quando le strade inevitabilmente si divisero. L’ultima volta
che Adamo Di Fano vide Giuseppe fu nel 1937, prima della partenza per il
servizio militare in marina. Quando tornò a Vasto, dopo la guerra e otto anni
di prigionia in India, apprese che l’amico d’infanzia era diventato sacerdote,
ma poco dopo era volato in cielo. Purtroppo, non ebbe la possibilità di
riabbracciarlo, ma lo portò sempre nel suo cuore, non mancando di raccontare a
tutti la bontà e la generosità del piccolo chierichetto che desiderava tanto
indossare la vestina col merletto.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla vocazione
sacerdotale di Giuseppe Cinquina.
Pietro Suriani, suo professore alla scuola di avviamento,
così lo ricordava: “Tra i banchi della
scuola rivedo un giovinetto mingherlino, dai capelli biondi, dal viso angelico,
con occhi sorridenti, silenzioso, serio, sempre ben preparato nelle lezioni: si
chiamava Peppino Cinquina. Spiccava per la bontà, modestia, intelligenza e non
era raro il caso che con una buona parola, con un consiglio retto ed oculato
ponesse termine a diverbi tra compagni, riconducendoli sulla buona strada”.
Lasciata la scuola, a 14 anni, Giuseppe bussò alla porta di
don Romeo Rucci confidandogli la sua vocazione. Così ricordò quei momenti il parroco
di San Pietro: “Fissai in silenzio i miei
occhi nei suoi, che, pur sereni nella loro vivezza, scintillavano, come di chi
aspetti ansiosamente una risposta che acquieta. – Perché non vai dal tuo
parroco? – gli domandai”. Giuseppe rispose che non lo comprendevano e non
volevano responsabilità. Don Romeo, da buon pastore, non diede immediatamente
una risposta, ma si recò prima da Pietro Suriani e poi dai padri del Collegio
Istonio, ottenendo sempre la stessa risposta: “Cinquina? Il primo della classe; il più docile; il più attento alle
lezioni; il vanto degli scolari; la consolazione dei maestri”.
Richiamato il ragazzo, Don Romeo lo accompagnò
dall’Arcivescovo Mons. Giuseppe Venturi, che in quei giorni si trovava a Vasto.
“Nell’andare il ragazzo non si poteva
frenare”, raccontò il parroco di S. Pietro, “mi vinceva nei passi, mi sorpassava, come chi ha fretta di sbrigare un
suo affare che tanto l’agita, e il suo incedere mi sembrava il volo di una
colomba verso il nido desiderato: tanta era la frenesia, che egli aveva di
incontrarsi col Superiore”. Don Romeo venne ricevuto dal vescovo, mentre
Giuseppe rimase ad attendere fuori dalla porta. Dopo la presentazione, Mons.
Venturi non ebbe esitazione ad accettare il ragazzo nel Seminario e quando
chiese di farlo entrare, aperta la porta, lo trovarono in ginocchio a piangere,
e giustificandosi disse: “Perché ho già
udito che Vostra Eccellenza mi accoglie subito in Seminario”.
La breve vita di Giuseppe Cinquina fu caratterizzata molto
spesso dalla sofferenza e dalla malattia:
già nel 1941, quando era ancora in seminario, si ammalò di un grave
morbo. In una lettera indirizzata al fratello Gaetano, così accusava le prime
avvisaglie del male: “…Da qualche mese la
mia salute va a rovescio: cioè sono riapparsi gli stessi disturbi di stomaco in
un modo però abbastanza violento e ribelle a qualsiasi trattamento; di più mi
assalgono dolori intestinali. Dati questi sintomi, mi sono recato subito a
farmi visitare accuratamente dal medico-primario Prof. Natali, il quale mi ha
ordinato senz’altro la radiografia. Presso l’ospedale civile ho subito quattro
esami radiologici allo stomaco e all’intestino e il risultato è precisamente
questo: stomaco ipertonico: nessuna lesione. Colite spastica con risentimenti
appendicolari…”.
Dopo aver ultimato gli studi, Giuseppe Cinquina venne
ordinato sacerdote il 28 giugno 1942, a Pescara, nel Tempio della
Conciliazioni, insieme ad altri otto seminaristi.
Il 5 luglio, data della prima messa solenne, la chiesa di
San Pietro era stracolma di gente visibilmente emozionata, così come don Romeo
e tutti gli altri sacerdoti che gli erano stati vicini durante il percorso
vocazionale.
Nei suoi tre anni di apostolato fu prima vice parroco a S.
Maria Maggiore, poi cappellano presso l’Ospedale Civile di Vasto e dall'ottobre
del 1944 parroco a San Salvo. “Giorno per
giorno”, scriveva don Romeo Rucci, “e
in tutte le ore del giorno egli era intento a ricercare i poveri, i bisognosi,
gli agricoltori, gli operai, quei lavoratori, dei quali si era immediatamente fatto
coraggioso protettore, solerte maestro e carissimo amico, e a sera se li vedeva
attorno in numero sempre crescente, primo e già prosperoso seme delle
confortanti opere parrocchiali, che l'intuito e l'energia del suo zelo avevano
organizzate. Fatigatus ex itinere di tutto il giorno, era molto raro che si
prendesse riposo sufficiente. Qualche non infrequente chiamata al letto dei
moribondi nelle freddissime notti, le brine delle mattine d'inverno, che tutte
egli trascorreva davanti all'altare della sua Chiesa, la fatica indefessa lo
ferirono subito ed irrimediabilmente”.
Dopo poche settimana dalla nomina a parroco, cominciò a
manifestarsi il terribile male, il linfogranuloma (o morbo di Hodgkin). Ogni
rimedio risultò vano. Si racconta anche di un nuovo medicinale, in dotazione
degli “alleati”, che avrebbe potuto aiutare il sacerdote vastese, ma la
risposta fu negativa in quanto il medicinale era riservato alle truppe di
occupazione.
Don Giuseppe sopportò la grave malattia per settantaquattro
giorni. Giorni terribili, passati con l'abituale sorriso, non mancando di
ringraziare tutti per ogni piccolo servizio e gentilezza. A coloro che si
dimostravano preoccupati per la sua salute, soleva dire: “Non pregate per me, io pregherò per voi e per la vostra salute. Per me
sia fatta la volontà di Dio”.
Giuseppe Cinquina rese l’anima al cielo il giorno 14 marzo
1945 alle tre del mattino. La notizia si sparse in breve tempo per tutta Vasto
e nella vicina San Salvo. La camera ardente allestita in via Osidia, fu un continuo
pellegrinaggio di sacerdoti, amici, e tanta gente comune
che per l'ultima volta ha voluto rendere omaggio a quel prete buono, che per
tutti aveva un sorriso e una parola di conforto.
Il rito funebre si svolse nella Cattedrale di S. Giuseppe,
presieduto dal parroco don Felice Piccirilli, mentre l’omelia venne tenuto da
don Salvatore Pepe, allora vice parroco di don Romeo Rucci.
E chiudo con le parole di don Gaetano Meaolo, che nel 1978
ha pubblicato un bel volume dedicato a don Giuseppe Cinquina (un’altra
biografia è stata pubblicata nel 1995 da don Antonio Bevilacqua): “In una parola, D. Peppino Cinquina… è più
vivo e attuale che mai. Ed è compito di tutta la nostra comunità, specialmente
diocesana di Chieti e Vasto, di far tesoro della sua vitalità, diciamo meglio
della sua santità, per farne alimento vivo della propria vita spirituale”.
1 commento:
Felicitazioni al giornalista e studioso vastese, Lino Spadaccini, che ha proposto una ricerca, a dir poco esemplare, sulla Figura di Don Giuseppe Cinquina di Vasto, vissuto e morto in odore di santità.
Grazie anche alla bella Ricerca di Lino spadaccini la Figura di questo "grande" prete vastese dovrebbe essere riscoperta, e dai religiosi ed insieme dai laici, a iniziare dai nostri giovani studiosi.
Morire a 27 anni, essendo già prete e già con un grosso patrimonio di affetti sulle spalle, è cosa che dovrebbe far fermare l'attenzione del più distratto dei vastesi; eppure pochissimi oggi in città sanno rispondere alla domanda di chi fosse don Cinquina.
Ma l'Opera, la Figura e la fama di questo giovane prete non è passata inosservata dal nostro ordinario diocesano, mons. arcivescovo Bruno Forte, il quale che ha dato mandato al prof. don Antonio Bevilacqua, perché facesse una ricerca a tutto tondo sul giovane Sacerdote scomparso: ancor oggi, c'è chi si reca alla sua tomba per chiedere una grazia e offrire un fiore e un pensiero.
Ancora complimenti a Lino Spadaccini ! E' auspicabile che sul giovane prete vastese il clero e/o i giornalisti locali tengano un conferenza pubblica: sarebbe una lezione per tutti e in tutti i sensi.
prof.mugoni
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