Verso il Santo Natale/5
IL TEMPO E LA MEMORIA a cura di Beniamino Fiore
Piazza L. V. Pudente sotto la neve (dipinto di Michele Provicoli) |
(una delle virtù delle genti
del Sud è quella di andar fieri della propria testa dura).
Faceva freddo nella grande casa
sull'antico corso e quando ci si riuniva a tavola i larghi bracieri di rame e
ottone, posti sotto il tavolo, ci arrostivano le suole delle scarpe, lasciandoci
le spalle gelate.
Mia madre, più austriaca che
lombarda, si stava organizzando per il nostro primo fine anno abruzzese: avremmo
passato le vacanze di Natale nel paese sul mare.
“Signò –viene e dice la
figlia di zì Rosa- c’stenne li zampugnare, se “tu” gli dai cento lire
vengono a suonare per “noi” ogni sera, da oggi fino a Pasqua epifania !”-
Alle sue spalle due lunghi visi aspettavano muti.
Erano passati nemmeno quattro anni
da quando sulla martoriata linea Montecassino-Ortona era finita la guerra e gli
occhi dei due sembravano contenerne ancora tutti gli spettri e prima e più forte
di quello della paura, vi brillava quello di una fame non ancora dimenticata e
forse non ancora risolta. Non so quanto valessero le nuove lire del ’49, ma la
vastità del tarlato sorriso e l’energico soffiare negli strumenti sembrarono il
ringraziamento a quel compenso, che mia madre aveva accordato e che,
verosimilmente suggerito dalla astuta vicina, sembrava essere non del tutto
sperato.
Se l'odore di pecora era
inequivocabile, gli improbabili pastori, sotto le pelli d’agnello, erano ancor
meno musicanti ed il loro “piva piva” pur se fortemente suggestivo, fu
indiscutibilmente una autentica “esecuzione”, beninteso per le nostre orecchie.
Lo strazio armonico e la sofferenza degli strumenti proseguirono, identici a se
stessi, per le nove sere successive.
Non servì a nulla neppure
rientrare più tardi: fedelissimi alla rossa banconota, i due sedevano sulla
scala, -ineluttabili e riempiendo l'androne della genuinissima fragranza ovina.-
Piazza Verdi sotto la neve (dipinto di Michele Provicoli) |
E finalmente arrivò la sera di
Vigilia, sul tavolo della cucina, arrivata per vie misteriose, forse dal lago di
Lesina, brillava larga e bassa la scatola del capitone, lo studio di mio padre
aveva le maniglie sigillate da prudenti e misteriosi nastri rossi.
La temperatura si era un poco
rialzata e fuori prese a nevicare trascinando in basso il fumo acido e odoroso
della sansa d’ ulivo che già bruciava nel forno di via Laccetti. Nella casa
qualcuno aveva buttato le bucce di un mandarino nei bracieri e il profumo
dolciastro stagnava sotto le alte volte. Sembrava proprio il Natale di li
cunte (lu cunte di li cunte = il racconto dei racconti, una vecchissima
edizione di favole, in parte pagane, tramandate dalla notte dei tempi): a
lato del presepe e del più dolomitico pino, era pronto il fieno per le renne,
con accanto il bicchiere di vino rosso per il vecchio Nicola e all'ora fissata,
puntuali, arrivarono i musicanti; questa volta non entrarono nelle case, per la
grande occasione lo spettacolo era gratuito e offerto a tutti e la musica saliva
dalla strada …”oh quanto ti costòoò l’aveerci amaàato” senza alcuna
stonatura…forse era il pezzo forte e l’avevano tenuto da parte, forse la neve
attutiva le dissonanze o forse…… forse era “solo” Natale.
“Bon Natale signuri’, buon
Natale a tutt'quente li cristìiéne!” gridava lo zampognaro dalla strada col
cappello in mano. E qualche finestra si apriva e calava un cestino con dentro
qualcosa: un dolce, una bottiglia, qualche moneta.
Quell’anno mio padre, medico a
Milano, aveva curato il “cumendatur Vergani”, all’epoca noto produttore
di torroni e questi, in occasione delle feste, ci aveva inviato una confezione
che non esito a dire faraonica dei suoi prodotti. Mia madre, coinvolta dalla
magia del momento prese -ricordo- più di una banconota, le fissò con un elastico
al torrone più grosso -pericolosamente vicino al chilo- tornò al balcone ma,
inconsueta alle usanze locali, non avendo cestino e zocarella
(cordicella), non poté che lasciar cadere l’improvvisata strenna, ………..
...”Tl---lack !!” -risuonò
il decumano-……… l’impatto del candito, da quasi dieci metri di altezza aveva
incontrato -con involontaria, ma non meno teutonica e comunque millimetrica
precisione- il capo scoperto dello zampognaro! –
Perfino i fiocchi di neve
sembrarono fermi nell’aria per un lungo attimo poi, liberatorio e tutt’altro
che ovattato esplose il grido “epp’lamad…..”, ma non si capì
null’altro: si udì solo la melodia acuta e straziata della ciaramella ….TU
SCENDI DALLE STELLEEE !!“: col collo dilatato dallo sforzo, l’intuitivo
quanto tempestivo pifferaio aveva coperto, con la sua nota più alta, l’ancor più
laico e blasfemo fonema.
La Santa notte non fu così
profanata, o se lo fu il Cielo non ne seppe nulla. - “Grazie, grazie
signurì!” ebbe ancora la forza di gridare. Poi, senza più fiato nei polmoni
completamente svuotati, diede di gomito nel fianco dell’amico dolorante, indicò
il denaro a terra, si tolse anche lui il cappello... ma con molta prudenza...
e senza perdere d'occhio i movimenti di mia madre,..... ...
Dopo un breve conciliabolo e il
passamano delle banconote spartite, i due ripresero a torturare la zampogna e si
incamminarono verso i Tre Forni, giù in direzione di San Pietro. Uno avanzava il
piede un pò incerto nella neve, massaggiandosi contemporaneamente la pelle più
chiara della fronte, proprio là nel punto dove finisce l'irreversibile
abbronzatura del contadino.
Ma dalla sua sacca, a tracolla del
tabarro, accanto ad una bottiglia verde tappata con una pezzuola e uno sbrocco
di legno, brillava di carta stagnola uno dei due pezzi di un lungo, grande,
candido e………….. nordicissimo torrone.
(un Vastese)
2 commenti:
Che bei ricordi quando ero ragazzo a "lu Uast" e mi ricordo quei zampognari...bravissimi...Franco Smargiassi...dalla lontana Australia...
Franco...ma quelli mica erano "zampognari" erano "scupinare"!!!!!!!
Buon Natale di cuore!!!!
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