lunedì 29 novembre 2010

Una poesia di novembre di Giuseppe F.Pollutri

COL VENTO: Parole ‘usate’, per un ‘sentimento del tempo’, che non è soltanto individuale o fisico.



Col vento
Per essere in ogni momento
di scrivere contento
se non del vento in mare.

Io non ho che un remo solo
per battere l’onda ancora.

Ci vorrebbe aria nuova
per le strade e fra le case
fino su ai campanili,
ma i poeti
a dirlo sono degli illusi
e io ho soltano mani nude
da battere a chi recita
solfe solite,
spergiuri tanti e litanie.
Io non ho che un liscio remo,
io non ho che parole usate,
e se più non applaudo
qui al teatro,
scusate ...
sto aspettando solo di andare,

col vento, contento di andar via.

Giuseppe F. Pollutri, nov. 2010

3 commenti:

maria ha detto...

Certo, se ci fermassimo ogni tanto a guardare e gustarci il volo di una farfalla, di un passerotto, fosse pure di un piccione oppure se ascoltassimo il volo e l'aria che tranquillamente sposta rinnovandola il solito gabbiano che si usa per far solitamente più poesia, alcune volte senza nemmeno conoscerne le abitudini e la vita di questo...
Forse, troveremmo da soli aliti di vento e di aria nuova.... Senza per forza di cose aspettare di andare via....
Parole al vento, ovviamente le mie...

giusfra.poll ha detto...

Certo Maria, è bello, è confortevole, spesso salutare, essere contenti di vivere e lasciarsi vivere nel vento. Poi, vedi, capita il giorno appresso alla scrittura di questi poveri versi, che qualcun altro (Monicelli) ha deciso di andarsene, senza aspettare l'estremo momento...
Capita dunque che l'uomo non riesce a vivere senza avere più motivo di farlo, per un 'aria' che non è più quella del vento ( aperto, lieve o squassante, sulle nostre 'vele' dispiegate in cielo, in terra e in mare), ma tritume di discorsi di gente 'spettacolante' ma in sostanza priva di umanità vera. Il vuoto non è aria ...vento.
Ciao, Pino Pollutri

maria ha detto...

Giusfra, se avessi dato retta e sempre, al tritume che c'è sovente, in questo millennio, ma già da molti anni prima, in giro,
che imperterrito, il tritume, e le genti che lo producono spazzano via quel vento... avrei scelto di smettere di vivere da molti anni addietro, da prima ancora di sapere che un giorno avrei avuto anche un figlio...

Di fronte ad una malattia devastante, non mi pronuncio, non giudico... ho visto andare via alcune persone al termine di questo tipo di malattia e non saprei... alcune le ho viste lottare e vivere più a lungo, altre le ho viste abbandonarsi al loro destino comunque fino alla fine... In ogni caso (nei casi che ho vissuto da vicino) ha vinto la malattia e questo è triste! Ho compreso le motivazioni del Monicelli e proprio per questo preferisco non pronunciarmi se non con il "ciao" con cui si saluta chi "va via".

Per il resto del discorso, è triste pensare alla propria esistenza come l'esistenza di una persona inutile, di quelle esistenze che per via di scelte e situazioni è considerata inutile... Ma finchè le farfalle i gabbiani ecc. continueranno a volare, finchè si ha opportunità di vedere e sentire l'odore ed il calore o sensazione di un tramonto il brivido di un alba: non è mai inutile se poi hai opportunità di raccontarlo in qualche modo a qualcuno... Il tritume è sempre in agguato e non è solo per la politica, c'è del tritume ovunque. Bisogna imparare a riconoscerlo, sia se vuoi farne parte o meno, ma mai producendo altro tritume.
(spesso mi chiedo se sia questa voglia di non produrre tritume che fa di una persona... una persona inutile)