venerdì 8 marzo 2019

Centodieci anni fa, l'8 marzo del 1909, moriva a Roma il pittore vastese Valerico Laccetti, autore del celebre Christus Imperat.

di LINO SPADACCINI  

Centodieci anni fa, l'8 marzo del 1909, moriva a Roma il pittore vastese Valerico Laccetti, autore del celebre Christus Imperat.

Dieci anni fa, il centenario della morte era passato nell'indifferenza più totale, ricordato soltanto da Nicola D'Adamo attraverso il blog NoiVastesi, con un articolo e un invito rivolto al Sindaco e l'assessore alla cultura dell'epoca ad organizzare una mostra per l'estate. Non se ne fece nulla.
È davvero un peccato che dopo centodieci anni Vasto, la città che gli ha dato i natali, non riesce ancora a rendergli il giusto tributo attraverso una degna mostra retrospettiva.
Lo storico Vincenzo Bindi nella sua monumentale opera sugli artisti abruzzesi, così parlava del Laccetti: "Verista in quanto si riferisce alla plastica, ed alla rappresentazione del rilievo, della forma e del colore degli oggetti, il Laccetti, è nello stesso tempo profondo conoscitore, come del vario carattere degli animali che a meraviglia ritrae, così della storia che felicemente e con molto acume interpreta".
Valerico Laccetti nacque a Vasto il 18 giugno 1836, da Antonio, capo plotone della Guardia d'Onore del Re, e Glafira Mayo. Nella sua città natale compì gli studi letterari con ottimi maestri umanistici. Sin da giovane mostrò una certa predisposizione per la pittura e,
nonostante non avesse un maestro che lo seguisse, si fece apprezzare per la realizzazione di quadri di piccoli dimensioni, che ne rilevarono un buon talento.
A 17 anni si trasferì a Napoli per continuare gli studi e vinse un concorso con l'opera "Aiace Oileo si salva dalla tempesta". Nel 1855 conseguì un premio per la prospettiva all'Esposizione Napoletana e due anni più tardi entrò all’Accademia di Belle Arti. Nel periodo giovanile dipinse i ritratti del Vescovo di Chieti, Mons. Michele Manzo, e del Vescovo di Larino, Mons. Bottazzi, che nel 1856 venne a prendere possesso canonico della nuova Diocesi di Vasto, a nome dell'Arcivescovo di Chieti. Entrambi i quadri sono conservati nella sacrestia della Cattedrale di S. Giuseppe di Vasto.
Nel 1862 partecipò alla Promotrice di Belle Arti di Napoli con l'opera "Il tarlo", mentre l'anno successivo espose un quadretto con figure di bestiame, che fu acquistato da Re Vittorio Emanuele e destinato alla reggia di Capodimonte.
Incoraggiato da questi primi successi Valerico Laccetti si dedicò esclusivamente allo studio degli animali sotto la preziosa guida di Filippo Palizzi, ottenendo sempre maggiori consensi per la sua naturalezza nel disegnare soprattutto caprette ed asini.
I bassi compensi che ottenne a Napoli, lo costrinsero a trasferirsi a Roma, dove aprì uno studio in via del Grottino al Corso. Particolarmente apprezzati dalla piazza romana furono i due quadri "Catechismo in campagna" e "Soldati vecchi e soldati nuovi".
Il 24 maggio del 1871 sposò Amalia Ponchain, conosciuta a Napoli. Nel 1872 si trasferì a Parigi, dove soggiornò per sette mesi presso l'atelier del concittadino vastese Giuseppe Palizzi in rue d'Amsterdam. Influenzato dalla scuola di Barbizon, i quadri realizzati in questo rispecchiano i temi del naturalismo francese, come il noto "Souvenir de Fontainebleau", dipinto nella foresta francese. Tornato in Italia conseguì altri riconoscimenti all’Esposizione di Vienna con i due quadri "Il ritorno dal lavoro" e "Un parasole in pericolo", mentre nel 1875 partecipò al "Salon" di Parigi con "Pendant l’orage", "Après l’orage", e l'anno successivo con "La campagna romana nel mese di giugno" e "Un moderno Orfeo".
Altri quadri realizzati in questo periodo furono "Ricreazioni", "Una famigliola", "Il racconto della nonna", "La tradita", "Soldati vecchi e nuovi", "Solo!", "La civiltà che fuga l'ignoranza", "Una madre che scherza col suo bambino", quest'ultimo premiato a Roma nel 1878 con medaglia d'argento.
Per un dipinto "esprimente un'Amante, che guardando dalla finestra vuol essere da tutti riguardata", il canonico vastese Francesco Vassetta scrisse questi versi estemporanei, dedicati Al valente artista Valerico Laccetti

La finestra e 'l tuo sembiante
   Ti rivelan dolce Amante;
E guardandoti più fiso
   Me lo dice il tuo sorriso.
Ma a che val delle tue gote
   La beltade senza dote?
Chè non doni il tuo bel core
   Ad un fido Compratore?
Questi, questi, o bella Nice,
   Sol può renderti felice:
Sarai Sposa più gradita
   A Chi dietti forme e vita.

Laccetti realizzò molte opere apprezzate e anche premiate, ma che in realtà non lo  soddisfacevano a pieno. Egli voleva lasciare un’impronta più grande nella pittura italiana. Con queste intenzioni, cominciò a concepire un’opera pittorica di grandi dimensioni incentrato su un tema storico: la civiltà cristiana che pianta il suo vessillo sulle rovine del mondo pagano.
Il pittore vastese impiegò quattro anni di lavoro per portare a termine il suo capolavoro, il "Christus imperat", che gli valse unanimi consensi da parte di tutti i critici d’arte contemporanea. Il Gozzoli così si espresse: "Col Christus Imperat l'animalista è salito a quel magistero che non è solo disegno o colore, ma è storia e pensiero". Gabriele D'annunzio, in un articolo pubblicato nel 1883 dal titolo "Arte e artisti - Christus Imperat!", scrisse: "Il titolo sembra il principio di un inno, lo scoppio di un grande impeto lirico; ha una specie di terribilità grandiosa che scuote: Christus imperat! Prima di vedere il quadro, si trema per l'artista: il soggetto è così alto che a dominarlo ci vogliono ali d'aquila; è un arco che a tenderlo ci vogliono braccia di Ulisse. Codesta irruzione di una fede nuova, di una civiltà nuova a traverso le ruine immani di un'altra fede e di un'altra civiltà; codesto trionfo irresistibile della croce su le ceneri di altri simulacri atterrisce ed empie di stupore".
La scena è davvero imponente con una sua forza espressiva. Alcuni soldati in primo piano avanzano con le fiaccole e le scuri, spezzando idoli e calpestandone le rovine. Sullo sfondo, a sinistra, emergono grandi macerie crollate, che riconducono agli enormi massi precipitati dalla basilica di Massenzio. Al gruppo di barbari si contrappone la calma dei sacerdoti e della folla. Sulla sinistra procedono donne velate. Dietro i soldati, al centro, si erge la croce astata, seguita da un giovanetto col turibolo e un vescovo in preghiera. Ancora più dietro si nota un quadro bizantineggiante con dipinto il Redentore, seguito da una folla di fedeli. Tra i personaggi presenti è riconoscibile la moglie del pittore, Amelia Ponchain.
L’opera doveva essere acquistata dalla Galleria Nazionale di Roma, ma la commissione, avversa al Laccetti, si oppose. Ne approfittò il Comune di Chieti, il quale nel 1885, grazie all'interessamento dell'On. Maranca, riuscì ad acquistare l'opera, che ancora oggi si può ammirare in tutta la sua bellezza nel salone di rappresentanza del Prefetto. Nella stessa occasione gli venne conferita la cittadinanza onoraria dalla città teatina, oltre alla coniazione di una medaglia d'oro. Inoltre, il ministro della Pubblica Istruzione, Guido Baccelli, gli assegnò la commenda dell'ordine della Corona d'Italia, e venne nominato socio onorario dell'Accademia Ludovico Carracci di Bologna.  Filippo Palizzi gli inviò questo messaggio di congratulazioni: "Vorrei esserti vicino per vederti festeggiato, perché nella tua persona da codesti cittadini si festeggia l'Arte: questo è buono indizio di grandezza d'animo e di civiltà avanzata. E gli Abruzzi sono civili e saranno grandi".
Laccetti approfittò dell'occasione per tornare nella sua amata Vasto, che non rivedeva da quando era partito per Napoli, e dove ritornerà ancora nel 1906. 
Nel 1891 il Laccetti realizzò l’ideale prosecuzione del suo capolavoro, il "Christus vincit", tela di modeste proporzioni, sicuramente inferiore al precedente, ma che dimostra un tentativo di fondere la pittura attraverso la poesia, ricreando un quadro psicologico e allo stesso tempo poetico. Esposto alla Permanente di Roma nel 1891, il quadro venne venduto ad un collezionista americano.
Gli ultimi anni di vita, Valerico Laccetti li spese per il teatro. Il suo esordio, con la commedia "Fede coniugale", portato in scena per la prima volta al Teatro Nazionale di Roma l’11 novembre 1897, non fu dei più felici: stroncato dalle severe critiche l’opera venne immediatamente ritirata. Questo insuccesso non lo scoraggiò e, alcuni anni più tardi, diede alle stampe due drammi storici: "Arrigo VIII Re e Papa" (Carabba, Lanciano, 1902) e "Francesco d’Assisi" (Roux e Viarengo, Roma,1906).
Nell'estate del 1906 venne colpito da un male terribile. Morì l’8 marzo 1909. "La sera dell'8 corr.", si leggeva sul settimanale vastese Istonio, "cessava di vivere in Roma Valerico Laccetti. Ma la morte non trovò impreparati quegli occhi, che con tanto fervor di lavoro avevano indugiato sulla tavolozza nelle ricerche febbrili dell'Arte, poiché Valerico Laccetti era scomparso a poco a poco, tra il lontanar degli osanna e dei clamori, dalle lotte del suo ingegno fecondo e proteiforme. Egli era dunque un sopravvissuto alla sua arte; e, come tale, un sopravvissuto alla sua fama".
Appresa la notizia, il sindaco di Vasto, cav. Luigi Nasci, pubblicò il seguente manifesto:

CITTADINI!
Un'altra gloria vastese si è spenta.
Valerico Laccetti, l'ultimo di una famiglia fulgida schiera di artisti, che illustrarono per un secolo questa terra natia, chiudeva ieri in Roma la nobile vita, dedicata alle più schiette manifestazioni dell'arte ispirata allo studio della natura e alle geniali comprensioni della storia.
Con la sua morte scompare il più genuino rappresentante di quella scuola, che ebbe a maestro e duce il grande concittadino Filippo Palizzi, dalla cui espressioni pittorica egli volle anche trarre gli elementi per una più larga visione dell'ideale.
Concittadini!
Voi ben ricordate con quanta tenerezza Egli tornava a risalutare la sua patria diletta, e godeva ritemprarsi nell'affetto e nell'ammirazione di noi tutti, dopo le lotte non sempre generose nell'arduo campo dell'arte.
CITTADINI, un inclito figlio di questa terra è morto.
Piangiamo!
Vasto, 10 marzo 1909

Cinque anni più tardi, il 26 aprile 1914, in una memorabile giornata intesa a celebrare il genio dei fratelli Palizzi, di Francesco Laccetti e di Valerico Laccetti, sulla facciata della casa natale del pittore venne murata una lapide con la seguente iscrizione dettata da Domenico Ciampoli:

VALERICO LACCETTI

CHE VIVE NEL CHRISTUS IMPERAT
EBBE VISIONI DI STORIA E DI ARTE
LUMINOSE
LA CITTA
MEMORE DEI SUOI FIGLI MIGLIORI
RICORDA
CHE EGLI NACQUE IN QUESTA CASA
E MORI’ IN ROMA
LAUDATO E PIANTO
------------------------
MCMXIV

Mentre nello studio romano, sul lungotevere dei Mellini, 24, venne murato un bassorilievo in terracotta, realizzato nel 1913 dallo scultore Lorenzo Cozza, con la seguente epigrafe:
VALERICO LACCETTI DA VASTO
POSATO IL PENNELLO DEL CHRISTUS IMPERAT
NELLA QUIETE DI QUESTO SUO STUDIO
DALLA STORIA E DALLA FEDE
ALTRI QUADRI RIEVOCO' CON LA PENNA

Così lo ricordava Francesco Pisarri in un lungo articolo pubblicato su Il Giornale d'Abruzzo e Molise del 9 marzo 1930: "Lo rivedete ancora nella sua placida e signorile figura di artista gentiluomo, dai dolci occhi chiari, la carnagione bianchissima, la folta barba candida bipartita? Egli non fu un bohèmien, né conobbe le stravaganze di cui molti fanno ormai requisito essenziale di vita e di opere. Fu un pacato e intellettuale adoratore della natura, e mise in ogni suo quadro un religioso rispetto alla verità e spesso un raggio di pensiero trascendentale, che gli derivava e dal temperamento e dai suoni studi classici. Giacché egli fu anche un artista coltissimo e multingegno; qualcosa come i nostri grandi del Rinascimento, nello stesso tempo scultori e letterati, pittori e filosofi, ma affinati e ingentilito da una signorilità veramente eccezionale".
Il 26 febbraio 1932 il consiglio comunale, presieduto dal Podestà Pietro Suriani, "per onorare la memoria di Valerico Laccetti", intitolava alla sua memoria la strada dove nacque l'illustre pittore. In segno di ringraziamento, le figlie Maria e Lidia, inviarono al Podestà questo messaggio:

Dal Vastese d'Oltre Oceano rileviamo che in data 26 febbraio la S. V. Ill.ma ha disposto che la strada dove nacque Valerico Laccetti sia intitolata al suo nome. Noi, sue figlie, ne ringraziamo sentitamente la S. V. Ill.ma poiché in tal modo quando la Sua memoria si spegnerà con noi nel nostro cuore, rimarrà sempre viva in quello della Patria che Egli illustrò ed ebbe tanto cara.
Nel destinare poi al Museo di Vasto il ritratto di nostro nonno Antonio, eseguito da nostro padre, crediamo di onorare la memoria di Loro ed il paese dove nacquero, Cittadino integro l'uno, chiaro spirito di luce e di arte l'altro, ebbero sempre ad orgoglio di proclamarsi, oltre che Italiani, Vastesi.
Non ci costa perciò il separarci da un così caro ricordo nella certezza che sarà affettuosamente custodito nel  Museo di cui l'esimio professore Anelli è così benemerito Direttore.
Consegneremo tale dipinto già pronto e condizionato non appena si presenti l'occasione di una persona di fiducia a cui affidarlo. Con devota osservanza.

Mantenuta la promessa, prima dell'estate il ritratto ad olio raffigurante Antonio Laccetti, venne consegnato nelle mani di Luigi Anelli e andò ad aggiungersi agli altri cinque quadri ad olio già presenti nel museo vastese.
In occasione del centenario della nascita, presso il Dopolavoro di Chieti venne organizzata una grande mostra, presentata da una dotta orazione del poeta e drammaturgo Ettore Moschino, con l'esposizione dei migliori quadri dell'artista vastese, provenienti dall'archivio di famiglia, da musei e da collezioni private.

Lino Spadaccini






1 commento:

Unknown ha detto...

BUONGIORNO, SONO UNA COLLEGA GIORNALISTA DEL QUOTIDIANO METRO ITALIA

STO FACENDO UNA RICERCA SU LACCETTI E VORREI SAPERE, SE POSSIBILE, LA DATA DEL RITAGLIO DI GIORNALE CHE RACCONTA L'ESCLUSIONE DEL PITTORE DALL'ESPOSIZIONE “AMATORI E CULTORI DI ROMA”.
GRAZIE
I MIEI RECAPITI
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