domenica 17 marzo 2024

Un vastese a Oxford: MARCO SANTINI Ricercatore post-dottorale in Storia Antica

Spesso raccogliamo le testimonianze dei giovani vastesi nel mondo, molti dei quali in carriera e con alti livelli di competenza. E' il caso del ricercatore Marco Santini che con impegno si occupa di Storia Antica presso la prestigiosa università di Oxford, dopo esperienze in altre università americane e tedesche.  Lo abbiamo coinvolto in questa intervista per sottolineare il modo in cui i giovani italiani si sanno far valere all'estero grazie alle loro doti professionali e umane.  Marco Santini è un competente e serio ricercatore di cui sentiremo parlare molto in futuro.
dr Marco Santini


Marco di cosa ti occupi a Oxford?

Sono Ricercatore post-dottorale in Storia Antica presso il Magdalen College dell’Università di Oxford, dove mi trovo dall’Ottobre del 2022. Il mio contratto va sotto il nome tradizionale di “Fellowship by Examination”: si tratta di una borsa triennale aperta a diverse discipline che ho vinto tramite un concorso per titoli e colloquio. Il colloquio era in origine inteso come un vero e proprio esame, perciò è rimasto il termine “by Examination” nel nome. Si tratta principalmente di una posizione di ricerca, in cui ho la fortuna di poter organizzare la mia attività scientifica in piena autonomia e indipendenza. Il mio campo di studi è la storia del Mediterraneo antico, più precisamente dei paesi che si affacciano sul lato orientale del Mar Mediterraneo, come Grecia, Turchia, Siria, Israele, Palestina. Mi occupo della storia politica e istituzionale di queste regioni tra il 1200 a.C. e il 600 a.C., quando nuove forme di organizzazione politica, o nuovi “stati” come diremmo in termini moderni, affiorarono, chi più velocemente chi più lentamente, in seguito a un periodo di crisi economica e sociale che interessò pressoché allo stesso modo le regioni suddette. Mi interessa specialmente capire se le nuove forme di organizzazione e di pensiero politico elaborate dai protagonisti della vita politica di quelle regioni presentino tratti comuni. Sulla base delle mie ricerche, credo si possa affermare che in quella parte del Mediterraneo Orientale antico la vita politica si svolgesse secondo dinamiche e modalità condivise, che trascendono confini geografici e differenze linguistiche e culturali. In parallelo alla mia attività di ricerca, svolgo regolarmente attività didattica in discipline relative alla Storia Antica, in particolare alla storia del mondo greco dall’età micenea in poi, e all’Archeologia del Mediterraneo. L’attività di insegnamento a Oxford è molto particolare e si svolge in larghissima parte in forma di tutorato: il docente incontra gli studenti o singolarmente o in piccoli gruppi di due o tre, per un’ora a settimana. Questo tipo di lezione, che prende il nome di “tutorial”, consiste fondamentalmente nella discussione di problemi o temi specifici scelti anticipatamente, sui quali gli studenti avranno prodotto un elaborato scritto. La modalità è molto diversa dalla lezione frontale universitaria tradizionale a cui siamo abituati. Lezioni frontali esistono anche a Oxford, ma costituiscono una parte meno rilevante della formazione degli studenti. Infine, come titolare della mia Fellowship ho inoltre l’opportunità di partecipare attivamente ad alcuni aspetti della gestione e amministrazione della vita interna del College.

Quali sono stati i passaggi che da Vasto ti hanno portato a Oxford?

Dopo aver frequentato, dal 2006 al 2011, il Liceo Classico “Lucio Valerio Pudente” di Vasto, oggi parte dell’Istitutio d’Istruzione Superiore “Pantini-Pudente”, sono stato Allievo Ordinario nella Classe di Lettere e Filosofia della Scuola Normale Superiore di Pisa, precisamente nel corso di Storia Antica e Filologia Classica, dal 2011 al 2016, e ho parallelamente frequentato il corso di laurea triennale e magistrale in Lettere Classiche all’Università di Pisa.Al termine dell’esperienza pisana,sono partito per gli Stati Uniti e ho intrapreso un corso di dottorato in Storia Antica presso il dipartimento di Studi Classici di Princeton University. Durante il mio soggiorno a Princeton, ho approfittato di diverse opportunità di scambio e mobilità, che mi hanno permesso di ampliare e perfezionare la mia formazione presso altre istituzioni quali l’Università della Pennsylvania a Filadelfia, l’Institute for the Study of the Ancient World della New York University, la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, e di nuovo la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove sono tornato come Academic Visitor tra il 2020 e il 2021. Conseguito il dottorato nel Dicembre 2021, ho trascorso un ulteriore semestre a Princeton come Postgraduate Research Associate & Lecturer, ovvero ricercatore e docente a contratto, durante il quale ho tenuto un corso seminariale basato sui miei temi di ricerca.

Quante lingue parli? Come le hai imparate?

Da diversi anni, tutta la mia attività lavorativa si svolge interamente in inglese. Sono però capace di leggere e di comunicare anche in tedesco e in francese, due lingue molto importanti per il mio campo di ricerca.(Germania e Francia, così come l’Italia, hanno una lunga tradizione di studi sul mondo antico.) Inglese, italiano, francese e tedesco sono le lingue che uso più di frequente per la mia attività di ricerca sulla letteratura scientifica moderna, ma accanto a queste si colloca una serie di lingue antiche che ho imparato per poter accedere direttamente alle fonti della mia ricerca, ovverosia ai documenti prodotti nell’antichità stessa. Nel corso degli anni, ho lavorato per mettermi in condizione di accedere ai documenti in una dozzina di lingue antiche diverse. Tra esse ci sono ovviamente il latino e il greco, che non ho mai abbandonato sin dai tempi del Liceo Classico, a cui hanno fatto seguito l’ebraico biblico, l’aramaico, il fenicio e l’accadico, lingue semitiche parlate e scritte in larga parte del Levante, tra odierni Israele, Libano, Siria, e Iraq, e lingue dette anatoliche, come per esempio l’ittita e il luvio, parlate e scritte nelle aree che corrispondono all’odierna Turchia e Siria settentrionale. Imparare tutte queste lingue antiche è un esercizio che ha richiesto un considerevole investimento di tempo ed energie, ma sono stati sicuramente tempo ed energie ben spesi. Ho cominciato all’università a Pisa, dove ho seguito corsi di ebraico e aramaico, e ho proseguito negli Stati Uniti, dove ho imparato l’accadico e partecipato a un gruppo di lettura di luvio. L’ittita, invece, l’ho imparato in Germania, a Monaco di Baviera.Accanto ai corsi universitari, tuttavia, ho spesso lavorato da autodidatta, specialmente per alcune lingue cosiddette minori, poco conosciute e poco comprese, per le quali non c’è altra scelta. Per alcune di queste lingue,una delle difficoltà principali èapprenderne il sistema di scrittura, talvolta completamente diverso dagli alfabeti a cui siamo abituati: l’accadico e l’ittita usano, per esempio, un sistema cuneiforme, mentre il luvio, perlomeno nella variante che utilizzo più di frequente, impiega un sistema geroglifico. L’altra difficoltà, più che dalla grammatica, è rappresentata dal lessico, che è spesso difficile da immagazzinare, senza contare che di molte parole non sappiamo il significato. La “fortuna”, se di fortuna si può parlare, è che queste lingue non si parlano, mafondamentalmente si leggono. Benché ci siano iniziative volte a restituire, per esempio, al latino la dignità di lingua parlata (il cosiddetto “latino vivo”), l’apprendimento delle lingue antiche ai fini di ricerca ha principalmente l’obiettivo di fornire accesso diretto ai testi prodotti nell’antichità, senza dover ricorrere alla mediazione di traduzioni moderne, e gli strumenti necessari per la loro interpretazione. È un esercizio di comprensione e di pazienza, non di comunicazione, che richiede l’aiuto costante di strumenti adeguati, come grammatiche, lessici, dizionari, sillabari, liste di segni, e così via.

Tu lavori in un campo molto specialistico, che cosa hai fatto per acquisire le giuste competenze?

In realtà, il mio campo di ricerca è meno specialistico di quanto possa sembrare, se per specialistico intendiamo un campo in cui lo studioso si concentra su un tipo particolare di competenze, a volte di natura piuttosto tecnica. Ebbene, questo non è il mio caso. Si prenda il caso delle lingue. Uno specialista di lingua accadica, per esempio, ovvero colui che chiameremmo unassiriologo,svolge un lavoro piuttosto diverso dal mio, benché la ricerca di entrambi abbia tra i suoi elementi costitutivi la conoscenza della lingua accadicae la lettura e interpretazione di testi accadici. (L’accadico, nella sua variante antico-babilonese, è, per intenderci, la lingua in cui fu scritto il famoso Codice di Hammurabi, a cui risale la prima applicazione a noi nota della cosiddetta legge del taglione, “occhio per occhio, dente per dente”.)Ciò che contraddistingue il lavoro di uno specialista assiriologo è la decifrazione di tavolette, o altri supporti scrittòri,cuneiformi e la produzione di una edizione e traduzione del testo decifrato, spesso corredate da un facsimile, disegnato a mano, del testo originale. Si tratta di un lavoro che richiede competenze tecniche molto avanzate, e di conseguenza una preparazione pluriennale, certamente accompagnata dall’acquisizione di conoscenze trasversali come quella della storia del Vicino Oriente non-mesopotamico. Ciò che invece contraddistingue il mio lavoro rispetto a quello dell’assiriologo, o di altri specialisti in settori più o meno affini – come per esempio l’ittitologo, l’egittologo, il grecista, il biblista, l’archeologo del Vicino Oriente, e così via – è l’uso trasversale e cumulativo dei risultati della ricerca delle varie discipline specialistiche per la costruzione di una interpretazione storica globale del periodoin questione o per rispondere a domande di natura multidisciplinare. Per usare una metafora, lo storico del Mediterraneo antico sta all’assiriologo, al grecista e al biblista così come, in campo medico, l’internista sta al cardiologo, allo pneumologo e al gastroenterologo.Per svolgere questo tipo di lavoro in maniera efficace e responsabile, è necessario acquisire tutti gli strumenti necessari a comprendere, e dunque poter utilizzare criticamente, i risultati della ricerca delle varie discipline specialistiche. Per fare un esempio concreto: benché il mio lavoro non contempli la produzione di una edizione di un testo cuneiforme, lavoro che richiede le competenze tecniche e specialistiche di un assiriologo, come storico del Mediterraneo antico ho il dovere di acquisire le nozioni filologiche necessarie per poter leggere, comprendere, e utilizzare per la mia ricerca ciò che l’assiriologo ha prodotto. Il mio è dunque un lavoro di sintesi che richiede l’acquisizione di competenze trasversali su uno spettro di discipline specialistiche al fini di produrre uno sguardo di insiemesu una data questione attraverso il dialogo delle discipline suddette. L’unico modo per acquisire tali competenze è esporsi, con curiosità e dedizione, al lavoro dei colleghi specialisti e impostare il proprio percorso di formazione in ottica multidisciplinare, rinunciando, tuttavia, alla (iper)specializzazione in qualsivoglia singolo settore.

Che cosa hai pubblicato in questi anni?

Negli ultimi anni ho prodotto sostanzialmente pubblicazioni scientifiche, ma non nascondo che prima o poi mi piacerebbe scrivere qualcosa di più divulgativo. I miei primi lavori, che risalgono al mio periodo pisano e derivano dalle mie tesi di laurea triennale e magistrale, ruotano attorno a problemi di storia culturale e sociale di una città dell’attuale Turchia sud-occidentale, Bodrum, anticamente nota come Alicarnasso: ho studiato testi provenienti da quella zona che gettano luce sulla questione della compresenza di gruppi etnici diversi. Più di recente, ho scritto alcuni contributi su questioni di storia politica di alcune civiltà del Vicino Oriente antico, specialmente, di nuovo, nell’area dell’attuale Turchia occidentale, centrale, e centro-meridionale. Per esempio, un grosso articolo che uscirà nei prossimi mesi tratta delle origini del concetto di “tirannide”, che noi abbiamo preso dai Greci, ma che i Greci a loro volta importarono, modificandolo, dalla cosiddetta civiltà “neo-ittita”, diffusa nell’Anatolia centrale, centro-meridionale, e nella Siria settentrionale a cavallo tra il secondo e il primo millennio a.C. Una curiosità: per quanto possa sembrare strano, il concetto greco di “tirannide” deriva da quello neo-ittita di “giustizia”…! Accanto a questi articoli, ho in cantiere un libro che tratterà del grosso problema storico che menzionavo poc’anzi, ovvero l’esistenza o meno di forme e modalità di pensiero e azione politica condivise tra le comunità del Mediterraneo Orientale antico nel periodo che va dal 1200 al 600 a.C.

Il tuo è un ambiente internazionale molto stimolante, da Italiano come ti trovi?

L’ambiente del Magdalen College, così come di ogni altro College di Oxford, offre numerosi stimoli intellettuali e culturali fondamentalmente per dueragioni. La prima è che vi appartengono studiosi di numerose nazionalità, chi all’inizio chi alla fine della propria carriera, con alle spalle esperienze molto diverse. La seconda è che i membri accademici del College lavorano in svariate discipline. A differenza di istituzioni accademiche con organizzazione dipartimentale, dove i colleghi di lavoro si occupano di aspetti diversi della medesima disciplina, i miei colleghi in College appartengono a dipartimenti diversi e si occupano delle discipline più disparate: storici, biologi, fisici, filologi, economisti e musicologi si trovano assieme nello stesso ambiente, che ha il vantaggio di essere un ambiente relativamente piccolo (i Fellows del mio College sono poco più di una settantina) e dunque di facilitare lo scambio di idee e la comunicazione tra studiosi che difficilmente si troverebbero a pranzare assieme in situazioni ordinarie.Dopo tanti anni passati all’estero, sono ormai abituato a trovarmi in contesti internazionali, ma il fatto che i Colleges di Oxford combinino internazionalità e interdisciplinarietà in uno spazio ristretto, e dunque non dispersivo, rende la mia esperienza attuale sicuramente peculiare. D’altro canto, occasioni di incontro con altri Italiani non mancano, siano essi studenti o membri dello staff o ricercatori: Oxford, come altre istituzioni universitarie britanniche, ne è veramente piena. Dirò ora qualcosa di molto scontato, ma purtroppo per un Italiano il fattore cibo è il tasto più dolente: se da un lato è bello e interessante esporsi alle tradizioni culinarie di altri Paesi, come ho iniziato a fare da quando ho lasciato l’Italia alcuni anni fa, la nostalgia della cucina italiana non mi ha mai abbandonato.

E con Vasto come la metti?

Negli ultimi anni, gli impegni e i viaggi mi hanno tenuto lontano da Vasto per molto tempo. Normalmente torno a casa circa due volte l’anno per un paio di settimane, durante le vacanze di Natale e quelle estive. Ogni volta colgo l’occasione per ritrovarmi con gli amici di scuola e della mia adolescenza, quelli, diciamo, con cui sono cresciuto. Il calendario è sempre molto fitto! In queste occasioni, Vasto diventa il luogo in cui da un lato si torna indietro nel tempo, e dall’altro si misura il tempo che passa e la vita che va avanti, in un modo in cui non si riesce a farlo nella frenesia della vita quotidiana nel luogo di lavoro. È il luogo in cui si prende coscienza delle trasformazioni e delle cose che restano uguali e in cui, in qualche modo, si fa il punto della situazione. D’altra parte, mi piace molto tornare e mostrare ad altri i luoghi in cui sono cresciuto: negli ultimi anni, mi è capitato alcune volte di fare da guida ad amici che ho conosciuto durante le mie esperienze all’estero e che sono venuti a trovarmi. Spero che altri vogliano farlo in futuro!

Nel ringraziare il dr Marco Santini per averci concesso questa intervista, gli formuliamo i migliori auguri di futuri successi professionali.  

NICOLA D'ADAMO

1 commento:

Ermelinda Mino ha detto...

Carissimo Marco ne hai fatta di strada da quando piccolino eri la nostra mascotte. Vai sempre avanti buona vita tesoro. Ti abbracciamo Ermelinda e Mino