lunedì 24 aprile 2023

SILVIO CICCARONE, "un uomo dotato di grande intuito politico e non disposto a lasciarsi condizionare da logiche di partito"

Sabato è stato presentato il libro "Don Silvio" di Maurizio Ciccarone che narra la storia di Vasto dal 1943 al 1973, vale a dire dalla fine della guerra al boom economico, attraverso le vicende del con protagonista Silvio Ciccarone.
Ecco cosa ha scritto la prof.Fausta Di Risio nella prefazione.

Prefazione

di FAUSTA DI RISIO

Se ho accettato di buon grado l'invito a introdurre questo lavoro, è stato per la profonda stima che ho sempre nutrito nei confronti di Silvio Ciccarone, "don Silvio" come era chiamato da tutti e per la mia approvazione alla fatica, non da poco del figlio Maurizio, che fu sempre

particolarmente vicino al padre e spesso lo accompagnò nei suoi spostamenti, cercando di condividerne le motivazioni politiche e gli ideali.

Certo, già dal titolo dato a quest'opera, è chiaro che non si tratta della nostalgica rievocazione di un passato che vive ormai solo nella memoria, né di un proustiano rimpianto di "un tempo perduto" ma di un'epoca e di una importante famiglia che nella mente del narratore è viva e presente, oggi come ieri. E non c'è traccia di freudiani complessi edipici, perché indubbiamente è difficile appartenere ad una famiglia che tanta parte ebbe nella storia di Vasto, dalla costituzione del regno d'Italia di due secoli fa, fino ai giorni nostri, senza rimanere coinvolti ed affascinati dalla personalità complessa e poliedrica di un simile padre.

Nessun contrasto generazionale dunque, ma neanche sconforto di fronte ai giudizi che inevitabilmente affiorano da parte di chi conobbe personalmente Silvio Ciccarone e non ritrova nei suoi eredi quella grinta e quel dinamismo che tanto lo fecero apprezzare. Indubbiamente, è difficile essere un Ciccarone al giorno d'oggi, in cui sembrano ormai desueti e sorpassati quegli ideali di onestà politica e di rettitudine per cui don Silvio si trovò a sostenere dure battaglie contro i suoi avversali, decurtando anche economicamente il pur cospicuo patrimonio familiare.

E ci si potrebbe chiedere: perché lo fece?

Indubbiamente perché egli fu quello che Aristotele definiva «zoòn politikòn», oltre che profondamente legato alla sua città di origine ed al popolo vastese che seppe ricompensarlo con la stima e la gratitudine di cui lo ricolmò.

E per quanto riguarda i suoi "nemici" che furono, essenzialmente avversar! politici, non si può accettare l'affermazione di Ramsete II, faraone d'Egitto "molti nemici, molto onore" che fu strumentalizzata e riproposta nel periodo fascista.

Già, perché alcuni di questi avversari avevano condiviso, almeno in parte, la sua abnegazione e dirittura morale ed erano legati a lui anche da vincoli di parentela, come nel caso del senatore Giuseppe Spataro che era suo cugino, con cui aveva intrapreso il progetto di un notevole percorso di sviluppo ed era riuscito a portare avanti la realizzazione di importanti opere nel vastese, ma che poi, si era allontanato da lui per divergenze sorte in parte su alcune decisioni ed in parte anche perché sollecitato dai detrattori di don Silvio.

Ma questo distacco e questo essere messo da parte gli provocò dispiacere e forse si sarebbero potuti evitare gravi contrasti senza l'intervento da parte di chi, per calcoli personalistici e venali interessi creò un vuoto intorno ad una così granitica personalità.

E quando il senatore Giuseppe Spataro, ormai in punto di morte, lo mandò a chiamare per riconciliarsi con lui che andò, ma giunse troppo tardi perché il morente era ormai in coma, si pentì profondamente di non essere stato più sollecito nel partire.

Questo dimostra che un'altra caratteristica di don Silvio consisteva nel non nutrire rancore, perché il suo spirito aspirava tendenzialmente ad evitare gravi dissapori anche se non era disposto ad accettare imposizioni, tentativi di corruzione, vantaggi economici e situazioni, ormai diffuse e consolidate, che contrastavano con la sua rettitudine morale.

Ma il suo impegno politico  -  che gli fece assumere cariche importanti, sia alla fine del ventennio fascista, come quella di podestà, che successivamente con la DC,  ma anche quando ebbe il coraggio e la capacità di creare la lista cittadina del FARO, accettando la collaborazione con Domenico Laporese, capolista del PCI e inaugurando un “compromesso storico ante litteram”  _-  _non fece di lui un opportunista o un voltagabbana.

Egli era realmente un uomo dotato di grande intuito politico e non disposto a lasciarsi condizionare da logiche di partito, se riteneva che si potevano creare per i suoi concittadini migliori condizioni di vita e opportunità di lavoro, oltre che importanti opere pubbliche. Perché, sempre aristotelicamente, credeva nella politica come suprema realizzazione dell'essere umano, di dedizione alla “polis” ed agli uomini che la compongono.

Non mi dilungherò a citare tutte le importanti realizzazioni urbane e del nostro comprensorio come il liceo classico e varie altre scuole e la progettazione e la messa in appalto di nuove, o le fondovalli Trigno e Sinello per collegare Vasto e il suo retroterra con l'autostrada A14, il completamento di opere in costruzione da tempo e mai terminate. Perché queste e molte altre sono state oggetto di un meticoloso studio del figlio Maurizio.

Il suo dinamismo e la sua competenza lo portavano ad ampliare i confini territoriali del vastese e del retroterra montano per inserire l'Abruzzo in un’ottica molto più vasta e ammodernizzata di quella di un secolo fa.

 Ed in questo si trovò in sintonia con l'onorevole Remo Gaspari, a lui legato da affettuosa stima e col quale spesso si incontrava oltre che in Abruzzo anche a Roma. Ed anche se successivamente le loro strade ebbero a divergere, non si interruppe quel rapporto di stima autentica che si era  venuto a creare tra loro.  

E quando la gran parte del popolo vastese, sostenuta anche dal consenso del parroco della cattedrale, il compianto don Felice Piccirilli, si schierò in gran parte con la lista civica il FARO, il trionfo della lista fu il trionfo dell'uomo.

 Infatti aveva sacrificato tutte le sue energie e necessariamente anche gran parte dei suoi interessi nell'azienda di famiglia e soprattutto, cosa di cui in vecchiaia si rimproverò, aveva sacrificato anche gli affetti familiari e, cosa comune forse a tutti i nonni, riscoprì la dolcezza di godersi la numerosa figliolanza ed i nipotini.

 D’altronde però la sua famiglia lo approvò sempre, sia sul piano umano che in quello politico e la dimostrazione è proprio questo lavoro, pregevole per la sua precisione, che il figlio Maurizio volle dedicargli non procedendo in una narrazione cronologica delle vicende.

Infatti la tecnica seguita è quella, molto più istintiva e vissuta, del flash­back che dona sprazzi di luce alla materia trattata man mano che i ricordi affiorano alla memoria e prendono vita e concretezza da quanto esposto confermando il foscoliano apprezzamento verso chi ha realizzato e concretamente trasmesso alle future generazioni «eredità di affetti».

Fausta Di Risio

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