mercoledì 15 giugno 2022

Vasto, la scuola e la chiesa nel 1870: i maestri per tenere a posto i riottosi monelli spesso ricorrevano a "mezzi brutali"

Dal libro "Ricordi" di Francesco Ciccarone

Vasto: la scuola e la chiesa nel 1870- I maestri per tenere a posto i riottosi monelli spesso ricorrevano a "mezzi brutali"

a cura di Nicola D'Adamo

SECONDA PUNTATA

LA SCUOLA

Prima del 1860, i fanciulli di famiglie signo­rili erano educati e istruiti da scuole private dirette per lo più da ecclesiastici e le ragazze erano chiuse nei monasteri dove, oltre qualche lavoro femminile, apprendevano a leggere a scrivere ed i primi elementi dell'aritmetica. Vi erano anche benemeriti cittadini che tenevano scuola privata e si accontentavano di mode­stissimi compensi. Educatore esemplare di giovani provenienti dai più lontani paesi del Circondario ed anche del Molise, fu Luigi Laccetti, padre di Francesco, che, "nell'esercizio della chirurgia, acquistò in Napoli grande e durevole fama. Furono pure degni di ogni lode Giuseppe Manzitti, Francesco Di Girolamo e il cavalier Vassetta.

Dopo il 1860, furono improvvisate e quindi imperfettamente organizzate le prime classi della scuola elementare ed ebbero la loro se­de nella casa di Didimo Mayo dove in grandi stanze desolate del vecchio edifizio, la sorella di Didimo, Teresa, impartiva una superficialissima istruzione alle ragazze ed i fratelli Andrea e Francesco Benedetti insegnavano ai maschi, ricorrendo spesso, per essere ascoltati ed obbediti, a mezzi brutali, co­me a mo' d'esempio ai colpi di righello sulla palma della mano. Anche il bidello, Ermenegildo Trivelli, reduce dalla napo­leonica campagna di Russia, si dava un gran da fare per tenere a posto i riottosi monelli.

Più tardi

la scuola ebbe più regolare orga­nizzazione e fu divisa in quattro classi affi­date ad Alfonso Benedetti, a G. Manzitti ed a due piemontesi i quali pure avevano la brutta abitudine di menar le mani, come purtroppo ebbi a sperimentare io stesso che per più giorni dovetti portare l'oc­chio destro bendato. Questi insegnanti erano sforniti di titolo ed erano compensati assai miserevolmente. Nel 1868, finalmente, dopo regolari esami dati in Lanciano sotto la presi­denza del Provveditore, furono chiamati ad in­segnare nelle due sezioni della prima classe i fratelli Francesco e Michele Monacelli, nella terza Michele Celenza e nella quarta F.P.  Sargiacomo, rimanendo Alfonso Benedetti al po­sto che occupava.

Le scuole erano frequentate da giovanetti del­la classe signorile e dai figli di artigiani e di negozianti. I contadini ed i marinai erano rari come le mosche bianche. Fatta ecce­zione per la seconda classe dove il Benedetti limitava l'insegnamento, si può dire, all'espo­sizione della storia sacra, nelle altre classi i maestri davano prova di buona cultura e di sufficiente capacità pedagogica stimolando anche l'amor proprio dei ragazzi con le gare al­le quali si dava il nome di .... e con notevoli premi. Gli esami poi, sostenuti davanti al sin­daco, o ad un suo delegato ed all'ispettore sco­lastico, assumevano carattere di vera solen­nità per gli alunni e per le famiglie. Era allora ispettore scolastico il professor Silvio Jannuzzi, un prete di precedenti patriottici, elegante e sottile che portava collari di cartoncino luci­do.

Nel 1861 cominciarono le pratiche per la fon­dazione di un ginnasio. Nel 1867 i voti del­la popolazione furono esauditi ed il ginnasio fa inaugurato con ottimi auspici. Il primo rettore dell'istituto fu il sacerdote D. Giustino Muzii, ma, avendo poi questi deposto l'abito talare e preso moglie in Firenze, fu chiamato a sosti­tuirlo il canonico Paolo Rossi, colto e di senti­menti schiettamente e temperatamente libe­rali. Fu professore della prima classe il sacer­dote Di Girolamo, ottima persona, ma piutto­sto collerica e impaziente. Per le altre classi furono nominati Francesco Di Rosso, Adolfo Mayo, Gennaro Amoroso e Giovanni Rabba-glietti, raccomandato dal patriota e deputato Ippolito Amicarelli, che reggeva il convitto Vit­torio Emanuele in Napoli. Il Rabbaglietti, spi­rito pronto e alacre, si distingueva per il suo carattere insofferente di disciplina e per il suo esagerato anticlericalismo. Questa istituzione che prosperava egregiamente e soddisfaceva i voti di molte famiglie fu brutalmente soppres­sa nel 1878 dall'amministrazione progressi­sta, apparentemente per desiderio di demo­cratizzare la scuola, ma in realtà per dispetto al partito che l'aveva istituita ed ai professori di cui le simpatie politiche non erano un mistero.

LA CHIESA

II clero aveva costumi esemplari ed era anche animato da sentimenti patriottici, come del resto, si verificava in tutto l'Abruzzo dove solo i Vescovi erano rimasti reazionari e, fatte le debite eccezioni, implacabilmente avversi al Regno d'Italia, alla dinastia e soprattutto al partito dominante. La soppressione del convento di S. Onofrio, occupato da pochissimi frati che, in base alle vigenti leggi, potevano essere con­centrati in altri monasteri, divise la città in due partiti di cui uno faceva capo al teologoTommasi, spirito orgoglioso, insofferente di contrasti, intransigente, e l'altro al canonico
Francesco Di Girolamo, ottimo cuore, ma ugualmente ostinato e collerico e di sentimenti forse troppo spregiudicati. Certo non faceva a tutti buona impressione la sua immancabile presenza nella Casa di Conversazione dove giuocava al tressette e si abbandonava a discorsi piuttosto liberi, o la sua assidua frequenza del teatro, dove per altro si nasconde­va nel più oscuro angolo del profondo palco della deputazione, non tanto per salvare le ap­parenze, quanto per abbandonarsi liberamente alle emozioni che suscitavano in lui le vicende del dramma o della commedia e che spesso si esprimevano in lacrime abbondanti ed in sgangherati eccessi di riso.
Il Tommasi non mancava di mettere in rilievo tali intemperanze presso le autorità ecclesiastiche ed ebbe buon gioco in mano il giorno 20 settembre quando la città fu percorsa da una dimostrazione capitanata proprio dal prete Di Girolamo che sosteneva una bandiera sulla quale stava scritto Abbasso il Papa-Re! Tutte le mene del Tommasi, però, non ebbero allora fortuna perché il Governo sosteneva vigorosa­mente il partito moderato locale e l'ammini­strazione comunale ed egli stesso non godeva di molto credito nelle alte sfere del Vaticano. Del resto, in quegli anni il governo faceva po­litica rudemente anticlericale, a ciò spinto dal­la questione di Roma e dall'appoggio che Pio IX aveva dato e dava ai principi spodestati. Durante la guerra italo-austriaca per la libe­razione di Venezia, il Tommasi con monsignor Adami ed il marchese Crognali fu mandato al domicilio coatto... in Firenze, come sospetto di borbonismo. Fra i seguaci del Tommasi erano segnalati l'ex monaco Saraceni, i canonici Laccetti (soprannominato Radeskij) e Cieri. Del resto il buon senso prevaleva e tutte queste beghe non riuscivano né a fomentare quella guerra religiosa che forse era nell'animo dei più accesi, né a menomare il sentimento reli­gioso che si esternava nelle solenni processio­ni della Croce, della Spina, della Settimana Santa, dell'Assunta, di S. Michele e in altre so­lennità ecclesiastiche. Il governo seppe tutela­re la libertà di culto."

Francesco Ciccarone 

A cura di Nicola D'Adamo


 

 

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