Vasto: la scuola e la chiesa nel 1870- I maestri per tenere a posto i riottosi monelli spesso ricorrevano a "mezzi brutali"
a cura di Nicola D'Adamo
SECONDA PUNTATA
LA SCUOLA
Prima del 1860, i fanciulli
di famiglie signorili erano educati e istruiti da scuole private dirette per
lo più da ecclesiastici e le ragazze erano chiuse nei monasteri dove, oltre
qualche lavoro femminile, apprendevano a leggere a scrivere ed i primi elementi
dell'aritmetica. Vi erano anche benemeriti cittadini che tenevano scuola
privata e si accontentavano di modestissimi compensi. Educatore esemplare di
giovani provenienti dai più lontani paesi del Circondario ed anche del Molise,
fu Luigi Laccetti, padre di Francesco, che, "nell'esercizio della chirurgia,
acquistò in Napoli grande e durevole fama. Furono pure degni di ogni lode
Giuseppe Manzitti, Francesco Di Girolamo e il cavalier Vassetta.
Dopo il 1860, furono
improvvisate e quindi imperfettamente organizzate le prime classi della scuola
elementare ed ebbero la loro sede nella casa di Didimo Mayo dove in grandi
stanze desolate del vecchio edifizio, la sorella di Didimo, Teresa, impartiva
una superficialissima istruzione alle ragazze ed i fratelli Andrea e Francesco
Benedetti insegnavano ai maschi, ricorrendo spesso, per essere ascoltati ed
obbediti, a mezzi brutali, come a mo' d'esempio ai colpi di righello sulla
palma della mano. Anche il bidello, Ermenegildo Trivelli, reduce dalla napoleonica
campagna di Russia, si dava un gran da fare per tenere a posto i riottosi
monelli.
Più tardi
la scuola ebbe più regolare organizzazione e fu divisa in quattro classi affidate ad Alfonso Benedetti, a G. Manzitti ed a due piemontesi i quali pure avevano la brutta abitudine di menar le mani, come purtroppo ebbi a sperimentare io stesso che per più giorni dovetti portare l'occhio destro bendato. Questi insegnanti erano sforniti di titolo ed erano compensati assai miserevolmente. Nel 1868, finalmente, dopo regolari esami dati in Lanciano sotto la presidenza del Provveditore, furono chiamati ad insegnare nelle due sezioni della prima classe i fratelli Francesco e Michele Monacelli, nella terza Michele Celenza e nella quarta F.P. Sargiacomo, rimanendo Alfonso Benedetti al posto che occupava.Le scuole erano frequentate
da giovanetti della classe signorile e dai figli di artigiani e di negozianti.
I contadini ed i marinai erano rari come le mosche bianche. Fatta eccezione per
la seconda classe dove il Benedetti limitava l'insegnamento, si può dire,
all'esposizione della storia sacra, nelle altre classi i maestri davano prova
di buona cultura e di sufficiente capacità pedagogica stimolando anche l'amor
proprio dei ragazzi con le gare alle quali si dava il nome di .... e con
notevoli premi. Gli esami poi, sostenuti davanti al sindaco, o ad un suo
delegato ed all'ispettore scolastico, assumevano carattere di vera solennità
per gli alunni e per le famiglie. Era allora ispettore scolastico il professor
Silvio Jannuzzi, un prete di precedenti patriottici, elegante e sottile che
portava collari di cartoncino lucido.
Nel 1861 cominciarono le pratiche per la fondazione di un ginnasio. Nel 1867 i voti della popolazione furono esauditi ed il ginnasio fa inaugurato con ottimi auspici. Il primo rettore dell'istituto fu il sacerdote D. Giustino Muzii, ma, avendo poi questi deposto l'abito talare e preso moglie in Firenze, fu chiamato a sostituirlo il canonico Paolo Rossi, colto e di sentimenti schiettamente e temperatamente liberali. Fu professore della prima classe il sacerdote Di Girolamo, ottima persona, ma piuttosto collerica e impaziente. Per le altre classi furono nominati Francesco Di Rosso, Adolfo Mayo, Gennaro Amoroso e Giovanni Rabba-glietti, raccomandato dal patriota e deputato Ippolito Amicarelli, che reggeva il convitto Vittorio Emanuele in Napoli. Il Rabbaglietti, spirito pronto e alacre, si distingueva per il suo carattere insofferente di disciplina e per il suo esagerato anticlericalismo. Questa istituzione che prosperava egregiamente e soddisfaceva i voti di molte famiglie fu brutalmente soppressa nel 1878 dall'amministrazione progressista, apparentemente per desiderio di democratizzare la scuola, ma in realtà per dispetto al partito che l'aveva istituita ed ai professori di cui le simpatie politiche non erano un mistero.
LA CHIESA
II clero aveva costumi
esemplari ed era anche animato da sentimenti patriottici, come del resto, si verificava
in tutto l'Abruzzo dove solo i Vescovi erano rimasti reazionari e, fatte le
debite eccezioni, implacabilmente avversi al Regno d'Italia, alla dinastia e
soprattutto al partito dominante. La soppressione del convento di S. Onofrio,
occupato da pochissimi frati che, in base alle vigenti leggi, potevano essere
concentrati in altri monasteri, divise la città in due partiti di cui uno faceva
capo al teologoTommasi, spirito orgoglioso, insofferente di contrasti,
intransigente, e l'altro al canonico
Francesco Di Girolamo, ottimo cuore, ma ugualmente ostinato e collerico e di
sentimenti forse troppo spregiudicati. Certo non faceva a tutti buona
impressione la sua immancabile presenza nella Casa di Conversazione dove giuocava
al tressette e si abbandonava a discorsi piuttosto liberi, o la sua assidua
frequenza del teatro, dove per altro si nascondeva nel più oscuro angolo del
profondo palco della deputazione, non tanto per salvare le apparenze, quanto
per abbandonarsi liberamente alle emozioni che suscitavano in lui le vicende
del dramma o della commedia e che spesso si esprimevano in lacrime abbondanti ed in sgangherati eccessi di riso.
Il Tommasi non mancava di mettere in rilievo tali intemperanze presso le
autorità ecclesiastiche ed ebbe buon gioco in mano il giorno 20 settembre
quando la città fu percorsa da una dimostrazione capitanata proprio dal prete Di Girolamo che sosteneva una
bandiera sulla quale stava scritto Abbasso il Papa-Re! Tutte le mene del
Tommasi, però, non ebbero allora fortuna perché il Governo sosteneva vigorosamente
il partito moderato locale e l'amministrazione comunale ed egli stesso non
godeva di molto credito nelle alte sfere del Vaticano. Del resto, in quegli
anni il governo faceva politica rudemente anticlericale, a ciò spinto dalla
questione di Roma e dall'appoggio che Pio IX aveva dato e dava ai principi
spodestati. Durante la guerra italo-austriaca per la liberazione di Venezia,
il Tommasi con monsignor Adami ed il marchese Crognali fu mandato al domicilio
coatto... in Firenze, come sospetto di borbonismo. Fra i seguaci del Tommasi
erano segnalati l'ex monaco Saraceni, i canonici Laccetti (soprannominato
Radeskij) e Cieri. Del resto il buon senso prevaleva e tutte queste beghe non
riuscivano né a fomentare quella guerra religiosa che forse era nell'animo dei
più accesi, né a menomare il sentimento religioso che si esternava nelle
solenni processioni della Croce, della Spina, della Settimana Santa,
dell'Assunta, di S. Michele e in altre solennità ecclesiastiche. Il governo
seppe tutelare la libertà di culto."
Francesco Ciccarone
A cura di Nicola D'Adamo
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