lunedì 13 giugno 2022

Artigiani e negozianti vastesi nel 1870

 

Nel 1998 fu pubblicato il volume RICORDI di Francesco Ciccarone, a cura di Ma­ria de Luca e Costantino Felice. (Cannarsa Editore).
Nei mesi successivi, al fine di offrire un ulteriore contribu­to alla conoscenza dell'interessante au­tobiografia del politico vastese, deputato per il collegio di Vasto per tre legislature, dal 1904 al 1919, pubblicai su VASTO DOMANI quattro puntate, liberamente tratte da alcune pagine del libro, con dettagli che offrivano (e offrono) uno spaccato inedito di vita vastese a cavallo dei due secoli. Le ripubblico volentieri su NoiVastesi perchè sono di estremo interesse.
NDA

PRIMA PUNTATA

Vasto 1860-70
(dal libro "Ricordi" di Francesco . Ciccarone)

La popolazione di Vasto che allora, credo, superava i diecimila abitanti si divi­deva in cinque classi: con­tadini, marinai, artigiani, negozianti e signori. I pro­fessionisti si ritenevano appartenere a quest'ulti­ma classe.
I signori avevano diritto al "don" e si distinguevano perché indossavano un lungo soprabito e un alto cappello a cilindro.(...) Gli artigiani erano interpella­ti con il nome di battesimo e indossavano il berretto e la giacca. I contadini vesti­vano ancora all'antica. Nei giorni di festa gli uomini portavano calzoni corti di velluto, calze bianche e scarpe con la fibbia, giub­botto di velluto con i botto­ni dorati sulla camicia bianca, cappello a punta detto ad "ago di minaste"; le donne avevano le trecce annodate con nastro intor­no al capo come se fosse un'aureola e indossavano vesti e grembiuli di seta e di raso a colori vistosissimi.

Gli artigiani, vivendo sem­pre in città, in frequente contatto con i signori, go­devano di una certa cultu­ra. (...) Non erano molto numerosi, ma la loro fama si era sparsa in tutto il Circondario ed assicurava ad essi notevoli guadagni. Fra i sarti eccellevano Do­menico e Giulio Giovine, padre e figlio; fra i calzolai F.P. De Feo, il cui padre aveva per motto "Stracciar si puote, ma scucirsi mai". Altri buoni sarti erano i Trivelli ed F.P. Canci e fra i calzolai aveva buon no­me Andrea Ruggieri.

Muratori espertissimi era­no Lattanzio, Andrea Pro­vicoli, i fratelli Canci, i Del Prete. Tra i fabbri ricordo il valentissimo e ingegno­sissimo Clemente Sargiacomo e Luigi D'Andrea. Forniti negozi d'oreficeria avevano aperto Scipione Troncari. Cui succedette il figlio Ascenzio, Napoleone Giovine e Vincenzo Lante che lavoravano con molta abilità e grande buon gu­sto.

Giuseppe Nicola Monacel­li aveva ereditato l'abilità del padre Pasquale (....) nell'arte dell'intarsio, era veramente un ebanista esimio ed i suoi mobili co­struiti di buon legno e con somma accuratezza, sfida­no i secoli. Accanto a lui e dalla sua scuola erano sor­ti altri buoni falegnami.

Assai modesti erano i ne­gozi dei barbieri ed in al­cuni di essi era inflitto ai pazienti clienti il supplizio della pallacucca, posta fra i denti per mantener tesa la pelle delle guance. I buoni barbieri lavoravano nelle case dei loro clienti e fra essi ricordo Luigi Jacobucci e i fratelli Achille e Carlo Pietrocola che servi­vano anche, per le parruc­che, le compagnie teatrali ed erano flebotomi. Tra i flebotomi rammento an­che Levino Trivelli. (...)

Rinomatissima era la pa­sta di Vasto e per essa Matteo Bottari, alias "Ciaccamosta", ebbe la medaglia d'oro nell'esposi­zione di Parigi del 1869 e d'argento a quella di Vien­na nel 1870. Purtroppo trionfi si ridussero ad una sterile soddisfazione di va­nità, perché, quando co­minciarono a piovere sul Bottari le grandi ordina­zioni, fu giocoforza rispon­dere di non poter disporre di mezzi sufficienti per un largo smercio del suo ec­cellente prodotto. Altro buon fabbricante di pasta era Francesco Celenza, il quale, nei primissimi bol­lori del risorgimento ita­liano, confezionò e vendet­te largamente fettuccione tricolori.

Vi erano pure in Vasto tre orologiai, Trivelli, Romani e Forlini e un legatore di libri, Pietro Vassetta. (....) Il miglior negozio di stoffe e telerie era quello di Pantaleo Manzi, nato nella penisola Sorrentina mi pare e venuto a Vasto. I suoi guadagni furono note­voli ed egli potè aprire il suo grande negozio sulla strada della Corsea. Man­zi mise su pure una fab­brica di cera, acquistò pro­prietà terriera, costruì una casa in via Marchesani e un casino nei pressi del Convento dell'Incoro­nata.

Nella stessa Corsea vi era il negozio di D. Gaetano Anelli che era un vero ba­zar, dove ognuno poteva trovare quello che gli face­va comodo. (...) Altra bot­tega di generi diversi era quella di Ulderico Perrozzi di Monteodorisio e accan­to a lui Angelo Miscione aveva aperto un negozio di negozio di pellami, ereditato poi dai suoi numerosi figli. Marchesani e il parente (o fra­tello?) vendevano generi di cancelleria e libri scolasti­ci. Sulla fine del decennio il professor Luigi Ciampoli aprì un negozio di cartole­ria e mesticheria fornitissimo. Tutti questi nego­zianti si fornivano da Na­poli ed anche da Ancona via mare.

Ottimo ed unico dolciere era Gaetano Celano che aveva il suo laboratorio al­la piazza, nelle due botte­ghe ora occupate da Bongarzone. Erano rinomati i suoi torroni, i mostaccioli, le spolette e da tutti i pae­si del Circondario giunge­va quotidiana richiesta dei suoi prodotti. Sulla fine di questo periodo (1870 ndr), Giuseppe Lungo, che era stato apprendista del dol­ciere Spiller di Napoli, aprì un altro negozio al­l'angolo della Piazza con la via Bebbia sotto la casa dei Cancellieri. Ricordo in­fine con particolare predi­lezione uno splendido ne­gozio di giuocattoli aperto da Augusto Dau nel basso dove fino a ieri stava la farmacia Giovine.

(...) Numerosi erano i far­macisti i quali, allora, mancando le specialità belle e preparate nella far­macia, erano costretti a manipolare essi stessi i complicati rimedi prescrit­ti dalla farmacopea di qual tempo. Ricordo la far­macia De Finis a Porta Nuova, intitolata poi a Luigi Del Greco, la far­macia Martone , all'angolo orientale del palazzo Pal­mieri, la farmacia dell'Armidoro Della Guardia in piazza, la farmacia Ruzzi in piazza San Pietro e in piazza Caprioli, la farma­cia di Gabriele Della Guardia che, ispettore di tutte le farmacie del Cir­condario, si era formato una estesissima e fedele clientela. Gabriele era, co­me poi fu il figlio Giusep­pe, uno spirito bizzarro e la sua farmacia era un ve­ro circolo di allegri amici, sempre intenti ad ordire scherzose gherminelle, ad organizzare scampagnate, a prendere l'iniziativa per i veglioni, per le masche­rate, a promuovere ban­chetti, cene, spettacoli tea­trali con artisti di carriera o dilettanti del posto. Altra farmacia sorse in quel tempo a Porta Nuova, di­retta da G. Nicola Pietrocola cui successero i figli Saverio e Filippo.

Francesco Ciccarone



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