riceviamo e pubblichiamo
Giuseppe Pietrocola (1909-2001) farmacista e scrittore |
di EMANUELE FIORE
Nin ere distinate è una commedia inedita di Giuseppe Pietrocola, noto farmacista e scrittore di Vasto, vissuto tra il 1909 e il 2001. L’opera racconta una realtà tipica del Novecento: l’emigrazione in America. Le pagine di questo dattiloscritto rappresentano un cimelio per il patrimonio della lingua vastese. Ricorrenti sono le figure retoriche, tipiche del dialetto, presenti nel testo. Diverse le espressioni linguistiche ormai in disuso che confermano la transizione dal dialetto alla lingua italiana.
Temi
Il tema principale è la nostalgia. Fin dalle prime battute
della commedia traspaiono sentimenti vivi a scapito del tempo che scorre inesorabilmente. La difficoltà di lasciare la propria terra e di imbattersi in una realtà completamente diversa attanagliano la vita di Giovanni che pur di non disperdere la padronanza della lingua vastese si reca sul ponte di Brooklyn ( “lu ponde di Brocculine”) per ripetere a se stesso parole ed espressioni tipicamente abruzzesi. Lì, in quel posto dove regna il rumore della macchine,mantiene salda la conoscenza del vastese (“Aelle assopra nghi tutte chi li machine chi ci passe nisciune mi puteve sindì e accuscì parlanne parlanne nin m’ajje scurdate lu vuastarole”). La memoria è il filo cordone ombelicale che tiene legato Giovanni alla sua città natìa nonostante le migliaia di km di distanza. Così l’uomo ricorda “li passeggiate a la via di la Casette, li cerche di la Matalene, l’arche di Porta Nova (…) la torre di Sanda Maria, la lu furlone di Tuffulungille, li mascarune di la Canale, li vriccilelle di Sanda Nicole, lu scojje spaccate di la Pinnucce addo javeme pi riculizie”. Emozioni forti per cui scambierebbe volentieri la California con la città di Vasto: “La Californie chi è pure bbille, ma chi ci vò mette li mene a lu Vuaste nostre? (…) Addo li truve chi li rifilature d’aria di Sandandune canda a la condrore ci pu j’ a fa na sbambatelle”.La trama in breve
I protagonisti principali della commedia sono Incoronata e Giovanni. La scena iniziale si apre con un incontro fortuito tra i due personaggi. Tornato a Vasto dopo cinquantotto anni di lavoro in America, l’uomo intrattiene la donna ricordandole il loro primo incontro; egli rammenta ogni particolare di quel dì, la signora, al contrario, minimizza le vanità passate e proietta la sua attenzione sul presente che la condanna ad essere una “vicchione nghi tutt li capille bianche”. La conversazione ripercorre le vite dei due personaggi. Giovanni rivela che il padre, di professione marinaio , morì a causa di una tempesta estiva ( “nu matizzone”), per cui la madre decise di affiancarlo a un maestro di bottega; prima da un sarto- la cui identità rimane ignota- poi dal fabbro Maste Vassilucce. Tuttavia la passione per il mare lo spinse a seguire le orme del padre. Un mestiere che avrebbe potuto esercitare nella città di Vasto, sennonché decise di emigrare in America, dopo che l’ammasciatore Cumba Miccilutimbe ottenne il rifiuto della madre della giovane donna. Nel cuore della commedia i ricordi trovano particolare risalto : Giovanni racconta nel dettaglio i movimenti che osservava per incontrare la ragazza : fuori dalla chiesa di Santa Maria al termine della funzione religiosa o nei giorni di festa. Successivamente rievoca una particolare giornata primaverile nella quale rubò un bacio a Incoronata. L’effusione non fu preludio ad alcuna storia d’amore. La ragazza,infatti, presa dai sensi di colpa, trovò sollievo nella confessione di Don Renneste; Giovanni, rassegnato, partì in direzione dell’America. Qui si sposerà due volte volutamente con donne statunitensi affinché non potessero comprendere l’autenticità del “ti vujje bbene”, rivolto una sola volta nella vita alla ragazza vastese. Incoronata, al contrario, ebbe un matrimonio felice. Coinvolto nella guerra del Pacifico contro il Giappone, Giovanni fece un voto: al ritorno a Vasto avrebbe osservato quattro cose; recarsi al cimitero per visitare la madre, ringraziare Santo Espedito, assistere all’alba sotte a li du pignule di li Tre Signe, rivedere gli occhi di Incoronata. Il destino tuttavia non fu clemente con l’uomo. La fosse della madre andò perduta,Santo Espedito crollò a causa della frana del 1956, l’albero di pigne fu abbattuto. Il finale enfatizza sentimenti mai sopiti. Giovanni sottolinea i sacrifici compiuti per sopperire alla fame, i soprusi ricevuti a causa della sua condizione di immigrato, l’addio struggente alla madre prima di varcare la soglia di casa. Un trittico di emozioni che porta Incoronata a realizzare quello che sarebbe potuto essere e che non è stato. La conversazione termina con un laconico addio.
“Giuvà, ha calaute lu sole! Mo ti puzze dice ca nu sonne quasi a ssà
manire cacche vodde l’ajje fate pure je: ma e state sole nu sonne! Mo ci seme
arividute, ci seme parlate e mo, sindi a mmé, vidi d’aricchiappà subbete la via
di ssi Americhe. Statte bbuem, Giuva! Ti si fatte vicchie e angore ti si fatte
capace ca n ere distinate? “
“Statte bbune, Ngurnà! Si ddì vò c’arivideme aelle adadde. Aj’
arraggione, Ngurnà, nin ere distinate, nin ere proprie distinate!”
EMANUELE FIORE
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