giovedì 10 febbraio 2022

Il “Giorno del Ricordo”. Riflessioni

 
Il “Giorno del Ricordo”. Riflessioni

di GABRIELLA IZZI BENEDETTI 

É stato terribile, dopo 60 anni di silenzio, trovarsi di fronte a un’altra storia, atroce, di crudeltà e di morte. Non bastavano l’orrore dell’olocausto, l’infinita serie di efferatezze che nazismo e fascismo hanno compiuto. Dal 2005 il “Giorno del Ricordo” è venuto a metterci di fronte a un’ulteriore testimonianza, raccapricciante, a raccontarci di come basti poco perché l’essere umano si trasformi in un mostro. È un dato di fatto su cui

riflettere, e tanto, confrontarsi, per educare se stessi e gli altri a non abbassare mai la guardia.

 Altrimenti succede come per il polacco amato da tutti, negli Stati Uniti, in una piccola città. Faceva il calzolaio, era un uomo mite e sorridente. Fino a che qualcuno cominciò a dire che era uno straniero, che toglieva il pane a chi quella nazione l’aveva creata. Si era al tempo della grande depressione. Cominciarono gli scherni, gli odi, la fantasia lavorò: colpe occultate, complotti contro il governo, forse era una spia. E un giorno lo uccisero. Ecco la banalità del male.

Ma torniamo alle Foibe (crepacci carsici usati come discariche): sembra una piccola storia in confronto al tentativo di genocidio che Hitler predispose e che Mussolini sostenne. Ventimila innocenti, però, morti atrocemente, solo per ritorsione, sono una vergogna per tutta l’umanità. Quando nel settembre 1943 l’armistizio venne a creare il caos, i paesi confinanti con l’Italia ebbero più libertà di manovra. In Croazia e Slovenia, guidati da Tito, ebbe inizio la vendetta contro i fascisti croati, duri e spietati, ma non solo: tutti gli italiani che non avevano aderito al regime di Tito vennero torturati e gettati nelle foibe. Vennero massacrati carabinieri, poliziotti, guardie di finanza. I condannati, legati insieme con un filo di ferro ai polsi, collocati sul margine di una foiba, erano soggetti a una sorta di tiro a segno. I primi che cadevano all’interno si trascinavano dietro tutti gli altri che morivano fra atroci tormenti.

La storia è più complessa e più terribile, ma già queste poche note sono sconvolgenti. Questo stesso sistema, crudelissimo, fu usato da Stalin oltre che da Hitler e chissà da quanti altri dittatori, con vittime legate su precipizi marini, dirupi, crepacci. Se ci si addentra negli orrori dei massacri si rimane sbigottiti. Come è stato possibile, per esempio, da parte delle SS lanciare piccoli nati, bambini ebrei, in aria, usandoli come tiro a piattello? Come si può? Come si arriva a tanto? Solo nelle foibe di Basovizza e dintorni vennero gettati oltre 3000 innocenti.

Non è possibile abbinare i due momenti storici. È evidente che i fatti legati alle foibe furono il risultato, il prolungamento di quelli precedenti. La violenza chiama violenza, l’odio chiama odio. Un’escalation. Se però i due dittatori tedesco e italiano hanno dato il via a una tragedia immane e a una regressione morale paurosa, non per questo va minimizzato l’operato di quelli che quest’odio razziale e politico hanno fatto proprio, accanendosi contro una popolazione indifesa. Duole vedere come per troppo tempo questi avvenimenti sono stati occultati, o quantomeno  minimizzati. Mentre non bisogna temere l’obiettività.

Molti fuggirono, persero tutto, ma salvarono la pelle. E hanno avuto il vantaggio, l’opportunità, in questa nostra imperfetta democrazia, ma pur sempre democrazia, di poter raccontare, parlare, esprimere anche dissenso, senza essere torturati e uccisi. Non è poco. E dunque chi vorrebbe usare il ricordo delle foibe per dividere, non si accorge (o si accorge molto bene, e lo usa subdolamente per propri scopi) che fa lo stesso gioco crudele di chi anni fa, inoculando odio, ha creato violenza, ha ufficializzato il male.

Vorrei che questo ricordo riunisse tutti sotto un’idea comune di superamento, proprio nell’ottica democratica. Le dittature, che vengano da destra o da sinistra, sono momenti bui, sono la resa dell’uomo libero che si accolla le sue responsabilità e non si vende per opportunismi, non si mette comodo, tanto c’è un deus ex machina a risolvergli i problemi. Quel deus ex machina, ammesso e non concesso che abbia inizialmente qualche buona intenzione, una volta concentrato il potere nelle proprie mani, diverrà il tiranno, cercherà di annullare la volontà e l’autonomia dei suoi “protetti”, manipolati a suo uso e consumo. Chi reagirà, volendo tutelare la propria dignità di essere pensante, sappiamo come finirà. Se la passione politica può sfociare in spirito di parte, in passionalità che offuscano la razionalità e talvolta il senso etico, la storia di contro avrebbe il dovere di traghettare l’essere umano verso una presa di coscienza dei fatti e delle responsabilità, uscendo fuori dal guado.

I Padri Costituenti che hanno redatto la nostra Costituzione, in forma tanto lungimirante, figure tutte di altissimo profilo, provenivano da storie e ideologie differenti. E hanno dimostrato che si può dialogare, accettare la visione altrui, fare un passo indietro, riconoscere errori, rinunciare a protagonismi per il bene comune. E’ una grande lezione che non dovrebbe mai essere dimenticata.

Gabriella Izzi Benedetti


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