Un racconto tra ricostruzione storica e ricordi di famiglia.
di Alessandro Cianci
Sono passati esattamente cento anni da quando, il 17 aprile 1921, un gruppo di camicie nere prese d’assalto la Camera del Lavoro di Vasto.
Fin dalla sera precedente una banda di squadristi aveva accolto con minacce e sassate
alcuni militanti socialisti arrivati da tutto l’Abruzzo per partecipare ad una importante riunione, costringendoli a ripartire.La mattina del 17 aprile, come racconta lo storico Costantino Felice[1], presso la Camera del Lavoro l’assemblea ebbe inizio lo stesso, nonostante le tensioni e le obbligate defezioni.
Nel frattempo la squadra fascista, almeno 150 persone provenienti da Gissi, Vasto ed altri paesi del circondario, si diresse,bastoni alla mano, verso i locali dove erano riuniti i socialisti. In un primo momento intervenne la forza pubblica sbarrando le vie d’accesso, senza tuttavia riuscire a fermare i facinorosi che penetrarono in un edificio e sfondarono addirittura un muro facendo irruzione nell’aula gremita. Partì un lancio di sassi e vennero esplosi alcuni colpi di pistola.
I socialisti furono accerchiati e sequestrati in un angusto stanzino. I fascisti intimarono loro di inneggiare a Benito Mussolini, ma ovviamente questi si rifiutarono e ne seguirono violente colluttazioni. A quel punto le camicie nere scatenarono tutta la loro furia, devastando ed incendiando i locali della Camera del Lavoro, prima di muovere verso piazza Barbacani, dove distrussero anche la sede della Cooperativa Agraria di ispirazione socialista: La Fratellanza. Non mancarono di sottrarre documenti, sigilli, tessere, impossessandosi anche del denaro trovato nelle casse sociali.
Ma la violenza non cessò neppure allora, complice un certo immobilismo della polizia. Tra la folla, infatti, si sparse la voce che una bandiera rossa era conservata presso la casa di Vincenzo Del Casale, noto rappresentante del Partito Socialista vastese.
L’orda tumultuante,guidata dal netturbino Giuseppe Valentini e da tale Nicola Zazzillo, detto Coluccio luCicoràre, si portò sotto l’abitazione, in via dell’Ospedale, attuale via Anelli. Fu così che la squadraccia, seguita da un’enorme folla, tentò di abbattere la porta d’ingresso dei Del Casale,che nel frattempo si erano rifugiati sul tetto.
E fu proprio dal tetto che Leonardo, Nicolamaria, Vincenzo, Antonio e Michele Del Casale decisero di difendersi, sparando anche dei colpi di fucile. Il militante fascista Giuseppe Valentini fu ferito ad un braccio, ne seguirono momenti concitati e solo a quel punto intervenne la forza pubblica a ristabilire l’ordine. Due dei fratelli Del Casale furono arrestati con l’accusa di ferimento ed uno finì condannato in carcere per diversi mesi.
Nulla accadde agli assalitori neri: il clima politico era già cambiato, la violenza fascista si stava imponendo in tutta la nazione.
Lo storico Felice conclude sottolineando come la distruzione della Camera del Lavoro rappresentò per la città uno spartiacque tra la fine dello Stato liberale e l’inizio della dittatura, costringendo per lungo tempo alla marginalità l’esperienza socialista vastese, nonché le organizzazioni democratiche di ogni ispirazione.
Ma anche in un campo arso dal fuoco, un nuovo fiore, se vuole,trova il modo di germogliare. Nel cupo scenario del giorno dopo, un ragazzino dodicenne, figlio di contadini, raggiunse la devastata Camera del Lavoro. Sotto la cenere ancora calda trovò vari documenti, qualche opuscolo di propaganda, diversi libri e dei francobolli. Decise di raccogliere tutto e custodire il suo piccolo tesoro.
Col tempo Vincenzo, questo era il suo nome, iniziò a leggere i libri che aveva recuperato dal fuoco. In quelle pagine trovò parole di eguaglianza, di lotta ed emancipazione che lo colpirono profondamente, influenzandone le idee. Negli anni a seguire, mentre tanti vastesi accettarono il regime,alcuni non si piegarono alla dittatura. Come precisa lo storico Costantino Felice, tra le famiglie che “non cedettero al conformismo e alla piaggeria”ci fu proprio quella di Vincenzo[2].
Con la fine del fascismo e la rinascita della democrazia, tutti coloro che si erano dovuti nascondere per un ventennio, tornarono a potersi riunire liberamente esi poterono riaprire le varie sedi di partito.
Il 23 settembre 1945 si svolse anche il primo congresso della sezione vastese del Partito Comunista italiano.
Tra i fondatori, membro del primo direttivo[3],
vi fu anche Vincenzo, ormai adulto, che non aveva dimenticato le devastazioni,
le violenze ed i soprusi iniziati in quel lontano 1921.
E soprattutto non aveva
dimenticato quanto letto e studiato sui libri salvati dall’incendio appiccato
alla Camera del Lavoro. Al suo piccolo tesoro doveva la scelta di aderire al PCI.
Negli anni ‘60 Vincenzo fu anche eletto consigliere comunaledel Partito Comunista. Nelle sue memorie V. Terpolilli, storico dirigente comunista, scrisse di lui come di una figura di spicco tra i militanti vastesi[4].
Vincenzo era mio nonno. Mastro Vincenzo Cianci Lu Scarpàre. Classe 1909, c’è ancora chi lo ricorda nella sua puteche a lu Ciardinétte, curvo sul deschetto intento a realizzare un nuovo paio di scarpe.
Conservo ancora i suoi libri e la sua collezione di francobolli.
E conservo soprattutto i suoi insegnamenti, le sue parole, le parole di chi ha affrontato a testa alta il momento più cupo della nostra storia, continuando poi a lottare per l’uguaglianza e la giustizia sociale.
Questo articolo è dedicato alla sua memoria e alla memoria di tutti quei vastesi che non si arresero.
Alessandro CIANCI
[1]Costantino Felice “Vasto, storia di una città” Donzelli Editore 2011, pp. 381 e successive.
[2]“Occorre tuttavia ricordare che, seppure minoritari e di scarsa influenza, anche a Vasto ci furono alcuni – talvolta interi nuclei familiari (Santarelli, Del Casale, Cecalupi, Marinelli, Tenaglia, Cianci) – che non cedettero al conformismo e alla piaggeria” in: Costantino Felice “Vasto, un profilo storico. Economia, società, politica, cultura” La Ginestra Editrice s.r.l. 2001 pag. 113.
[3] “La riunione si tenne a casa di Edoardo Lattanzio. Divenne segretario il funaio Nicola D’Accurzio, sostituito più tardi da Edoardo Lattanzio. Gli altri membri del direttivo erano: Amedeo Del Moro, il pasticciere Rodolfo Pietrocola e i calzolai Nicola Raspa e Vincenzo Cianci” in C. Felice 2011, op. cit.
[4]“Ottima impressione ricavai dai militanti che erano espressione di veri e propri gruppi famigliari (...) Spiccavano le figure di due artigiani, il ramaio scultore Santarelli e il calzolaio mastro Vincenzo Cianci, con la bottega in largo Caprioli” inVincenzo Terpolilli “Una Vita” edizione Cannarsa 1999, pag. 121
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