di LINO SPADACCINI
“Scambiano per un disoccupato l’autore di Cristo fra i muratori”. È questo il curioso titolo a quattro colonne apparso sul Corriere della Sera del 16 aprile 1960, in occasione del primo viaggio in Italia di Pietro Di Donato.
Già
dieci giorni prima, la stessa testata nazionale, aveva annunciato l’arrivo in
Italia dello scrittore di origine vastese: “Figlio
di un muratore tragicamente deceduto Di Donato è nato negli Stati Uniti e può
finalmente, all’età di quarantanove anni, realizzare quello che è stato il suo
sogno della sua vita e, cioè, visitare il paese dei suoi genitori: Vasto”.
Pietro Di Donato programma il viaggio in Italia per parlare con Alessandro Serenelli, l’assassino di Maria Goretti (incontro che avverrà il 20 aprile), e
visitare i luoghi dove visse la Santa.“Non si può non capire subito”, spiega il
cronista, “che Pietro Di Donato, lo
scrittore americano di origine italiana, che balzò alla celebrità, circa venti
anni or sono, col suo «Cristo fra i muratori», è abruzzese. Egli parla infatti
solo due lingue: l’inglese e un abruzzese commisto ad altri termini dialettali
meridionali, la lingua degli emigranti. Anche nell’aspetto ha conservato la
sagoma del muratore: ha i capelli brizzolati, gli occhi color nocciola, il
gestire franco, il volto chiaro di certi artigiani del Sud”.
Appena
arrivato in Italia, trascorre le giornate in giro per la Capitale a parlare con
manovali, operai e artigiani, tanto che, a causa del suo dialetto, viene
scambiato per un disoccupato. Addirittura, nei pressi della stazione Termini, i
caporali del lavoro nero lo avvicinano e, dopo avergli valutato le mani
pesanti, gli propongono un lavoro.
È
la prima volta che Di Donato viene in Italia e a Roma si trova spaesato e
curioso “non come uno che arriva da Nuova
York”, spiega il cronista, “ma come
se venisse da Vasto”. “Questa”,
spiega lo scrittore italo-americano, “è
solo la facciata dell’Italia, ma L’Italia voglio andarla a trovare al paese di
mio padre, dove debbo portare i saluti a tanti compaesani”.
Di
Donato mostra al cronista la sua mano destra, piena di calli grossi e gialli,
le mani di chi ha maneggiato per quindici anni la cazzuola, o come la chiama
lui la “cucchiaia”, e racconta la sua vita: “Mio padre era di Vasto come mia madre, ed era un bravo muratore. Emigrò
nel 1895. Eravamo otto figli. Si viveva sempre con i paesani i «vastaroli» che
facevano i muratori, i manovali, i carpentieri. Quanta forza ci voleva! E la
forza degli italiani in America oggi è la forza del cafone trasformato. Io
andavo alla scuola cattolica, mi piaceva tanto studiare. Mio padre cercava di
parlare americano, io non ci riuscivo. Oggi parlo bene l’inglese, ma lo parlo
come un attore. Una volta mi feci chiamare Peter, volevo americanizzarmi, ma
poi sono rimasto Pietro. Il mondo era bello finché mio padre non perì nel
crollo di una casa. Allora divenne nero e ostile e, da solo, bimbo di tredici
anni, dovetti mantenere sette fratelli e sorelle e mia madre. Feci,
naturalmente, il muratore; a 18 anni andando anche alle scuole serali di
mestiere, ero diventato capomastro. Guadagnavo da principio cinque «scudi»
(dollari) alla settimana, dopo la paga passò a cinque «scudi» al giorno e poi
all’ora. Un giorno vidi morire un manovale che cadde dall’altezza di otto
piani. Compresi che dovevo cambiare la ruota del mio destino”.
Con
la crisi del ’29, rimasto disoccupato, cominciò a leggere romanzi dei grandi
scrittori dell’Ottocento. Per altri dieci anni continuò a lavorare come
muratore, ma cominciò anche a scrivere. Nel 1938 pubblicò il suo capolavoro “Cristo fra i muratori” (“Christ in concrete”). Il successo fu da
subito enorme, e lo catapultò in una dimensione nuova, che lo stravolse
inesorabilmente, provocandone anche dei grossi traumi psicologici. I centomila
dollari guadagnati per i diritti d’autore finirono presto: comprò automobili
per i fratelli e sperperò tutto il denaro fino a ritrovarsi più povero di
prima. Intanto si sposò con un’americana, da cui ebbe due figli.
Pian
piano ricominciò a scrivere racconti e articoli, fino al 1958, quando pubblicò
il suo secondo libro “This woman”, la
storia del cafone cui piovono dal cielo centomila dollari e che scopre il
vizio, la perdizione. Un vero e proprio libro autobiografico, che, in un certo
senso, rappresentò una liberazione per l’autore.
Nel
1960, proprio nei giorni di permanenza in Italia, viene pubblicato il suo terzo
libro, che segue dopo pochi mesi l’uscita del secondo libro “Immigrant Saint: The life of Mother Cabrini”,
a detta di Di Donato, superiore a “Cristo
fra i muratori”. Il titolo è “Tre
cerchi di luce” (“Three circles of
light”) ed è la storia del padre, della sua partenza dall’Italia, della sua
vita e della sua morte, della madre, dei compaesani, i «vastaroli».
“La sua poetica di scrittore”, scrive
ancora il cronista del Corriere, “è chiusa nel mondo degli emigranti italiani,
nella storia dell’eroica e tragica vicenda dell’emigrazione meridionale. Il
miracolo non è che questo muratore abruzzese-americano sia diventato scrittore,
ma che egli, benché sia venuto per la prima volta in Italia, comunichi con me
con la immediatezza di un figlio di contadini delle mie parti, come se fosse
nato qui e suo padre non fosse mai partito”.
Dopo
la breve visita a Vasto, Di Donato torna negli Stati Uniti per dare corpo al
suo nuovo libro, “The Penitent”, che
vedrà la luce due anni più tardi.
Di
Donato tornerà altre due volte a Vasto, nel 1974, quando riceverà l’omaggio
dell’allora Sindaco Nicola Notaro, e ancora tre anni più tardi, per trovare
materiale per il suo nuovo romanzo.
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