La prof. Gabriella Izzi Benedetti prende spunto dall'ultimo articolo del prof. Luigi Murolo sui "Borghi nuovi" del Ventennio, in cui si parla dell'ing. Antonio Izzi, per sottolineare che suo padre affrontò anche i problemi del dissesto idrogeologico. E riferisce di ciò che l'ing. Izzi propose in una mitica conferenza del 1926. In sostanza dopo un secolo le soluzioni suggerite da Izzi sono di estrema attualità, ma non sono state ancora realizzate!
di Gabriella Izzi Benedetti
L’articolo del prof. Murolo in cui cita mio padre, Antonio Izzi, (e trovo che ha ragione nel dolersi della scarsa attenzione ai problemi territoriali vastesi da parte dei concittadini) mi pone l’obbligo di metterlo al corrente che questa sensibilità mio padre l’ebbe e ne parlò in più occasioni. Evidenzio, per restringere il campo, il libro di lui Pagine di guerra e di prigionia (riedito dall’editore Cannarsa, con prefazione di Walter Capezzali e postfazione di Puccio Benedetti).
Frana di Vasto 1956 : sistemazione strada per la Stazione |
di Gabriella Izzi Benedetti
L’articolo del prof. Murolo in cui cita mio padre, Antonio Izzi, (e trovo che ha ragione nel dolersi della scarsa attenzione ai problemi territoriali vastesi da parte dei concittadini) mi pone l’obbligo di metterlo al corrente che questa sensibilità mio padre l’ebbe e ne parlò in più occasioni. Evidenzio, per restringere il campo, il libro di lui Pagine di guerra e di prigionia (riedito dall’editore Cannarsa, con prefazione di Walter Capezzali e postfazione di Puccio Benedetti).
Nella postfazione Puccio Benedetti sintetizzò tre sue conferenze, una delle quali Idrografia e sistemazione idraulica dell’ Abruzzo citeriore, tenuta il 6 marzo 1926 nell’Aula magna dell’Istituto Commerciale “Nicola Paolucci”.
In essa si può notare che, in questi 80-90 anni, la questione ambientale resta, almeno per il disboscamento, ancora molto precaria, con l’aggiunta dell’inquinamento. L’ingegnere Izzi si sofferma su problemi urgenti che “attendono ancora un’adeguata soluzione”. E affrontarli in una conferenza finiscono per essere: “…come dei mercati d’idee che attendono il suggello per entrare nella circolazione del pensiero.” Da troppo tempo, nota, il sentimento regionale viene confuso col regionalismo: “….che è invece la sopraffazione di una regione sull’altra, sicché ne derivò che negli organi centrali non venne tenuto conto dei fattori geografico-sociali che debbono presiedere ad una salda organizzazione economica della Nazione.
Bisognerebbe restituire agli italiani lo “spirito geografico” rinascimentale e “…che oggi è un privilegio dei popoli anglosassoni”. Il problema centrale è mettere a frutto le risorse naturali e fra queste, specie per l’Abruzzo, indispensabile è ”… regimentazione delle acque dei nostri torrenti e dei nostri fiumi.”Interessante è la citazione di Leonardo da Vinci: “li monti son fatti dalli corsi de’ fiumi e son disfacti dalle piogge e dai fiumi”.
“E l’acqua… questo elemento essenziale di vita che partecipa in maniera mirabile alla vita del nostro universo col suo ininterrotto ciclo fra la terra e il cielo o il cielo e la terra, l’acqua fonte di ricchezza e di energia, diventa talvolta apportatrice di disastri ed elemento di morte. E la nostra provincia, si trova in completo disordine idraulico”. La ragione prima risiede nella mancanza di alberi; il disboscamento costante: “perpetrato per interi decenni, in una maniera feroce, senza la direttiva di alcun criterio all’infuori di quello dell’immediato guadagno, determinò il regime torrentizio nei nostri fiumi che con le loro piene violente trasportano a valle detriti e ciottoli devastando terreni ubertosi. A cominciare dalla Pescara, il nostro maggiore fiume, per andare al Sangro, all’Osento, al Sinello, al Trigno, ed ai torrenti minori quali il Feltrino, il Moro, il Foro e l’Alento è necessario provvedere alla loro sistemazione montana per arrivare ad una definitiva sistemazione valliva. E in questa sistemazione montana una parte preminente è data dal sistematico e razionale rimboschimento, giacché l’azione benefica che viene esercitata dai boschi, oltre ad essere di conservazione e di accrescimento di portata delle sorgenti, si esplica anche per azione meccanica, impedendo alle acque provenienti dalle piogge o dallo scioglimento delle nevi di fluire rapidamente lungo le pendici dei monti. I boschi danno la possibilità al terreno permeabile di assorbire l’acqua necessaria per i serbatoi naturali delle sorgenti. Essi evitano in questo modo l’immediato gonfiarsi dei corsi d’acqua a causa delle piogge e di un repentino scioglimento delle nevi e permettono che ciò avvenga in maniera lenta e regolare”.
Questa situazione ha determinato la scomparsa di molte sorgenti, l’impoverimento di altre, oltre ad un regime irregolare che ha provocato l’espandersi degli alvei dei fiumi, che hanno allargato moltissimo in tempo di piena il proprio letto. Il Sangro da un massimo di portata di circa 25000 litri scende a 2000 nei periodi di magra, sicché: “… migliaia di ettari di terreno sono rubati all’agricoltura che è e rimane la fonte prima della nostra vita. Il fiume Sinello, ad esempio, che ha modestissime origini e modesta portata, sotto Carpineto Sinello, sotto Gissi, occupa nientemeno un alveo di più di 300 metri di larghezza, mentre la sua massima portata in rapporto alla pendenza potrebbe essere contenuta in un canale di una larghezza dieci volte minore”.
E la sistemazione deve avvenire sia a monte che a valle dove la perdita di terreno coltivabile, grazie anche alla corrosione a agli smottamenti, penalizza fortemente i proprietari rivieraschi. Fra gli imbrigliamenti di cui parla l’oratore, per arginare i fiumi : “…si sta provvedendo all’arginatura… con gabbionate metalliche a scatola Palvis. Questi gabbioni sono formati da filo di ferro doppiamente zingato e ripieni di ciottoli. Uniti insieme formano delle dighe e dei pannelli o repellenti che si slanciano nell’alveo del fiume onde infrangere e contenere l’impetuosa corrente.”
Bisognerebbe restituire agli italiani lo “spirito geografico” rinascimentale e “…che oggi è un privilegio dei popoli anglosassoni”. Il problema centrale è mettere a frutto le risorse naturali e fra queste, specie per l’Abruzzo, indispensabile è ”… regimentazione delle acque dei nostri torrenti e dei nostri fiumi.”Interessante è la citazione di Leonardo da Vinci: “li monti son fatti dalli corsi de’ fiumi e son disfacti dalle piogge e dai fiumi”.
“E l’acqua… questo elemento essenziale di vita che partecipa in maniera mirabile alla vita del nostro universo col suo ininterrotto ciclo fra la terra e il cielo o il cielo e la terra, l’acqua fonte di ricchezza e di energia, diventa talvolta apportatrice di disastri ed elemento di morte. E la nostra provincia, si trova in completo disordine idraulico”. La ragione prima risiede nella mancanza di alberi; il disboscamento costante: “perpetrato per interi decenni, in una maniera feroce, senza la direttiva di alcun criterio all’infuori di quello dell’immediato guadagno, determinò il regime torrentizio nei nostri fiumi che con le loro piene violente trasportano a valle detriti e ciottoli devastando terreni ubertosi. A cominciare dalla Pescara, il nostro maggiore fiume, per andare al Sangro, all’Osento, al Sinello, al Trigno, ed ai torrenti minori quali il Feltrino, il Moro, il Foro e l’Alento è necessario provvedere alla loro sistemazione montana per arrivare ad una definitiva sistemazione valliva. E in questa sistemazione montana una parte preminente è data dal sistematico e razionale rimboschimento, giacché l’azione benefica che viene esercitata dai boschi, oltre ad essere di conservazione e di accrescimento di portata delle sorgenti, si esplica anche per azione meccanica, impedendo alle acque provenienti dalle piogge o dallo scioglimento delle nevi di fluire rapidamente lungo le pendici dei monti. I boschi danno la possibilità al terreno permeabile di assorbire l’acqua necessaria per i serbatoi naturali delle sorgenti. Essi evitano in questo modo l’immediato gonfiarsi dei corsi d’acqua a causa delle piogge e di un repentino scioglimento delle nevi e permettono che ciò avvenga in maniera lenta e regolare”.
Questa situazione ha determinato la scomparsa di molte sorgenti, l’impoverimento di altre, oltre ad un regime irregolare che ha provocato l’espandersi degli alvei dei fiumi, che hanno allargato moltissimo in tempo di piena il proprio letto. Il Sangro da un massimo di portata di circa 25000 litri scende a 2000 nei periodi di magra, sicché: “… migliaia di ettari di terreno sono rubati all’agricoltura che è e rimane la fonte prima della nostra vita. Il fiume Sinello, ad esempio, che ha modestissime origini e modesta portata, sotto Carpineto Sinello, sotto Gissi, occupa nientemeno un alveo di più di 300 metri di larghezza, mentre la sua massima portata in rapporto alla pendenza potrebbe essere contenuta in un canale di una larghezza dieci volte minore”.
E la sistemazione deve avvenire sia a monte che a valle dove la perdita di terreno coltivabile, grazie anche alla corrosione a agli smottamenti, penalizza fortemente i proprietari rivieraschi. Fra gli imbrigliamenti di cui parla l’oratore, per arginare i fiumi : “…si sta provvedendo all’arginatura… con gabbionate metalliche a scatola Palvis. Questi gabbioni sono formati da filo di ferro doppiamente zingato e ripieni di ciottoli. Uniti insieme formano delle dighe e dei pannelli o repellenti che si slanciano nell’alveo del fiume onde infrangere e contenere l’impetuosa corrente.”
Unitamente al disordine idraulico un altro grave problema incombe sull’Abruzzo, poiché da una recente statistica risulta che i comuni minacciati dalle frane sono una quantità impressionante: “Triste cosa è per i nostri laboriosi coloni, dover abbandonare la propria terra, la propria casa minacciata dalla rovina, ed andare peregrinando lontano, emigrare col pianto nell’anima per cercare ambienti più adatti alla propria vita!
Spettacolo triste, tutte le volte che attraverso questi nostri paesi in frana, paesi come Furci che ha poco di diverso dai paesi terremotati della Marsica, o come Guilmi ove all’ingresso del paese un rudere indica ove pochi anni or sono una chiesa venne completamente inghiottita dalla frana!”.
L’oratore passa ad analizzare la natura geologica del sottosuolo abruzzese. E di ciò è molto consapevole: da qualche anno era divenuto direttore dei lavori per l’Acquedotto del Sinello, e aveva analizzato il terreno per decine di chilometri fino a profondità di 6 metri: “Argilla abbiamo trovato negli scavi di sbancamento delle sorgenti, argilla nell’impianto del serbatoio di Gissi, argilla a Furci, argilla a Cupello e al serbatoio di Vasto, argilla marnosa a Scerni. Dovunque argilla, in prevalenza sempre quando risulta unita ad altri silicati”.
Questa roccia, mentre è impermeabile se si trova in strati compatti, in altra situazione assorbe l’umidità e aumenta fino a 34% del suo volume e annulla la sua forza di coesione, “sicché l’acqua atmosferica, penetrando nel sottosuolo, si forma sugli strati di argilla la quale, disfacendosi nelle sue parti superficiali, forma una specie di fanghiglia lubrificante e quindi un piano di scorrimento per tutto il terreno soprastante; che a causa della forza di gravitazione tende a scivolare verso il basso.”
Perciò due fattori sono da contrastare: l’acqua che penetra nel sottosuolo e la natura stessa del sottosuolo. Ma siccome la natura del sottosuolo non può essere modificata, bisogna agire sull’acqua disciplinandola al meglio, e se è possibile, anche nel sottosuolo.
E di nuovo l’oratore ribadisce l’importanza degli alberi. “Se in molte zone i boschi non fossero stati distrutti… non dovremmo combattere oggi contro un nemico dippiù. Se Guilmi non si trovasse, come si trova, sul cocuzzolo di una collina spelacchiata, sentirebbe meno il pericolo di dover arrivare, un brutto giorno, in fondo alla valle del Sinello. Se nella nostra Vasto, sotto il muro delle Lame, nei terreni adiacenti alla strada Nazionale si proibisse con una espropriazione per pubblica utilità, di tenere gli orti che appesantiscono il terreno per la necessità d’irrigazione, aumentandone la facoltà di scorrimento, e al posto degli orti sorgesse un magnifico parco di pini che dalla città si estendesse verso il mare, si verrebbe a diminuire di molto la probabilità di franare, per il terreno soprastante, assicurando alla città una maggiore protezione.” E il rimboschimento deve essere affiancato, nei comuni minacciati, da muri di sostegno, da fognature e gallerie filtranti.
Spettacolo triste, tutte le volte che attraverso questi nostri paesi in frana, paesi come Furci che ha poco di diverso dai paesi terremotati della Marsica, o come Guilmi ove all’ingresso del paese un rudere indica ove pochi anni or sono una chiesa venne completamente inghiottita dalla frana!”.
L’oratore passa ad analizzare la natura geologica del sottosuolo abruzzese. E di ciò è molto consapevole: da qualche anno era divenuto direttore dei lavori per l’Acquedotto del Sinello, e aveva analizzato il terreno per decine di chilometri fino a profondità di 6 metri: “Argilla abbiamo trovato negli scavi di sbancamento delle sorgenti, argilla nell’impianto del serbatoio di Gissi, argilla a Furci, argilla a Cupello e al serbatoio di Vasto, argilla marnosa a Scerni. Dovunque argilla, in prevalenza sempre quando risulta unita ad altri silicati”.
Questa roccia, mentre è impermeabile se si trova in strati compatti, in altra situazione assorbe l’umidità e aumenta fino a 34% del suo volume e annulla la sua forza di coesione, “sicché l’acqua atmosferica, penetrando nel sottosuolo, si forma sugli strati di argilla la quale, disfacendosi nelle sue parti superficiali, forma una specie di fanghiglia lubrificante e quindi un piano di scorrimento per tutto il terreno soprastante; che a causa della forza di gravitazione tende a scivolare verso il basso.”
Perciò due fattori sono da contrastare: l’acqua che penetra nel sottosuolo e la natura stessa del sottosuolo. Ma siccome la natura del sottosuolo non può essere modificata, bisogna agire sull’acqua disciplinandola al meglio, e se è possibile, anche nel sottosuolo.
E di nuovo l’oratore ribadisce l’importanza degli alberi. “Se in molte zone i boschi non fossero stati distrutti… non dovremmo combattere oggi contro un nemico dippiù. Se Guilmi non si trovasse, come si trova, sul cocuzzolo di una collina spelacchiata, sentirebbe meno il pericolo di dover arrivare, un brutto giorno, in fondo alla valle del Sinello. Se nella nostra Vasto, sotto il muro delle Lame, nei terreni adiacenti alla strada Nazionale si proibisse con una espropriazione per pubblica utilità, di tenere gli orti che appesantiscono il terreno per la necessità d’irrigazione, aumentandone la facoltà di scorrimento, e al posto degli orti sorgesse un magnifico parco di pini che dalla città si estendesse verso il mare, si verrebbe a diminuire di molto la probabilità di franare, per il terreno soprastante, assicurando alla città una maggiore protezione.” E il rimboschimento deve essere affiancato, nei comuni minacciati, da muri di sostegno, da fognature e gallerie filtranti.
Ma i problemi non finiscono qui, ne esiste un altro gravissimo: molti, egli afferma, non sanno che un terzo del territorio della provincia di Chieti è dichiarato malarico. Il discorso non riguarda solo l’Abruzzo, in Italia su 9203 comuni 2463 sono malarici. “… nel solo mezzogiorno d’Italia oltre 6 milioni di ettari di terreno sono pienamente in regime malarico. La bonifica quindi dei nostri territori, delle nostre valli e pianure, va immediatamente affrontata nel suo triplice aspetto: idraulico, agricolo ed igienico”.
Sono esistite leggi sulle bonifiche, specie la legge Baccarini nel 1883. Solo che nel nord Italia essa trovò facile applicazione, anche per la buona sistemazione idrologica; nel sud la faccenda è andata diversamente, a causa della differente forma di economia fra nord e sud. E dunque in Abruzzo la sola bonifica idraulica non è sufficiente, ma va integrata con una bonifica agraria e sanitaria
“E’ assai triste il fenomeno della bizzarra esistenza di quegli uomini che da anni sono costretti a vivere ingabbiati fra retri di ferro, come tante volte osserviamo, con una pena nel cuore, in alcune stazioni ferroviarie e in tante case coloniche.Combattere la malaria col bonificare i nostri territori significa restituire dignità e salute alla nostra gente, sottrarla ad un flagello sempre più grave per intensità ed estensione”.
C’è poi una riflessione storica sull’unificazione d’Italia: “L’aver avvicinato allora due economie diverse, quella del Nord e quella del Sud determinò una costrizione di vita nel mezzogiorno, e quindi anche nel nostro Abruzzo. Ciò avvenne infatti perché l’antico reame di Napoli, di cui faceva parte la nostra regione, dette liberamente il suo mezzo miliardo di spezzati, nel totale dei settecento milioni che il giovane Regno d’Italia riuscì a riunire dagli antichi stati della Penisola. Mentre il debito pubblico, al momento dell’unificazione del regno era di soli 26 milioni, i meridionali liberamente accettarono il debito pubblico totale, di gran lunga superiore, e che venne a dare un grave colpo, come dimostra l’Aris, alla economia finanziaria del mezzogiorno.
Ma allora era urgente provvedere alle esigenze della difesa del nostro territorio e alle necessità politiche, né nella letizia della unificazione protestarono i meridionali, quando i loro risparmi dovettero servire ad organizzare ed attrezzare le industrie settentrionali.
E dopo aver dato il proprio denaro, il mezzogiorno, e quindi l’Abruzzo, dette il proprio sangue alla difesa della Patria. Con un’unica sola fede partecipò alla grande guerra, combatté il nemico, irrorò del suo sangue più puro le arse zolle del Carso e le giogaie alpine, le nostre donne guidarono l’aratro, gli esiliati dalla loro terra inospitale si affrettarono al ritorno, e molti soffersero e perirono per la Patria che non ancora volgeva uno sguardo sorridente e benigno a questo nostro mezzogiorno prodigo e valoroso.
Ancora una volta Antonio Izzi reitera l’esigenza di vera unificazione d’Italia: “Io credo che se fra Nord e Sud si riconsacra un patto fraterno, nella febbre delle opere e nel ritmo dell’iniziato lavoro, l’Italia sarà ancora nel mondo esempio di grandezza, come lo è di civiltà, di cui fu la culla.”
Sono esistite leggi sulle bonifiche, specie la legge Baccarini nel 1883. Solo che nel nord Italia essa trovò facile applicazione, anche per la buona sistemazione idrologica; nel sud la faccenda è andata diversamente, a causa della differente forma di economia fra nord e sud. E dunque in Abruzzo la sola bonifica idraulica non è sufficiente, ma va integrata con una bonifica agraria e sanitaria
“E’ assai triste il fenomeno della bizzarra esistenza di quegli uomini che da anni sono costretti a vivere ingabbiati fra retri di ferro, come tante volte osserviamo, con una pena nel cuore, in alcune stazioni ferroviarie e in tante case coloniche.Combattere la malaria col bonificare i nostri territori significa restituire dignità e salute alla nostra gente, sottrarla ad un flagello sempre più grave per intensità ed estensione”.
C’è poi una riflessione storica sull’unificazione d’Italia: “L’aver avvicinato allora due economie diverse, quella del Nord e quella del Sud determinò una costrizione di vita nel mezzogiorno, e quindi anche nel nostro Abruzzo. Ciò avvenne infatti perché l’antico reame di Napoli, di cui faceva parte la nostra regione, dette liberamente il suo mezzo miliardo di spezzati, nel totale dei settecento milioni che il giovane Regno d’Italia riuscì a riunire dagli antichi stati della Penisola. Mentre il debito pubblico, al momento dell’unificazione del regno era di soli 26 milioni, i meridionali liberamente accettarono il debito pubblico totale, di gran lunga superiore, e che venne a dare un grave colpo, come dimostra l’Aris, alla economia finanziaria del mezzogiorno.
Ma allora era urgente provvedere alle esigenze della difesa del nostro territorio e alle necessità politiche, né nella letizia della unificazione protestarono i meridionali, quando i loro risparmi dovettero servire ad organizzare ed attrezzare le industrie settentrionali.
E dopo aver dato il proprio denaro, il mezzogiorno, e quindi l’Abruzzo, dette il proprio sangue alla difesa della Patria. Con un’unica sola fede partecipò alla grande guerra, combatté il nemico, irrorò del suo sangue più puro le arse zolle del Carso e le giogaie alpine, le nostre donne guidarono l’aratro, gli esiliati dalla loro terra inospitale si affrettarono al ritorno, e molti soffersero e perirono per la Patria che non ancora volgeva uno sguardo sorridente e benigno a questo nostro mezzogiorno prodigo e valoroso.
Ancora una volta Antonio Izzi reitera l’esigenza di vera unificazione d’Italia: “Io credo che se fra Nord e Sud si riconsacra un patto fraterno, nella febbre delle opere e nel ritmo dell’iniziato lavoro, l’Italia sarà ancora nel mondo esempio di grandezza, come lo è di civiltà, di cui fu la culla.”
Luigi Murolo parla di alcune iniziative utili avvenute tra il ’27 e il ’29. E’ probabile che mio padre ne sia stato partecipe o quantomeno consigliere.
Gabriella Izzi Benedetti
Gabriella Izzi Benedetti
1 commento:
Grazie per aver condiviso questo studio. Molto interessante la relazione sulle caratteristiche idrogeologiche del territorio abruzzese e il dettaglio relativo a Vasto e al suo primo entroterra, nonchè le soluzioni prospettate, che oggi ci piacerebbe definire "green" o "ecocompatibili": come si vede non si inventa nulla.
Oltre agli aspetti di ingegneria civile, mi ha colpito questo passaggio che è un'interessante chiave di lettura per interpretare anche altre problematiche radicate e legate allo sviluppo a due velocità dell'Italia: "..ciò avvenne infatti perché l’antico reame di Napoli, di cui faceva parte la nostra regione, dette liberamente il suo mezzo miliardo di spezzati, nel totale dei settecento milioni che il giovane Regno d’Italia riuscì a riunire dagli antichi stati della Penisola. Mentre il debito pubblico, al momento dell’unificazione del regno era di soli 26 milioni, i meridionali liberamente accettarono il debito pubblico totale.."
Cosa sono il mezzo miliardo di spezzati a cui fa riferimento l'ingegner Izzi?
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