rIPUBBLICHIAMO L'APPROFONDITA INDAGINE E LE PROPOSTE DI UN ESPERTO
iNG. ANTONIO SANTORO
L’interesse che oggi desta il problema del Centro Storico di Vasto è di
dimensioni tali che intorno ad esso tutti i mezzi di diffusione quotidianamente
dedicano spazi sempre più ampi. Il fenomeno a mio avviso rischia di diventare
una moda. Anch’io ho ceduto alla tentazione di questo richiamo torse attratto -
per dirla con Giuseppe Catania - dagli splendori di una società passata ricca
di una civiltà quantomai significativa.
I. Scopo del lavoro
Scopo del presente lavoro è quello di evidenziare le problematiche
che si generano attorno a scelte che solo apparentemente sono squisitamente tecniche. L’invito alla
riflessione è rivolto alle autorità specie quelle politiche. E’ opportuno che
esse soffermino lo sguardo al “vivaio culturale” di casa nostra.
Ritengo che le ricette dei grandi urbanisti,
frequentemente interpellati, siano validi strumenti che restano sterili se non
derivati da indagini e conoscenze di chi è il naturale interprete di sentimenti
e modi di vivere della propria gente.
II. Metodo di lavoro
Il problema del “Centro Storico” o Vecchio Centro credo
che non abbia messo a fuoco quelle che ho definito competenze. Per meglio affrontarlo
ho ricercato nella Storia, anche se con una rapida panoramica, una continuità di soluzione,l cercando
di evidenziare qualche “incidente” da non ripetere. Nell’analisi dello spazio
ho tentato di evidenziare un’altra dimensione. In questa ottica ho abbozzato un
modello che ho definito Interpretativo-funzionale, augurandomi che da esso si
faccia derivare quello pratico-operativo.
III. Competenze
L’istituzione delle Regioni a statuto ordinario aveva tra le finalità prioritarie l’abbandono dei vecchi schemi di analisi
delle aree urbane e rurali, Piani Regolatori
Comunali e Piani Particolareggiati in genere.
Oggi viene da
chiedersi fino a che punto sono stati abbandonati
quei vecchi clichés. Non a torto nei convegni e seminari dell’epoca e parlo
degli anni ’60, veniva ribadito il concetto che il modulo, il quantum minimo
atto a garantire una efficiente gestione dei problemi urbanistici era e credo
ancora che sia un territorio a dimensione Regionale.
Spesso infatti abbiamo potuto constatare che determinati
problemi di settore hanno mostrato l’impossibilità di essere risolti in maniera
efficace in un ambito territoriale dimensionalmente inferiore a quello regionale. Citasi a
riguardo l’approvvigionamento
idrico che ha fatto orientare i tecnici responsabili del settore verso la
considerazione di ampi bacini “regionali”. Analogamente è avvenuto per viabilità e trasporti.
E’ chiaro quindi che
solo un organo come la Regione può essere demandatario per l’esercizio di
determinate infrastrutture. Tutto il territorio può così beneficiare
razionalmente di innumerevoli servizi. Quanto detto è accettabile unicamente
sul piano tecnologico. Il problema a riguardo del “Centro Storico Vastese” rimane insoluto se non
altro perché non affrontato sul piano antropologico. Solo su detto piano possono controntarsi e convergere le
varie culture, dall’economia all’architettura,
dalla storia all’arte, ed è quindi possibile
ricercare la soluzione ottimale del problema, se veramente lo si vuole affrontare.
Tutte le proposte economiche, sociali e culturali devono essere
partorite in loco; esse devono prendere in considerazione l’ambiente in tutte le sue componenti; una nozione nuova
quindi, che, per dirla con gli inglesi, si definisce environment.
IV. Scelta
come risultante di Culture Integrate
Recenti studi supportati la metodi scientifici tendono a definire le
Città prevalentemente sedi di centri di servizi
e formulare quindi in una ottica regionale
un modello matematico
integrativo. Nel formulare le scelte è necessario
che i responsabili amministrativi e politici
siano messi in
grado di valutare ali effetti urbanistici derivati
dal modello suddetto.
È ormai consuetudine,
nell’affrontare studi del genere, premettere
all’analisi dei problemi locali una indagine rivolta alla
conoscenza degli aspetti dimensionalmente simili di altre realtà urbane, cercando
identificazioni a volte improprie se non coercitive. In fase preliminare e fortunatamente solo in
questa, spesso si assiste da parte di sprovvedute
ma “autorevoli” personalità ad accostamenti
nostalgici. Anche esperti “statistici” sono convinti che tutte le città del mondo si assomigliano.
Con pretesti scientifici vanno sempre più convincendo l’opinione pubblica. Oggi vengono intensificate le
ricerche sulle analogie strutturali e si tende ad una unificazione delle tecnologie urbane.
Certamente le analogie
strutturali vanno ampliandosi, per tendere ad una lettura uniforme della morfologia della città. Ciò porterà ad una
intercambiabilità fra spazi sempre più crescenti, fra interi centri e fors’anche città.
Questo modo di pensare l’urbanistica può anche corrispondere ad una
esigenza di aggiornamento tecnico scientifico, per
tendere a quello che alcuni autori definiscono
Stile Internazionale.
Tale maniera resta legata ad una interpretazione al di fuori della storia
della città stessa. Così facendo tutti i valori da contemplare si riducono ai fenomeni di natura economica e
funzionale. Questo tipo di interpretazione che caratterizza il momento e il modo
delle attuali scelte va a mio avviso corretto in quanto si fa sempre più forte il legame fra la conoscenza
tecnico-scientifica, dottrina economica e cultura
urbanistica. Detto legame non è altre che
connubio di dottrine anzi di culture solo apparentemente distinte.
V. Incidenti del Passato
Le correzioni di cui ho parlato potranno essere apportate se
verranno individuati a livello operativo i veri valori storici e culturali. Sin d’ora necessita
segnalare con maggiore frequenza ed intensità a tutti i livelli l’importanza dei valori pratici e funzionali della
Città nella sua interezza, promuovendo l’aggiornamento tecnologico ed inserendo nuove leve nell’ambito dell’apparato eccessivamente burocratizzato. Più
volte la nostra città è stata affidata per ristrutturazioni, piani regolatori,
ecc. a tecnici “di grido”.
Viene
da chiedersi se è stato sempre fatto uno studio degli spazi nel suo significato culturale integrandolo con il non
secondario apparato funzionale.
A mio avviso qualsiasi progetto tecnico che non tiene a giusto conto
della natura più profondamente umana del contesto territoriale e delle situazioni locali rischia di dare
effetti controproducenti anche dal punto di vista funzionale.
È sconfortante pensare
a quanto è successo nel lontano 1956. “Devo denunciarlo all’opinione non pubblica ma a quella sensibile,
alla mia gente. Allora ero scolaro avviato
agli studi classici.
L’aver sradicato dal
quartiere di San Pietro e dietro Santa Maria negli anni appena dopo “la frana” tanta parte del
popolo; averlo innestato nel “poggio ventilato” di Punta Penna o nella “Piana turistica” di Viale Dalmazia di
Vasto Marina (per intenderei vicino a “Padre
Alberto” non sono errori di scelta, ma di
fondo.
La logica di allora era quella di dare una casa ai
pescatori e quindi costruirla nelle vicinanze di un porto o ancor meglio su una
spiaggia tutta per loro.
Non sta a me raccontare la degradazione! Contemplando i “resti”
dico solo che la superficialità delle scelte può condurre
alla morte di una Cultura, vitale non solo per l’economia, ma anche e soprattutto per la sopravvivenza dell’uomo.
Non voglio ulteriormente
affondare nella nostalgia dei ricordi rischierei
di passare ad una trattazione più verghiana anzichè
scientifica.
Ma attenzione! La 167
ha ricalcato quegli schemi.
VI. La
quinta dimensione dello spazio
L’uomo della suburbia e dei centri direzionali splendenti di acciai e
cristalli si è sentito alienato dal mondo dei propri simili, lontano dalla vita
associata.
L’uomo del vicolo,
all’epoca, non aveva scelta: degradarsi con esso
o rifugiarsi nei dormitori all’ombra di quei
cristalli anneriti dallo smog.
Il primo si è
rifugiato nella campagna, il secondo nel guscio ben
protetto della propria abitazione,
nell’intimità famigliare. In ambedue i casi lo spazio urbano è stato ridotto alla sommatoria di tanti
spazi domestici, chiusi come piccole monadi.
Tale processo ha così atrofizzato la innate
qualità sociali proprie dell’uomo.
Il cittadino oggi è
integrato sempre più nel sistema che l’ha
plasmato, libero in un sistema
adimensionale, al di là di ogni frontiera e limite. Pur vivendo la vita di milioni di altri esseri umani,
specie nelle grandi città, l’uomo non conosce
i propri simili. Slogans: sono un Europeo,
un cittadino del mondo, fin troppo ricorrenti sono indice di
profonda spersonalizzazione. Il frutto di una concezione urbanistica errata che ha trascurato
nel passato lo studio della Storia. Ha avuto
una concezione unilaterale della vita
dell’uomo ed ha condotto ad una risultante di “modello uomo” artefatto, quasi assurdo. L’origine della
comunità urbana, opponendosi alla vita nomade e quindi asociale dell’uomo primitivo esprimeva la necessità
di fissare nello spazio quella che potremmo
definire la Quinta dimensione,,. non
identificabile a centro di servizio per soddisfare
le esigenze materiali, quanto punto d’incontro e di convergenza di interessi morali.
VII. Una proposta
L’uomo è un essere che
tende ad associarsi ed ha bisogno di quella parte di contatti umani VOLONTARI che gli spettano per completare la
personalità e realizzare la sua missione. Solo una conoscenza più profonda e completa dei propri simili, a livello di
contatti fisici può cementare l’arco della sua vita di affetti e di sentimenti. Penso quindi che questa sia la
strada da percorrere per poter cristianamente realizzarsi negli altri simili. La necessità quindi
di uno studio storico, indispensabile per affrontare un problema vitale anche se
apparentemente solo fisico. La ricerca quindi deve tendere ad individuare il Motore primo
dello sviluppo urbano, della continuità vitale dello spazio della nostra città.
La riattivazione del Centro Storico inoltre deve essere inserita nel momento
politico-culturale in cui Vasto vive. Ciò è necessario in quanto nel passare ad un modello pratico realizzativo
certamente si cozzerà con la rigidezza del sistema giuridico (leggi regionali) con il regime delle aree fabbricabili
(piano regolatore) ed altri strumenti poco flessibili.
VIII. Il centro nella storia
Sebbene la nostra Città sia di fondazione romana, il suo sviluppo significativo
dal punto di vista urbanistico risale al Medioevo. All’epoca infatti vi fu un nuovoassetto territoriale ed
una diversa distribuzione della ricchezza. Tutte le funzioni urbane, specie quelle direzionali
furono
accentrate attorno all’attuale piazza Diomede e susseguentemente attorno al
Castello e Palazzo d’Avalos.
Nei vari agglomerati, identificabili con il nome parrocchiale più
avanti si sono sviluppati i germi dell’artigianato e del commercio. Seguendo lo sviluppo
successivo si
possono notare i segni di armonicità e continuità.
Nei secoli di crescita spontanea la Città conserva una unitarietà molto
più forte che la città a sviluppo pianificato dell’era industriale.
Osservando il ruolo
che la Città originaria svolge all’interno dell’area urbana dell’era industriale essa è
identificabile in elemento connettivo fra quanto è sorto intorno alla Città stessa in maniera
disorganica. Il Centro antico o vecchio Centro resta nettamente distinto dal resto.
Dalla città primaria “entro le mura” alla città attuale, da un punto di
vista quantitativo, l’area centrale risulta essere sempre una parte più piccola della città considerata nella sua
interezza. In base a tale criterio puramente
quantitativo l’antica area urbana
rappresenterebbe dunque una piccola parte. Forse per questo vi sono state manovre ed attuazione
di piani speculativi che hanno ridotto il
centro antico a pochissimi elementi
rappresentativi unicamente dal punto di vista architettonico.
IX. Il
Centro al centro degli “Interessi”
Da parte di taluni oggi si avverte l’esigenza di valorizzare il Centro
antico per fini turistici. Non bisogna farsi
trascinare da facili accoramenti euforici e campanilistici, spacciandosi per
amatori del proprio paese facendo coro a quelle voci sovrano-tentatrici. L’ottica turistica è miope. Se ciò
avvenisse ne deriverebbe uno sviluppo simile a
quello di molte città italiane in cui è
stato esaltato prevalentemente il punto di vista edilizio architettonico il quale prescinde dalla valutazione
dell’attualità urbanistica nel nucleo antico.
Il ruolo che la città principale e il nucleo più antico di essa
svolgono all’interno di tutto il territorio,
di tipo simbolico in esso sono concentrati
tutti i valori della civiltà urbana locale se non anche per la posizione baricentrica sia nella
pianta che nello schema delle interrelazioni
funzionali è prova della vitalità e
dell’importanza urbanistica della città nel quadro di tutto il suo territorio. La divisione in
zone, strumento operativo che ha caratterizzato
lo sviluppo recente non ha fatto che
selezionare intorno alla città preesistente aree industriali, artigianali, zone verdi, quartieri residenziali,
zona alberghiera ecc. Non è stato dato alcun elemento nuovo che fungesse da connettivo tra tutte queste parti
sterili. Ma nonostante il parziale o totale abbandono di alcune parti, il centro è rimasto sede incontrastata di tutte
le funzioni propriamente urbane. Ma hàimè!
Il Centro è inadeguato alla circolazione
veicolare, necessità quindi di interventi radicali per l’adeguamento. Agli allargamenti sono
susseguiti gli sventramenti, ed i nuovi insediamenti
affogati nel cemento, con costi enormi, a volte per far posto
a un pugno di auto.
X. Centro e
decentramento
Qualche anno fà è stata la volta dell’Istituto Commerciale, ora tocca
alle poste e alTribunale, tutto ciò a discapito di chi? Dei contatti umani che quasi come una cara madre la città
conserva gelosamente nel suo cuore.
Ma dove se non
all’interno del perimetro delle vecchie mura si
possono trovare e creare i centri di massima
frequentazione? Ora vicino al Castello, davanti a San Giuseppe e perché no tra breve nelle
piazzette ben protette dietro Santa Maria? Sappiamo
bene che operazioni di recupero e
risanamento di certi ambienti ingenerano problematiche di notevole entità. Tali difficoltà sono
state volutamente ignorate in quasi tutti i risanamenti Ottocenteschi i quali, non solo nella nostra città ma ovunque
in Italia, hanno distrutto irrimediabilmente
il valore ambientale delle zone di
intervento! ciò non si è limitato all’architettura ed ingegneria in genere ma in tutti i
campi delle arti maggiori e minori. Ciò che i nuovi arricchiti, succeduti ai nobili dell’Ottocento hanno lasciato
intatto sono state unicamente le grandi opere d’arte o sacche di edilizia degradata, le quali sempre più
circondate da ambiante estraneo, nel tempo
sono decadute ancor più. La degradazione ha
fatto sì che detti
ambienti sono diventati rifugio delle categorie meno
fortunate.
XI. Il modello Interpretativo-strutturale
XIa. L’interpretazione dello spazio
Fino a qualche tempo fa nell’approccio di un problema di riattivazione o
similare la consueta fatica del tecnico era impegnata ed in gran parte ai esauriva in operazioni di modellamento
spaziale della zona in oggetto. La miriade di
plastici “preliminari” esposti in varie
vetrine erano una convalida. Tutto ed unicamente si riduceva al contatto fisico del luogo.
Restavano fuori da questo angolo di visuale ristretto tutto il processo urbano. Era sufficiente quindi l’analisi dello
spazio e la sua configurazione. Questo tipo di governo dello spazio si è dimostrato quindi del
tutto inadeguato
in quanto ha prodotto due effetti: Il primo riguarda le zone ben risanate invenstite da tumultuose espansioni che
vanno sotto il nome di ripopolamento. Il secondo, come il caso della zona dietro Santa Maria è un fenomeno di necrotizzazione
in cui i tessuti già altamente stratiticati e complessi, singolari ed irreperibili hanno avanzato fino alla
degradazione irreversibile ed alla totale scomparsa delle funzioni specie quelle urbane, in esse contenute. Non è
possibile ancora oggi cercare un intervento con
uno strumento certamente inadeguato
riassumibile qualche volta in pochi concetti di normativa edilizia. Il nuovo orizzonte
metodologico e pianificatore per poter affrontare il problema trae alimento dalla convinzione che la morfologia della
città debba essere considerata come una sovrastruttura. L’analisi morfologica non riesce da sola a dare una risposta
efficiente al nostro quesito. Essa deve essere sorretta da una interpretazione più penetrante e veritiera del processo
“urbano”; cioè di quel complesso di forze che nel tempo, vive e cementate, plasmano la forma visibile della città
stessa. Per innestare un processo evolutivo, e
non involutivo all’opera di restauro occorre
innanzitutto costruire
un modello nel senso che, essendo enorme la complessità dei processi urbani è oppurtuno affrontarla introducendo dei
meccanismi semplificativi nei quali si suppone che agiscano solo quelle forze variabili chiaramente descrivibili.
Dette forze quindi almeno ad un primo esame,
devono
prospettarsi “catturabili nell’area dell’efficacia e della
controllabilità degli interventi”.
Si deve istituire in
breve un MODELLO INTERPETATIVO che ha come contenuto logico la legge del comportamento degli
elementi scelti a rappresentanza”.
La derivata
sequenziale del modello strutturale è il modello pratico-operativo. Ambedue le
funzioni vengono espresse anche da variabili aleatorie, i cosiddetti elementi
volontaristici. Detti elementi possono in qualche caso fermarsi
all’influenza in altre alla determinazione del modello strutturale. È importante che il
loro peso modifichi esclusivamente quello delle variabili sulle quali si è convenuto” di manovrare. La nostra
equazione per rimanere sul piano della logica
deve far derivare ad un modello strutturale
uno strumento operativo efficace. Cosa suggerire? La presente monografia per limiti di competenze e finalità non intende andare al
di là di un suggerimento del modelle strutturale, lasciando agli specialisti del settore la stesura completa e
capillare. Per quanto concerne il modello operativo derivato, se formulato come
naturale derivazione di quello strutturale, privo di manipolazioni, certamente sarà destinato, anche se
con difficoltà, ad avere successo. Un modello strutturale valido comporta: Stabilire le funzioni
urbane predominanti della zona in oggetto nel contesto della Città. Le interconnessioni delle funzioni dette con
quelle delle altre zone. Il peso demografico,
culturale e morale di quanto di umano e non
umano ivi vive.
Definire le caratteristiche
geografiche nel senso più lato e nei dettagli.
-Analizzare in
profondità la possibilità di collocare nella zona
di definizione valori e contenuti vitali a
cui tutta la città è legata e, ripetiamolo pure, come angolo di incontro è depositaria di
valori etici e sociali.
-Effettuare un
accertamento quanto mai trasparente delle condizioni
economiche, ossia dei MEZZI FINANZIARI
disponibile per l’operazione espressi da una chiara volontà politica. A quanto detto deve
fare da cornice di coreografia di uomini
“umani”, specie quelli con potere decisionale,
su cui pende oggi
come non mai questa pesante scelta.
XIb. Caratteristiche della popolazione e del territorio
Stabilite l’elemento spazio occorre domandarsi quali caratteristiche della
popolazione e del territorio vadano considerate come le più significative per la ricerca. Esse sono:
Ampiezza della
popolazione intesa come numero di residenti attuali
e potenziali. Ciò significa guardare l’area
di riferimento in una prospettiva demografica.
-Disoccupati, parzialmente occupati in industrie, artigianato,
agricoltura, terziario ed altre attività.
-Livello di
istruzione.
-Reddito famigliare.
-Abitazione o vani
procapite o pro nucleo.
-Infrastrutture e
trasporti.
XII.
Conclusioni
Allo stato attuale a mio avviso è possibile pianificare e programmare
con la decisione di impiegare in un certo modo e secondo certe priorità quel che è
disponibile.
E poiché ogni
trasformazione dell’ambiente ha comunque un suo
prezzo, a me sembra che al di là di ogni
mito antico ed in un franco contesto di interessi, il criterio corretto
delle scelte
di detta operazione è quello che deriva da valutazioni politicamente coerenti dei
costi sociali che si intende sostenere.
E qui il dialogo tra
urbanisti, economisti e politici diventa difficile non per diversità di linguaggio o di intendimenti, ma per i
diversi tempi di programmazione.
L’Urbanista ricerca
soluzioni, tramite
operazioni che danno i frutti richiesti alla fine di periodi alquanto lunghi.
Mentre il politico
deve adeguare troppo spesso l’arco della sua
azione alla politica del potere, in quanto
la sua opera si compie in tempi brevi (scadenza del mandato).
DOTT. ING. ANTONIO SANTORO
Consultazioni
Il Mondo sotterraneo
I. UTUDJIAN (Università di Parigi)
W.j.
Armento
Industria ed Urbanistica
J. CANAUX (Università di Parigi)
R. AUZELLE (Università di Parigi)
P. J. MARSHALL (Università di
Edimburgo)
L’Iniziativa Urbanistica
U. CARDARELLI
R. FUCCELLA
Nessun commento:
Posta un commento