mercoledì 1 aprile 2020

CENTRO STORICO: superare le difficoltà e aprire un dialogo tra urbanisti, economisti e politici


rIPUBBLICHIAMO L'APPROFONDITA INDAGINE E LE PROPOSTE DI UN ESPERTO

iNG. ANTONIO SANTORO 
L’interesse che oggi desta il problema del Centro Storico di Vasto è di dimensioni tali che intorno ad esso tutti i mezzi di diffusione quotidianamente dedicano spazi sempre più ampi. Il fenomeno a mio avviso rischia di diventare una moda. Anch’io ho ceduto alla tentazione di questo richiamo torse attratto - per dirla con Giuseppe Catania - dagli splendori di una società passata ricca di una civiltà quantomai significativa.

I. Scopo del lavoro
Scopo del presente lavoro è quello di evidenziare le problematiche che si generano attorno a scelte che solo apparentemente sono squisitamente tecniche. L’invito alla riflessione è rivolto alle autorità specie quelle politiche. E’ opportuno che esse soffermino lo sguardo al “vivaio culturale” di casa nostra.

Ritengo che le ricette dei grandi urbanisti, frequentemente interpellati, siano validi strumenti che restano sterili se non derivati da indagini e conoscenze di chi è il naturale interprete di sentimenti e modi di vivere della propria gente.

II. Metodo di lavoro
Il problema del “Centro Storico” o Vecchio Centro credo che non abbia messo a fuoco quelle che ho definito competenze. Per meglio affrontarlo ho ricercato nella Storia, anche se con una rapida panoramica, una continuità di soluzione,l cercando di evidenziare qualche “incidente” da non ripetere. Nell’analisi dello spazio ho tentato di evidenziare un’altra dimensione. In questa ottica ho abbozzato un modello che ho definito Interpretativo-funzionale, augurandomi che da esso si faccia derivare quello pratico-operativo.

III. Competenze
L’istituzione delle Regioni a statuto ordinario aveva tra le finalità prioritarie l’abbandono dei vecchi schemi di analisi delle aree urbane e rurali, Piani Regolatori Comunali e Piani Particolareggiati in genere.
Oggi viene da chiedersi fino a che punto sono stati abbandonati quei vecchi clichés. Non a torto nei convegni e seminari dell’epoca e parlo degli anni ’60, veniva ribadito il concetto che il modulo, il quantum minimo atto a garantire una efficiente gestione dei problemi urbanistici era e credo ancora che sia un territorio a dimensione Regionale.
Spesso infatti abbiamo potuto constatare che determinati problemi di settore hanno mostrato l’impossibilità di essere risolti in maniera efficace in un ambito territoriale dimensionalmente inferiore a quello regionale. Citasi a riguardo l’approvvigionamento idrico che ha fatto orientare i tecnici responsabili del settore verso la considerazione di ampi bacini “regionali”. Analogamente è avvenuto per viabilità e trasporti.
E’ chiaro quindi che solo un organo come la Regione può essere demandatario per l’esercizio di determinate infrastrutture. Tutto il territorio può così beneficiare razionalmente di innumerevoli servizi. Quanto detto è accettabile unicamente sul piano tecnologico. Il problema a riguardo del “Centro Storico Vastese” rimane insoluto se non altro perché non affrontato sul piano antropologico. Solo su detto piano possono controntarsi e convergere le varie culture, dall’economia all’architettura, dalla storia all’arte, ed è quindi possibile ricercare la soluzione ottimale del problema, se veramente lo si vuole affrontare.
Tutte le proposte economiche, sociali e culturali devono essere partorite in loco; esse devono prendere in considerazione l’ambiente in tutte le sue componenti; una nozione nuova quindi, che, per dirla con gli inglesi, si definisce environment.

IV. Scelta come risultante di Culture Integrate
Recenti studi supportati la metodi scientifici tendono a definire le Città prevalentemente sedi di centri di servizi e formulare quindi in una ottica regionale un modello matematico integrativo. Nel formulare le scelte è necessario che i responsabili amministrativi e politici siano messi in grado di valutare ali effetti urbanistici derivati dal modello suddetto.
È ormai consuetudine, nell’affrontare studi del genere, premettere all’analisi dei problemi locali una indagine rivolta alla conoscenza degli aspetti dimensionalmente simili di altre realtà urbane, cercando identificazioni a volte improprie se non coercitive. In fase preliminare e fortunatamente solo in questa, spesso si assiste da parte di sprovvedute ma “autorevoli” personalità ad accostamenti nostalgici. Anche esperti “statistici” sono convinti che tutte le città del mondo si assomigliano. Con pretesti scientifici vanno sempre più convincendo l’opinione pubblica. Oggi vengono intensificate le ricerche sulle analogie strutturali e si tende ad una unificazione delle tecnologie urbane.
Certamente le analogie strutturali vanno ampliandosi, per tendere ad una lettura uniforme della morfologia della città. Ciò porterà ad una intercambiabilità fra spazi sempre più crescenti, fra interi centri e fors’anche città.
Questo modo di pensare l’urbanistica può anche corrispondere ad una esigenza di aggiornamento tecnico scientifico, per tendere a quello che alcuni autori definiscono Stile Internazionale.
Tale maniera resta legata ad una interpretazione al di fuori della storia della città stessa. Così facendo tutti i valori da contemplare si riducono ai fenomeni di natura economica e funzionale. Questo tipo di interpretazione che caratterizza il momento e il modo delle attuali scelte va a mio avviso corretto in quanto si fa sempre più forte il legame fra la conoscenza tecnico-scientifica, dottrina economica e cultura urbanistica. Detto legame non è altre che connubio di dottrine anzi di culture solo apparentemente distinte.

V. Incidenti del Passato
Le correzioni di cui ho parlato potranno essere apportate se verranno individuati a livello operativo i veri valori storici e culturali. Sin d’ora necessita segnalare con maggiore frequenza ed intensità a tutti i livelli l’importanza dei valori pratici e funzionali della Città nella sua interezza, promuovendo l’aggiornamento tecnologico ed inserendo nuove leve nell’ambito dell’apparato eccessivamente burocratizzato. Più volte la nostra città è stata affidata per ristrutturazioni, piani regolatori, ecc. a tecnici “di grido”.
Viene da chiedersi se è stato sempre fatto uno studio degli spazi nel suo significato culturale integrandolo con il non secondario apparato funzionale.
A mio avviso qualsiasi progetto tecnico che non tiene a giusto conto della natura più profondamente umana del contesto territoriale e delle situazioni locali rischia di dare effetti controproducenti anche dal punto di vista funzionale.
È sconfortante pensare a quanto è successo nel lontano 1956. “Devo denunciarlo all’opinione non pubblica ma a quella sensibile, alla mia gente. Allora ero scolaro avviato agli studi classici.
L’aver sradicato dal quartiere di San Pietro e dietro Santa Maria negli anni appena dopo “la frana” tanta parte del popolo; averlo innestato nel “poggio ventilato” di Punta Penna o nella “Piana turistica” di Viale Dalmazia di Vasto Marina (per intenderei vicino a “Padre Alberto” non sono errori di scelta, ma di fondo.
La logica di allora era quella di dare una casa ai pescatori e quindi costruirla nelle vicinanze di un porto o ancor meglio su una spiaggia tutta per loro.
Non sta a me raccontare la degradazione! Contemplando i “resti” dico solo che la superficialità delle scelte può condurre alla morte di una Cultura, vitale non solo per l’economia, ma anche e soprattutto per la sopravvivenza dell’uomo.
Non voglio ulteriormente affondare nella nostalgia dei ricordi rischierei di passare ad una trattazione più verghiana anzichè scientifica.
Ma attenzione! La 167 ha ricalcato quegli schemi.

VI. La quinta dimensione dello spazio
L’uomo della suburbia e dei centri direzionali splendenti di acciai e cristalli si è sentito alienato dal mondo dei propri simili, lontano dalla vita associata.
L’uomo del vicolo, all’epoca, non aveva scelta: degradarsi con esso o rifugiarsi nei dormitori all’ombra di quei cristalli anneriti dallo smog.
Il primo si è rifugiato nella campagna, il secondo nel guscio ben protetto della propria abitazione, nell’intimità famigliare. In ambedue i casi lo spazio urbano è stato ridotto alla sommatoria di tanti spazi domestici, chiusi come piccole monadi. Tale processo ha così atrofizzato la innate qualità sociali proprie dell’uomo.
Il cittadino oggi è integrato sempre più nel sistema che l’ha plasmato, libero in un sistema adimensionale, al di là di ogni frontiera e limite. Pur vivendo la vita di milioni di altri esseri umani, specie nelle grandi città, l’uomo non conosce i propri simili. Slogans: sono un Europeo, un cittadino del mondo, fin troppo ricorrenti sono indice di profonda spersonalizzazione. Il frutto di una concezione urbanistica errata che ha trascurato nel passato lo studio della Storia. Ha avuto una concezione unilaterale della vita dell’uomo ed ha condotto ad una risultante di “modello uomo” artefatto, quasi assurdo. L’origine della comunità urbana, opponendosi alla vita nomade e quindi asociale dell’uomo primitivo esprimeva la necessità di fissare nello spazio quella che potremmo definire la Quinta dimensione,,. non identificabile a centro di servizio per soddisfare le esigenze materiali, quanto punto d’incontro e di convergenza di interessi morali.

VII. Una proposta
L’uomo è un essere che tende ad associarsi ed ha bisogno di quella parte di contatti umani VOLONTARI che gli spettano per completare la personalità e realizzare la sua missione. Solo una conoscenza più profonda e completa dei propri simili, a livello di contatti fisici può cementare l’arco della sua vita di affetti e di sentimenti. Penso quindi che questa sia la strada da percorrere per poter cristianamente realizzarsi negli altri simili. La necessità quindi di uno studio storico, indispensabile per affrontare un problema vitale anche se apparentemente solo fisico. La ricerca quindi deve tendere ad individuare il Motore primo dello sviluppo urbano, della continuità vitale dello spazio della nostra città.
La riattivazione del Centro Storico inoltre deve essere inserita nel momento politico-culturale in cui Vasto vive. Ciò è necessario in quanto nel passare ad un modello pratico realizzativo certamente si cozzerà con la rigidezza del sistema giuridico (leggi regionali) con il regime delle aree fabbricabili (piano regolatore) ed altri strumenti poco flessibili.

VIII. Il centro nella storia
Sebbene la nostra Città sia di fondazione romana, il suo sviluppo significativo dal punto di vista urbanistico risale al Medioevo. All’epoca infatti vi fu un nuovoassetto territoriale ed una diversa distribuzione della ricchezza. Tutte le funzioni urbane, specie quelle direzionali furono accentrate attorno all’attuale piazza Diomede e susseguentemente attorno al Castello e Palazzo d’Avalos.
Nei vari agglomerati, identificabili con il nome parrocchiale più avanti si sono sviluppati i germi dell’artigianato e del commercio. Seguendo lo sviluppo successivo si possono notare i segni di armonicità e continuità.
Nei secoli di crescita spontanea la Città conserva una unitarietà molto più forte che la città a sviluppo pianificato dell’era industriale.
Osservando il ruolo che la Città originaria svolge all’interno dell’area urbana dell’era industriale essa è identificabile in elemento connettivo fra quanto è sorto intorno alla Città stessa in maniera disorganica. Il Centro antico o vecchio Centro resta nettamente distinto dal resto.
Dalla città primaria “entro le mura” alla città attuale, da un punto di vista quantitativo, l’area centrale risulta essere sempre una parte più piccola della città considerata nella sua interezza. In base a tale criterio puramente quantitativo l’antica area urbana rappresenterebbe dunque una piccola parte. Forse per questo vi sono state manovre ed attuazione di piani speculativi che hanno ridotto il centro antico a pochissimi elementi rappresentativi unicamente dal punto di vista architettonico.

IX. Il Centro al centro degli “Interessi”
Da parte di taluni oggi si avverte l’esigenza di valorizzare il Centro antico per fini turistici. Non bisogna farsi trascinare da facili accoramenti euforici e campanilistici, spacciandosi per amatori del proprio paese facendo coro a quelle voci sovrano-tentatrici. L’ottica turistica è miope. Se ciò avvenisse ne deriverebbe uno sviluppo simile a quello di molte città italiane in cui è stato esaltato prevalentemente il punto di vista edilizio architettonico il quale prescinde dalla valutazione dell’attualità urbanistica nel nucleo antico.
Il ruolo che la città principale e il nucleo più antico di essa svolgono all’interno di tutto il territorio, di tipo simbolico in esso sono concentrati tutti i valori della civiltà urbana locale se non anche per la posizione baricentrica sia nella pianta che nello schema delle interrelazioni funzionali è prova della vitalità e dell’importanza urbanistica della città nel quadro di tutto il suo territorio. La divisione in zone, strumento operativo che ha caratterizzato lo sviluppo recente non ha fatto che selezionare intorno alla città preesistente aree industriali, artigianali, zone verdi, quartieri residenziali, zona alberghiera ecc. Non è stato dato alcun elemento nuovo che fungesse da connettivo tra tutte queste parti sterili. Ma nonostante il parziale o totale abbandono di alcune parti, il centro è rimasto sede incontrastata di tutte le funzioni propriamente urbane. Ma hàimè! Il Centro è inadeguato alla circolazione veicolare, necessiquindi di interventi radicali per l’adeguamento. Agli allargamenti sono susseguiti gli sventramenti, ed i nuovi insediamenti affogati nel cemento, con costi enormi, a volte per far posto a un pugno di auto.

X. Centro e decentramento
Qualche anno fà è stata la volta dell’Istituto Commerciale, ora tocca alle poste e alTribunale, tutto ciò a discapito di chi? Dei contatti umani che quasi come una cara madre la città conserva gelosamente nel suo cuore.
Ma dove se non all’interno del perimetro delle vecchie mura si possono trovare e creare i centri di massima frequentazione? Ora vicino al Castello, davanti a San Giuseppe e perché no tra breve nelle piazzette ben protette dietro Santa Maria? Sappiamo bene che operazioni di recupero e risanamento di certi ambienti ingenerano problematiche di notevole entità. Tali difficoltà sono state volutamente ignorate in quasi tutti i risanamenti Ottocenteschi i quali, non solo nella nostra città ma ovunque in Italia, hanno distrutto irrimediabilmente il valore ambientale delle zone di intervento! ciò non si è limitato all’architettura ed ingegneria in genere ma in tutti i campi delle arti maggiori e minori. Ciò che i nuovi arricchiti, succeduti ai nobili dell’Ottocento hanno lasciato intatto sono state unicamente le grandi opere d’arte o sacche di edilizia degradata, le quali sempre più circondate da ambiante estraneo, nel tempo sono decadute ancor più. La degradazione ha fatto sì che detti ambienti sono diventati rifugio delle categorie meno fortunate.

XI. Il modello Interpretativo-strutturale

XIa. L’interpretazione dello spazio
Fino a qualche tempo fa nell’approccio di un problema di riattivazione o similare la consueta fatica del tecnico era impegnata ed in gran parte ai esauriva in operazioni di modellamento spaziale della zona in oggetto. La miriade di plastici “preliminari” esposti in varie vetrine erano una convalida. Tutto ed unicamente si riduceva al contatto fisico del luogo. Restavano fuori da questo angolo di visuale ristretto tutto il processo urbano. Era sufficiente quindi l’analisi dello spazio e la sua configurazione. Questo tipo di governo dello spazio si è dimostrato quindi del tutto inadeguato in quanto ha prodotto due effetti: Il primo riguarda le zone ben risanate invenstite da tumultuose espansioni che vanno sotto il nome di ripopolamento. Il secondo, come il caso della zona dietro Santa Maria è un fenomeno di necrotizzazione in cui i tessuti già altamente stratiticati e complessi, singolari ed irreperibili hanno avanzato fino alla degradazione irreversibile ed alla totale scomparsa delle funzioni specie quelle urbane, in esse contenute. Non è possibile ancora oggi cercare un intervento con uno strumento certamente inadeguato riassumibile qualche volta in pochi concetti di normativa edilizia. Il nuovo orizzonte metodologico e pianificatore per poter affrontare il problema trae alimento dalla convinzione che la morfologia della città debba essere considerata come una sovrastruttura. L’analisi morfologica non riesce da sola a dare una risposta efficiente al nostro quesito. Essa deve essere sorretta da una interpretazione più penetrante e veritiera del processo “urbano”; cioè di quel complesso di forze che nel tempo, vive e cementate, plasmano la forma visibile della città stessa. Per innestare un processo evolutivo, e non involutivo all’opera di restauro occorre innanzitutto costruire un modello nel senso che, essendo enorme la complessità dei processi urbani è oppurtuno affrontarla introducendo dei meccanismi semplificativi nei quali si suppone che agiscano solo quelle forze variabili chiaramente descrivibili. Dette forze quindi almeno ad un primo esame, devono prospettarsi “catturabili nell’area dell’efficacia e della controllabilità degli interventi”.
Si deve istituire in breve un MODELLO INTERPETATIVO che ha come contenuto logico la legge del comportamento degli elementi scelti a rappresentanza”.
La derivata sequenziale del modello strutturale è il modello pratico-operativo. Ambedue le funzioni vengono espresse anche da variabili aleatorie, i cosiddetti elementi volontaristici. Detti elementi possono in qualche caso fermarsi all’influenza in altre alla determinazione del modello strutturale. È importante che il loro peso modifichi esclusivamente quello delle variabili sulle quali si è convenuto” di manovrare. La nostra equazione per rimanere sul piano della logica deve far derivare ad un modello strutturale uno strumento operativo efficace. Cosa suggerire? La presente monografia per limiti di competenze e finalità non intende andare al di là di un suggerimento del modelle strutturale, lasciando agli specialisti del settore la stesura completa e capillare. Per quanto concerne il modello operativo derivato, se formulato come naturale derivazione di quello strutturale, privo di manipolazioni, certamente sarà destinato, anche se con difficoltà, ad avere successo. Un modello strutturale valido comporta: Stabilire le funzioni urbane predominanti della zona in oggetto nel contesto della Città. Le interconnessioni delle funzioni dette con quelle delle altre zone. Il peso demografico, culturale e morale di quanto di umano e non umano ivi vive.
Definire le caratteristiche geografiche nel senso più lato e nei dettagli.
-Analizzare in profondità la possibilità di collocare nella zona di definizione valori e contenuti vitali a cui tutta la città è legata e, ripetiamolo pure, come angolo di incontro è depositaria di valori etici e sociali.
-Effettuare un accertamento quanto mai trasparente delle condizioni economiche, ossia dei MEZZI FINANZIARI disponibile per l’operazione espressi da una chiara volontà politica. A quanto detto deve fare da cornice di coreografia di uomini “umani”, specie quelli con potere decisionale, su cui pende oggi come non mai questa pesante scelta.

XIb. Caratteristiche della popolazione e del territorio
Stabilite l’elemento spazio occorre domandarsi quali caratteristiche della popolazione e del territorio vadano considerate come le più significative per la ricerca. Esse sono:
Ampiezza della popolazione intesa come numero di residenti attuali e potenziali. Ciò significa guardare l’area di riferimento in una prospettiva demografica.
-Disoccupati, parzialmente occupati in industrie, artigianato, agricoltura, terziario ed altre attività.
-Livello di istruzione.
-Reddito famigliare.
-Abitazione o vani procapite o pro nucleo.
-Infrastrutture e trasporti.
XII. Conclusioni
Allo stato attuale a mio avviso è possibile pianificare e programmare con la decisione di impiegare in un certo modo e secondo certe priorità quel che è disponibile.
E poiché ogni trasformazione dell’ambiente ha comunque un suo prezzo, a me sembra che al di là di ogni mito antico ed in un franco contesto di interessi, il criterio corretto delle scelte di detta operazione è quello che deriva da valutazioni politicamente coerenti dei costi sociali che si intende sostenere.
E qui il dialogo tra urbanisti, economisti e politici diventa difficile non per diversità di linguaggio o di intendimenti, ma per i diversi tempi di programmazione.
L’Urbanista ricerca soluzioni, tramite operazioni che danno i frutti richiesti alla fine di periodi alquanto lunghi.
Mentre il politico deve adeguare troppo spesso l’arco della sua azione alla politica del potere, in quanto la sua opera si compie in tempi brevi (scadenza del mandato).

DOTT. ING. ANTONIO SANTORO

Consultazioni
Il Mondo sotterraneo
I. UTUDJIAN (Università di Parigi)
W.j. Armento

Industria ed Urbanistica
J. CANAUX (Università di Parigi)
R. AUZELLE (Università di Parigi)
P. J. MARSHALL (Università di Edimburgo)

L’Iniziativa Urbanistica
U. CARDARELLI
R. FUCCELLA

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