Croce templare a Guglionesi |
Dal prof. Giovanni Artese riceviamo e pubblichiamo
TEMPLARI,
GEROSOLIMITANI e CISTERCENSI
nella “terra di mezzo” fra Abruzzo e Molise (secc. XIII-XV)
di Giovanni Artese
Non molto tempo fa mi è capitato di leggere un breve ma molto
interessante saggio di Mario Giaccio, dal titolo: "Presenze Templari in
Abruzzo" (del 2015); un lavoro in cui l'autore cita, tra le diverse
commende, anche quella di Castello Manno, precisando subito dopo che non
sarebbe ancora stata localizzata. È vero che su questo come sugli altri
insediamenti templari nel basso Trigno e nel Vastese i documenti sono assai
scarsi, talora inesistenti. Ma avendo appreso - dagli scritti di Davide
Aquilano - che il territorio di Castello Manno corrisponde, in linea di
massima, alla contrada Bufalara, sul basso Trigno (cui aggiungerei la zona di
Montalfano), ho voluto segnalare questa notizia all'Accademia Templare di Roma,
che ha ringraziato e, tramite il Rettore Filippo Grammauta, ci ha
invitato ad
ulteriormente approfondire la tematica.
Tra i pochi ricercatori che hanno fornito informazioni a riguardo è
da annoverare Bianca Capone, che nell'opera pionieristica "I Templari in
Italia" (1977) ha scritto che la casa templare di Castello Manno
possedeva, nel 1292, due boschi, denominati "Selva Malevola" e
"Selva di Gualdo". Sappiamo - con certezza documentale - che nel settembre
1210 metà del territorio di Castello Manno (la Bufalara alta e bassa) era stata donata dalla contessa Maria Margherita di
Loreto Aprutino e Conversano alla potente abbazia cistercense di S. Maria di
Casanova (nei pressi di Penne); e che, nel 1257 o nel 1269, era sorta nella
pianura fluviale (ai limiti della Bufalara) sotto San Salvo l’abbazia
cistercense di San Vito del Trigno, penultima dell’Ordine in Abruzzo.
Il territorio di Castello Manno |
L’acquisizione delle due grange di Santo Salvo e
della metà di Castello Manno (e qualche tempo dopo anche della Padula) avrebbe
permesso ai Cistercensi di assicurarsi - già prima del 1289 - la dotazione
fondiaria di tutta la pianura fluviale alla sinistra del Trigno (dalla
confluenza del Treste al mare Adriatico), alle cui estremità correvano il
tratturo interno Centurelle-Montesecco e il tratturo costiero L'Aquila-Foggia.
Per questo, la "Selva Malevola" della
commenda templare ipoteticamente potrebbe corrispondere (nell’altra metà di Castello Manno), all'attuale contrada
"Pozzo Mafficcio" (tra Colle Strampanato e Colle dello Zingaro) e la
"Selva di Gualdo" alle contrade “Colle Palombo” e "Passo del
Vasto" (a nord-ovest della Cuccetta di Lentella, in valle del Treste). Tale
territorio sarebbe grossomodo quello di Montalfano, tagliato a metà dal
tratturo Centurelle-Montesecco, in passato ad economia pastorale più che
agricola. Incerto peraltro è il sito su cui sorgeva il "Castello Manno".
Davide Aquilano propende per la Cuccetta o Faretta di Lentella, che domina la
stretta del Trigno a Pietrafracida, dove passava (su di un guado o di un ponte,
poi diruto) il tratturo diretto verso Montenero di Bisaccia.
Cuccetta di Lentella |
Alla sommità della
Cuccetta di Lentella si intravvedono avanzi di una torre di guardia; inoltre
una carta tratturale indica un interessante toponimo (poi scomparso): Ripa
Mastromanno, genericamente collocabile in quell’area. Tuttavia il luogo
fortificato poteva anche trovarsi sulla collina della Bufalara alta (alla
spianata dell'Ara della Corte - dove le cave di inerti hanno distrutto tutto lo
strato archeologico - oppure su Colle Palombo) se non addirittura nel sito dell’attuale
Montalfano.
Nello stesso periodo di tardo Duecento, i
Templari, oltre a metà del territorio di Castello Manno, avevano in concessione
o possedevano chiese, magioni e commende a Castelluccio (vicino Atessa), Linari,
Pennaluce, Monteodorisio, Guglionesi, Termoli e Campomarino (località poste
sulla fascia collinare e costiera compresa tra le valli dell’Osento e del Biferno).
Una rete di insediamenti tutt'altro che secondaria, attraverso cui si
sfruttavano le risorse economiche locali e si imbarcavano prodotti in direzione
del Mediterraneo Orientale. Tra Abruzzo, Molise e Capitanata, i Templari in
particolare allevavano animali e coltivavano cereali, orti, vigneti e oliveti
mentre estraevano il sale a Salpi e Siponto. La gestione delle aziende era
prevalentemente diretta. Dal Medio Oriente importavano in primo luogo spezie,
allume e cotone.
Ma il quadro dei
possedimenti degli ordini monastici cavallereschi nel territorio considerato in
realtà è assai più ampio poiché, nella seconda metà del XIII secolo, esisteva
una grancia gerosolimitana (attestata nel
1295) a San Biagio (oggi San Biase), una contrada posta alla destra del Trigno,
sulla direttrice della strada che da San Salvo conduce verso Montenero di
Bisaccia. Tale grancia proveniva dagli estesi possedimenti benedettini situati
tra l'area di Mafalda e la marina di Montenero-Petacciato che i Padri Cassinesi
avevano ceduto insieme all'intera commenda di S. Primiano di Larino (consistente
in diverse chiese e monasteri, tra cui S. Angelo a Palazzo - ad Acquaviva Collecroce
- e S. Giovanni - a Termoli) all'Ordine Gerosolimitano, cioè ai Cavalieri di
San Giovanni di Gerusalemme, detti anche Ospitalieri. Questi, inoltre,
possedevano il monastero di San Giuliano, a Celenza, e l'ospedale di San
Giovanni in Vasto.
Tra gli ordini militari dei Templari e dei
Gerosolimitani, e tra questi e i Cistercensi esistevano peraltro delle strette
affinità ideologiche e nello stile di vita (si riferivano al misticismo e
all'etica di Bernardo di Chiaravalle, erano dinamici ma umili, i loro monaci
coristi vestivano di bianco). Inoltre tali ordini erano dotati di grande
autonomia, in quanto esenti dalla giurisdizione di vescovi, arcivescovi e dello
stesso Collegio cardinalizio, dipendendo nel controllo dalla sola autorità del Pontefice. La loro attività avrebbe pertanto
lasciato tracce profonde nella vicenda storica dell'Abruzzo Chietino, del
Molise e della Capitanata costieri durante il basso Medioevo, grazie ai
notevoli investimenti effettuati - per quanto spesso non riconoscibili - tanto
nelle attività produttive quanto nell'architettura religiosa (si pensi alla
chiesa di Santa Maria Ester ad Acquaviva o a quella di S. Maria di
Costantinopoli a S. Felice).
La diffusa presenza
degli Ordini Templare (fino alla sua dissoluzione, nel 1310/1312),
Gerosolimitano e Cistercense (fino al XVI secolo e oltre) nella “terra di
mezzo” tra Abruzzo e Molise induce ad alcune importanti considerazioni, tanto
più che questa concentrazione di abbazie, monasteri e grange (in un’area neppure
troppo vasta) non trova assolutamente paragoni negli ambiti delle due regioni
confinanti. Un fatto che si spiega sia con la posizione geografica (sull’Adriatico,
prossima alle Puglie) e la disponibilità di porti a Pennaluce, Termoli, Tremiti
e di approdi alle foci dei fiumi Trigno, Biferno, Saccione sia con la floridezza
economica del territorio e i traffici marittimi che si erano prodotti e intensificati
già durante il periodo delle Crociate in Terrasanta e che sarebbero proseguiti per molti altri decenni creando
ricchezza e opportunità mai riscontratesi dalla fine della civiltà romana.
Mentre dunque proseguiva
la dissoluzione del patrimonio terriero dei
Benedettini (a vantaggio soprattutto dei Cistercensi, “naturali eredi” della
Regola dell'«Ora et Labora», che si erano da qualche decennio insediati anche a
Tremiti, Vasto - presso la chiesa di S. Maria in Valle - e Scerni), e superato
il periodo di "ostilità" da parte dell'imperatore Federico II di
Svevia, Templari, Gerosolimitani e
Cistercensi ricevettero appoggi ed
esenzioni da parte dei sovrani Angioini, conquistatori del Regno di Napoli. Peraltro,
Guglielmo di Beaujeu, Gran Maestro dell'Ordine templare tra il 1273 e il 1291
(caduto nella difesa di Acri, ultimo baluardo crociato in Medio Oriente), era
cugino di Carlo I d'Angiò. In seguito, il re Carlo II d'Angiò autorizzava i Templari
ad esportare grano, orzo e legumi dall'Italia meridionale verso la Palestina e
Cipro, spesso evitando che pagassero tasse. Contemporaneamente, lo stesso
sovrano interveniva a sostegno dei diritti e privilegi dei Cistercensi (di
Casanova e di Arabona in particolare) che, in questa fase con le loro
imbarcazioni solcavano le acque dell’Adriatico centrale. Nel dicembre 1299,
Carlo II d'Angiò scrisse infatti una lettera per riconfermare ad essi la
«solita licenza» di esportare via mare, due volte all’anno, dalle foci del
Trigno e del Saccione, i prodotti delle loro «masserie» che erano necessari per
il sostentamento dei monasteri di Tremiti e di Casanova (in genere 2.000 some
di grano, 500 d’orzo e 50 di legumi). Analoghe lettere vennero spedite ai
portolani d’Abruzzo e della Capitanata nel 1308.
Nel frattempo, a seguito degli sviluppi
politici in ambito europeo, la sede papale veniva trasferita, nel 1309, ad
Avignone, dove sarebbe rimasta fino al 1377. L 'anno seguente, a causa del grande
Scisma d'Occidente, si ebbero due papi e due curie contemporaneamente. La
scissione sarebbe durata fino al 1417, quando il Concilio di Costanza riuscì a
riportare l'unità nella Chiesa Cattolica e la sede papale definitivamente a
Roma. Durante il periodo dello scisma, il Regno angioino - dell'Italia
meridionale - restò tuttavia legato, unico in Italia, alla sede di Avignone. Ne
risentirono i monasteri del nostro territorio che, dopo alcune fasi di già
notevoli contatti con la Francia, rafforzavano i legami con il paese d'oltralpe
e la sua cultura. A Filippo il Bello, ambizioso re di Francia, si deve anche la
liquidazione dell'Ordine Templare, avvenuta con il pretestuoso e illegale
arresto del Gran Maestro e di molti monaci tra il 1307 e il 1310. Nel 1312, il
papa Clemente V, sempre su pressione dei francesi, decideva infatti la “sospensione”
dell'Ordine (provvedimento rimasto poi non definitivo, secondo alcuni storici,
equivalente invece ad una vera e propria “soppressione” secondo altri) che di
fatto l'avrebbe comunque avviato verso la fine. I beni dei Templari in Abruzzo
Citra vennero inventariati già nel 1308 dal giustiziere Ysnardo di Riblaria; e,
dopo il processo ai loro cavalieri, terminato nel 1310, furono confiscati e passati
ad altri ordini, in parte agli stessi Angioini (benché l'indicazione papale
fosse a favore dei Gerosolimitani).
I Gerosolimitani (divenuti “Cavalieri di Rodi” dal 1309 e
“Cavalieri di Malta” dal 1530) e i Cistercensi, nonostante la terribile crisi
precedente e soprattutto successiva alla peste nera del 1348, avrebbero invece
mantenuto (pur nella diffusione dei nuovi ordini dei francescani, agostiniani,
domenicani ecc.) una significativa presenza e attività in diverse aree lungo il
medio-basso Trigno e basso Biferno, fino a tutto il XVI secolo ed oltre (secc.
XVII-XVIII), assolvendo ancora ad una funzione non solo religiosa e sociale ma di
sviluppo dell’economia locale in termini di produzione, trasformazione e
commercializzazione delle merci.
L’aspettativa è che dunque nuove acquisizioni documentali possano finalmente
giungere a sostanziare la scarsa conoscenza acquisita finora sull’argomento, in
relazione ad un periodo (XIII e prima metà del XIV secolo) sicuramente importante,
anzi decisivo per l’evoluzione economica, sociale e culturale delle comunità
appartenenti all’area geografica considerata.
San Salvo, 21 maggio 2019
Giovanni
Artese
Riferimenti bibliografici
GIACCIO Mario, Presenze Templari in Abruzzo, Pdf, Quaderni 2015,
Accademia Templare Roma.
CAPONE Bianca, I Templari in Italia, Armenia, Milano 1977.
DEMURGER Alain, Vita e morte dell'ordine dei Templari, Garzanti,
Milano 1999.
FRALE Barbara, I Templari, Il Mulino, Bologna 2004.
Didascalie foto
1.
La “metà” del territorio di
Castello Manno, a nord-ovest della Cuccetta di Lentella, nella e oltre la valle
del torrente Treste (oggi area di Montalfano).
2.
La Cuccetta o Faretta di Lentella, osservata dalle rive del
torrente Treste. Alla sua sommità sorgeva una torre a controllo del tratturo
Canturelle-Montesecco, che qui passava alla destra del torrente e poi superava
il Trigno a Pietrafracida.
3.
Una croce templare, ancora visibile, della commenda di Guglionesi
(per gentile concessione di Ines Montanaro).
4.
Il “quadrato magico” del sator - in versione speculare - incastonato
sulla facciata della chiesa di S. Pietro ad Oratorium (presso Capestrano) in
un’area dove l’abbazia cistercense di San Vito del Trigno possedeva diverse,
importanti grange, gravitanti sui tratturi Centurelle-Montesecco e
L’Aquila-Foggia. Un altro “quadrato magico” si trova ancora presso la chiesa di
S. Maria Ester di Acquaviva Collecroce.
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