sabato 23 febbraio 2019

Frana 1956 (2 di 5): la chiesa di San Pietro poteva essere riparata? E non demolita?


di LINO SPADACCINI 
Il 2 dicembre del 1959 inizia la demolizione della chiesa di San Pietro a causa delle profonde lesioni riportate durante i vari movimenti franosi a partire dal 22 febbraio 1956.
La chiesa poteva essere salvata? In molti, ancora oggi, ne sono assolutamente convinti. Purtroppo, la
classe politica dell'epoca, non ha fatto abbastanza per salvare l'antico luogo di culto. Poteva essere ricostruito il muraglione a sostegno della chiesa, ma sarebbe stato troppo oneroso, allora meglio dare un contentino: demolire S.Pietro e creare una bella passeggiata panoramica.
In un lungo articolo pubblicato sul periodico locale Histonium,il giornalista Giuseppe Catania si chiedeva "Sarà demolita la chiesa di San Pietro?". E Proseguiva: "Si è parlato di progetti per la ricostruzione e sistemazione della parte orientale della Città travolta dalla frana. Probabilmente sembra, che, per l'attuazione delle opere di consolidamento, si debba provvedere ad abbattere il vetusto tempio".
Le voci sull'abbattimento della chiesa vennero riprese anche da Il Messaggero, in data 27 agosto, qualche giorno prima della frana che provocò il crollo del Palazzo delle Poste: "Fra la cittadinanza… nonostante le assicurazioni dell’on. Romita al tempo del Convegno dei Tecnici, si è diffusa la voce della demolizione del vetusto tempio, che, caso strano, finora non cade, non precipita per le forze oscure della natura; ma può cadere, può precipitare per l’opera dell’uomo che teme che il sacro edificio possa crollare. Eppure si era parlato di isolamento della chiesa! Perché ora si propina al pubblico e ai fedeli la soluzione inattesa dell’abbattimento?".
Ancora sul quotidiano romano e sull'Histonium, Espedito Ferrara scriveva: "Ai numerosi interrogativi di tanti cittadini non sappiamo rispondere. Finora abbiamo fermamente sperato, abbiamo resistito e lottato con la forza dell’affetto e della fede nei destini della nostra città millenaria; ma, ormai, dobbiamo constatare che la minaccia continua e si estende pericolosamente. I tecnici forse non vogliono dirci la parola cruda aspettando che la verità terribile si faccia strada nell’animo dei cittadini: dobbiamo perciò dare un addio alla vetusta chiesa di San Pietro?". Nella penna del giornalista traspariva tutta l’impotenza di una città lasciata al suo triste destino, in preda alle forze della natura, che non accennavano a desistere. Quando finiranno le frane? Dopo il Palazzo Marchesani, quale altra porzione di Vasto cederà di schiantò? Quando inizieranno i lavori? Non c’è proprio nulla da fare per l’antica chiesa di San Pietro? Sono queste le domande legittime che i vastesi si ponevano, senza avere, purtroppo, nessun tipo di risposta o certezza.
Nel 1957 don Romeo Rucci, don Michele Ronzitti, insieme ai tre presidenti delle congreghe di San Pietro, Angelo Barone, Nicola Raspa ed Enrico Armeno, accompagnati dall’on. Giuseppe Spataro, si recarono dal Ministro dei Lavori Pubblici, per cercar di salvare la chiesa. L’on. Romita, come già aveva fatto a Vasto, durante i sopralluoghi effettuati l’anno precedente, diede ampie garanzie per il salvataggio dell’antica chiesa. In realtà il destino della chiesa era già segnato.
Dietro l’abside della chiesa era rimasto circa un metro di strada. Nell’ottobre del 1959 si formò una nuova fenditura che dalla volta della chiesa si manifestava anche nel pavimento del presbiterio e della cripta di S. Espedito. Il Genio Civile di Chieti ne ordinò subito l’abbattimento dietro esproprio e indennizzo di 100 milioni di lire.
Dal 2 dicembre 1959 la chiesa venne demolita pezzo per pezzo. "La notizia sparsasi immediatamente fra la popolazione, ci ha fatto vedere un accorrere di gente nella Piazza San Pietro", scriveva Luigi Del Greco su Il Messaggero, "Su tutti i volti traspariva una intensa emozione, e qualcuno non nascondeva le lacrime nello scorgere gli operai intenti a procedere allo smantellamento di un così maestoso e caro edificio. Ci sembrava che si fosse tornati indietro nel tempo, alle giornate di quel febbraio di tra anni orsono in cui, su tutta la città era calata un’ombra di lutto e sembrava che il destino si fosse accanito contro Vasto, ripetendo i dolori di cento cinquanta anni addietro. Anche allora osservammo l’ansioso chiedere notizie, il correre affannoso o la tristezza di chi doveva precipitosamente abbandonare la propria casa minacciata dalla frana".
Con scrupolosa attenzione, si provvide a salvare gli altari, i marmi del pavimento, della balaustra e delle due scalinate per scendere nella cripta, ma anche tutte le statue, i quadri e i tesori. Tutti i beni in parte furono utilizzati per l’altare e il presbiterio della chiesa di Sant’Antonio di Padova, dove si era trasferita la parrocchia, i quadri, tra cui l’Ecce Agnus Dei di Filippo Palizzi e Il cieco di Gericodi F. Paolo Palizzi, furono trasferiti presso Museo Civico, altre statue di Santi furono dislocate tra le chiese di Sant’Antonio, la Madonna delle Grazie e Santa Filomena, e ancora tante altre suppellettili in deposito presso alcune famiglie.
A tal proposito, nel 1976, sul mensile Vasto Domani, Francesco Paolo Cieri pubblicava un interessante articolo dal titolo "Dove sono custoditi i beni della Parrocchia di S. Pietro?".
Nel lungo articolo, oltre ai quadri più importanti, l'autore si chiedeva dove fossero finiti i numerosi quadri che coprivano le pareti della sagrestia, e ricordava tra questi "La strage degli innocenti", tre bozzetti di Francescopaolo Palizzi, e i ritratti dei primi Prevosti della Parrocchia. E si chiedeva ancora: "Dove si trovano le statue di S. Omobono (patrono dei sarti e dei mercanti) e di S. Francesco di Paola, i preziosi reliquiari, gli ostensori, i candelabri?... Quale fine ha fatto il monumentale antichissimo organo? Dove sono andate a finire le antiche colonne con i rispettivi capitelli che facevano parte del tempio pagano dedicato a Cerere? Dove sono i leoni che adornavano l'artistico portale?".
Interrogativi questi a cui è difficile rispondere, ancor più a sessant'anni di distanza.
Con la demolizione della chiesa di San Pietro, era stato promesso al parroco Don Romeo Rucci prima e don Stellerino D’Anniballe poi, la costruzione della nuova chiesa. Più volte il vescovo mons. Bosio venne a Vasto per verificare la sede adatta, successivamente individuata a Belvedere Romani, tra il carcere e la caserma dei carabinieri. "L'Arcivescovo di Chieti e Vasto, mons. Giovan Battista Bosio", si leggeva in un articolo di Giuseppe Catania, apparso su Il Tempo del 14 novembre 1961, "in occasione della investitura parrocchiale di San Pietro, concessa al rev. Don Stellerino D'Anniballe, ha annunziato che al più presto l'antica chiesa, ora pressoché ridotta a rudere a causa della frana, sarà ricostruita. Non ha detto quando, ma sarà ricostruita".
Gli anni passarono. Per interessamento dell’on. Remo Gaspari, si riuscirono ad ottenere altri 150 milioni di finanziamento, ma dopo la morte del pastore diocesano, avvenuta il 25 maggio 1967, con la venuta del nuovo vescovo, Mons. Loris Capovilla, si decise definitivamente di non ricostruire più la chiesa di S. Pietro, in quanto quella di Sant’Antonio poteva sopperire a tale mancanza.
Mel 1978 fu ancora FrancescopaoloCieri a tornare sull'argomento. Parlando del suo precedente intervento del 1976, scrisse: "L'articolo produsse sensazione, ma provocò soltanto la risposta di Mons. Loris Capovilla, che, dalla lontana Loreto, tenne a precisare che, quando egli venne ad occupare la cattedra arcivescovile di Chieti, diventando così nostro ordinario, i cento milioni versati dallo Stato, quale indennizzo per la demolizione del tempio, erano già stati in vario modo, utilizzati dal suo predecessore".
Della chiesa di San Pietro oggi non rimane che il bel portale e tanti ricordi.
Chiudiamo con i versi del M° Aniello Polsi dedicati all'antica chiesa di San Pietro.

La chiesa franate

O bella chiese de San Pitre, addije,
ʼna grossa frane te s’à trascinate…
E quande i’ repasse pe’ ʼllavije
Lu core me se stregnedesulate!

De tutte chell’andichemunumende
Soltandelupurtale c’è rimaste;
e mo sta èlle a raccundà’ tremende
lujurne che sciahure fu pe’ Vaste!

Recordequande a sere i’ ce ‘ndrave,
pe’ ʼnginucchiarme a di’ ʼnaʼVemmarije,
e nu restore all’anemepruvave!

O bella chiese de San Pitre, addije,
mo n’ ce sti’ chiù: si’ fatte gne la nave
che cale a fonne! …che malingunije!



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