Don Vincenzo Pomponio |
di LINO SPADACCINI
Durante i passaggi televisivi della celebre serie di film sull'energico sacerdote padano Don Camillo, nato dalla penna di Giovanni Guareschi, e interpretato dall'attore francese Fernandel, spesso torna in mente la figura di un sacerdote vastese mai dimenticato, quella di don Vincenzo Pomponio, per tanti anni cappellano del cimitero e… animatore dei dibattiti politici cittadini.
Era nato a Vasto il 22 gennaio del 1880. Ordinato il 19
dicembre del 1903, insieme a don Romeo Rucci, dal 12 ottobre 1909 fu mansionario
del Capitolo della cattedrale di S. Giuseppe e fu promosso canonico il 29
aprile 1915.
Don Vincenzo era molto alto e piuttosto magro, molti lo
ricordano come un prete semplice, un prete della povera gente. "Strillava sempre", ricorda chi lo ha conosciuto, gesticolava molto e si "batteva sempre in petto".
ricordano come un prete semplice, un prete della povera gente. "Strillava sempre", ricorda chi lo ha conosciuto, gesticolava molto e si "batteva sempre in petto".
Quando parlava, non usava mezzi termini. Come quella volta,
agli inizi degli anni '20, quando chiamato durante la festa di S. Lorenzo per
fare la spiega al vangelo, esordì con
la frase "Popolo di caccavone!...".
Oppure quando agli inizi degli anni '50, con la cementificazione di via Tre
Segni scrisse all'amico Espedito Ferrara, direttore dell'Histonium: "Caro
Espedito, sei rimasto cieco e sordo da non vedere gli sgorbi che si fabbricano
ai Tre Segni e da non sentire le mormorazioni del paesaggio così ben protetto?
Ma permettimi che come cittadino (anche in abito talare si è cittadini no?) mi
rivolga non tanto all'amico Sindaco, ma all'artista d'un tempo, all'artista
della gioventù per chiedergli se sinceramente e francamente queste son cose da
farsi. Mi permetti di chiedertelo? O mi butterai nel fondo del cestino? Credo
che don Vincenzo meriti un posticino".
Famose erano le sue prediche, come ha sottolineato tempo fa in
una nota l'amico Enzo La Verghetta: "Alcune
mamme vengono a lamentarsi delle figlie che hanno esagerato con i loro
fidanzati e mi chiedono come fare per metterci una pezza. È inutile che poi
venite a chiedere consigli, dovevate pensarci prima, perché pure se è una pezza
a colori è sempre aripezzate". Al termine della S. Messa soleva
ripetere la frase "Paradiso a me e
paradiso a tutti".
Col suo carattere burbero e combattivo, e con la sua
parlantina, sapeva calamitare l’attenzione della gente e animava i dibattiti
cittadini, soprattutto quelli politici. Era sempre disponibile con tutti e
fedele ai suoi compiti: tutti i mesi, anche con mezzo metro di neve per terra,
si recava alla cappella del cimitero per dire la messa per i defunti caduti in
guerra.
Don Vincenzo Pomponio visse appieno l’avvento fascista. A
tal proposito mi piace ricordare un episodio citato da Giuseppe Libertoscioli
nel suo volume Nicola Monterisi
Arcivescovo di Chieti e Vasto. Nel maggio del 1924 il clero venne
richiamato ad astenersi dal prendere parte a festeggiamenti politici,
specialmente con funzioni o significazioni di carattere religioso. Questo
perché non sono mancati qua e là in diocesi sacerdoti e parroci, che sottoscrissero
manifesti elettorali, presero parte a cortei o banchetti, parteciparono a
comizi e fecero suonare le campane del paese. Vi furono ancora richiami da
parte della diocesi dall’astenersi alle contese di partito, di qualunque
partito essi fossero. Ci furono addirittura alcuni preti candidati dal fascio a
Podestà del paese, mentre a Vasto venne chiesto di ammonire e di punire, se
avessero continuato, i preti Vincenzo Pomponio, Pio Pomponio, Giustino Cianci e
Domenico Suriani "per aver inviato
l’obolo al giornale Il Popolo salutando Peppino Spataro ed il maestro Luigi
Sturzo e inneggiando alla nobile battaglia del Popolo".
Un altro episodio che lo vide ancora coinvolto politicamente
accade qualche anno prima, il 25 aprile del 1920, quando, in occasione di un
comizio socialista a Vasto, un battibecco con i popolari guidati dall’avvocato
Mayo e da don Vincenzo Pomponio, sfociò in una baruffa generale, che culminò
con l'arresto di tre socialisti.
Il quindicinale Histonium
nell'estate del 1954 pubblica un piccolo trafiletto dal titolo "I sigari di don Vincenzo":
Il nostro carissimo
don Vincenzo Poponio si chiede perplesso:
– Come mai i sigari,
che compro alla spaccio sono umidi, sfaldati, infumabili e i sigari ricevuti da
qualche amico parlamentare sono così asciutti, deliziosi, squisiti?... Come
mai?
Qualche mese dopo, lo stesso giornale pubblica un altro
aneddoto dal titolo "Che cosa hai
fatto stanotte?"
E siamo quasi a
mezzogiorno del 6. Don Vincenzo Pomponio campeggia in piazza. Non manca mai
qualche gruppo intimo intorno alla sua alta inconfondibile figura di sacerdote.
– Che cosa hai fatto
stanotte?
– domanda don
Vincenzo, che ricorda le tradizioni della nostra terra.
– Niente, don Vincé,
ho dormito.
– E come, non hai
parlato?
– Se dormivo, non
parlavo.
– Strano, conclude don
Vincenzo, questa notte han parlato tutti gli animali, e tu… tu non hai parlato?!...
Secondo una leggenda
nostrana la notte dell'Epifania tutte le bestie parlano.
Nel maggio del 1955 sempre sull'Histonium, appare un altro aneddoto dal titolo "La fame":
Un gruppo di persone –
è l'argomento del giorno – parla di stipendi bassi insufficienti inadeguati…
Non si può andare
avanti, la cinghia è già oltre l'ultimo buco: in una parola è la fame…
Vicino al gruppo, che
discute animatamente si trova il nostro caro don Vincenzo Pomponio, il quale
ascolta.
Finalmente don
Vincenzo interviene:
– Posso dire una
parola!
– E come, don Vincenzo
– risponde qualcuno – vogliamo il vostro parere.
– È trend'anne,
conclude don Vincenzo, che ffacce lu cuappellane a lu cuambesande e n'è mmenute
ma' nisciune ch'è mmorte de fame!
Di don Vincenzo Pomponio si ricordano anche due
pubblicazioni: "La Croce di G.
Cristo - Via, Verità e Vita per genere umano", con il testo del
discorso pronunciato il 3 maggio del 1909 nella chiesa di S. Pietro in
occasione della festa del Legno della Croce, e "Potenza e amore di Maria", pubblicato l'anno successivo.
Lino Spadaccini
2 commenti:
"Caccavone" era il precedente toponimo dell'attuale Poggio Sannita, in provincia di Isernia.
http://www.francovalente.it/2007/09/14/poggio-sannita/
Marchese di Caccavone fu Raffaele Petra
http://www.treccani.it/enciclopedia/petra-raffaele-marchese-di-caccavone_(Dizionario-Biografico)/
In questo testo è citato anche Gabriele Rossetti.
Signor Spadaccini è sempre un piacere leggere i suoi post
cordiali saluti da Rodolfo Molino
Questo articolo che mi ricorda un personaggio vastese che ho conosciuto, mi ha anche dato l'occasione per leggere il commento di Rodolfo Molino con il quale ho avuto un piacevole periodo di corrispondenza. Attraverso questo giornale, spero di poterlo contattare di nuovo.
Tornando a don Vincenzo, io ricordo i pomeriggi in piazza Pudente, in estate con i tavoli messi sul marciapiede sotto le finestre del Circolo. A quei tavoli si svolgevano accese partite di tressette e un immancabile protagonista era proprio don Vincenzo. Io ragazzino, mi fermavo a fianco dei tavoli e ascoltavo il dialogo acceso dei giocatori. Ricordo ancora l'odore del toscano che il prete fumava e talvolta appoggiava sul bordo del tavolo con la brace all'esterno. Ma spesso capitava che una giocata di forza, quando si sbatte la carta vincente a sorpresa, il tavolo era scosso e il sigaro cadeva a terra.
Don Vincenzo non si faceva mancare nulla, nemmeno qualche sibilante parolaccia mentre raccoglieva il mozzicone. Rialzandosi si accorgeva della mia presenza e, per niente imbarazzato da quello che avevo sentito, mi diceva "si càsche lu sucuàrre, atturete li recchie" (se vedi cadere il sigaro, turati le orecchie). Indimenticabile.
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