giovedì 26 aprile 2018

Don Vincenzo Pomponio: prete e ...animatore di dibattiti politici

Don Vincenzo Pomponio
Quando parlava, non usava mezzi termini. 

di LINO SPADACCINI 

Durante i passaggi televisivi della celebre serie di film sull'energico sacerdote padano Don Camillo, nato dalla penna di Giovanni Guareschi, e interpretato dall'attore francese Fernandel, spesso torna in mente la figura di un sacerdote vastese mai dimenticato, quella di don Vincenzo Pomponio, per tanti anni cappellano del cimitero e… animatore dei dibattiti politici cittadini.
Era nato a Vasto il 22 gennaio del 1880. Ordinato il 19 dicembre del 1903, insieme a don Romeo Rucci, dal 12 ottobre 1909 fu mansionario del Capitolo della cattedrale di S. Giuseppe e fu promosso canonico il 29 aprile 1915.

Don Vincenzo era molto alto e piuttosto magro, molti lo
ricordano come un prete semplice, un prete della povera gente. "Strillava sempre", ricorda chi lo ha conosciuto, gesticolava molto e si "batteva sempre in petto".
Quando parlava, non usava mezzi termini. Come quella volta, agli inizi degli anni '20, quando chiamato durante la festa di S. Lorenzo per fare la spiega al vangelo, esordì con la frase "Popolo di caccavone!...". Oppure quando agli inizi degli anni '50, con la cementificazione di via Tre Segni scrisse all'amico Espedito Ferrara, direttore dell'Histonium: "Caro Espedito, sei rimasto cieco e sordo da non vedere gli sgorbi che si fabbricano ai Tre Segni e da non sentire le mormorazioni del paesaggio così ben protetto? Ma permettimi che come cittadino (anche in abito talare si è cittadini no?) mi rivolga non tanto all'amico Sindaco, ma all'artista d'un tempo, all'artista della gioventù per chiedergli se sinceramente e francamente queste son cose da farsi. Mi permetti di chiedertelo? O mi butterai nel fondo del cestino? Credo che don Vincenzo meriti un posticino".


Famose erano le sue prediche, come ha sottolineato tempo fa in una nota l'amico Enzo La Verghetta: "Alcune mamme vengono a lamentarsi delle figlie che hanno esagerato con i loro fidanzati e mi chiedono come fare per metterci una pezza. È inutile che poi venite a chiedere consigli, dovevate pensarci prima, perché pure se è una pezza a colori è sempre aripezzate". Al termine della S. Messa soleva ripetere la frase "Paradiso a me e paradiso a tutti".

Col suo carattere burbero e combattivo, e con la sua parlantina, sapeva calamitare l’attenzione della gente e animava i dibattiti cittadini, soprattutto quelli politici. Era sempre disponibile con tutti e fedele ai suoi compiti: tutti i mesi, anche con mezzo metro di neve per terra, si recava alla cappella del cimitero per dire la messa per i defunti caduti in guerra. 

Don Vincenzo Pomponio visse appieno l’avvento fascista. A tal proposito mi piace ricordare un episodio citato da Giuseppe Libertoscioli nel suo volume Nicola Monterisi Arcivescovo di Chieti e Vasto. Nel maggio del 1924 il clero venne richiamato ad astenersi dal prendere parte a festeggiamenti politici, specialmente con funzioni o significazioni di carattere religioso. Questo perché non sono mancati qua e là in diocesi sacerdoti e parroci, che sottoscrissero manifesti elettorali, presero parte a cortei o banchetti, parteciparono a comizi e fecero suonare le campane del paese. Vi furono ancora richiami da parte della diocesi dall’astenersi alle contese di partito, di qualunque partito essi fossero. Ci furono addirittura alcuni preti candidati dal fascio a Podestà del paese, mentre a Vasto venne chiesto di ammonire e di punire, se avessero continuato, i preti Vincenzo Pomponio, Pio Pomponio, Giustino Cianci e Domenico Suriani "per aver inviato l’obolo al giornale Il Popolo salutando Peppino Spataro ed il maestro Luigi Sturzo e inneggiando alla nobile battaglia del Popolo".
Un altro episodio che lo vide ancora coinvolto politicamente accade qualche anno prima, il 25 aprile del 1920, quando, in occasione di un comizio socialista a Vasto, un battibecco con i popolari guidati dall’avvocato Mayo e da don Vincenzo Pomponio, sfociò in una baruffa generale, che culminò con l'arresto di tre socialisti.

Il quindicinale Histonium nell'estate del 1954 pubblica un piccolo trafiletto dal titolo "I sigari di don Vincenzo":
Il nostro carissimo don Vincenzo Poponio si chiede perplesso:
– Come mai i sigari, che compro alla spaccio sono umidi, sfaldati, infumabili e i sigari ricevuti da qualche amico parlamentare sono così asciutti, deliziosi, squisiti?... Come mai?
Qualche mese dopo, lo stesso giornale pubblica un altro aneddoto dal titolo "Che cosa hai fatto stanotte?"
E siamo quasi a mezzogiorno del 6. Don Vincenzo Pomponio campeggia in piazza. Non manca mai qualche gruppo intimo intorno alla sua alta inconfondibile figura di sacerdote.
– Che cosa hai fatto stanotte?
– domanda don Vincenzo, che ricorda le tradizioni della nostra terra.
– Niente, don Vincé, ho dormito.
– E come, non hai parlato?
– Se dormivo, non parlavo.
– Strano, conclude don Vincenzo, questa notte han parlato tutti gli animali, e tu… tu non hai parlato?!...
Secondo una leggenda nostrana la notte dell'Epifania tutte le bestie parlano.
Nel maggio del 1955 sempre sull'Histonium, appare un altro aneddoto dal titolo "La fame":
Un gruppo di persone – è l'argomento del giorno – parla di stipendi bassi insufficienti inadeguati…
Non si può andare avanti, la cinghia è già oltre l'ultimo buco: in una parola è la fame…
Vicino al gruppo, che discute animatamente si trova il nostro caro don Vincenzo Pomponio, il quale ascolta.
Finalmente don Vincenzo interviene:
– Posso dire una parola!
– E come, don Vincenzo – risponde qualcuno – vogliamo il vostro parere.
– È trend'anne, conclude don Vincenzo, che ffacce lu cuappellane a lu cuambesande e n'è mmenute ma' nisciune ch'è mmorte de fame!
Di don Vincenzo Pomponio si ricordano anche due pubblicazioni: "La Croce di G. Cristo - Via, Verità e Vita per genere umano", con il testo del discorso pronunciato il 3 maggio del 1909 nella chiesa di S. Pietro in occasione della festa del Legno della Croce, e "Potenza e amore di Maria", pubblicato l'anno successivo.

Lino Spadaccini








2 commenti:

laviniano ha detto...

"Caccavone" era il precedente toponimo dell'attuale Poggio Sannita, in provincia di Isernia.

http://www.francovalente.it/2007/09/14/poggio-sannita/

Marchese di Caccavone fu Raffaele Petra

http://www.treccani.it/enciclopedia/petra-raffaele-marchese-di-caccavone_(Dizionario-Biografico)/

In questo testo è citato anche Gabriele Rossetti.

Signor Spadaccini è sempre un piacere leggere i suoi post

cordiali saluti da Rodolfo Molino

Ciccosan ha detto...

Questo articolo che mi ricorda un personaggio vastese che ho conosciuto, mi ha anche dato l'occasione per leggere il commento di Rodolfo Molino con il quale ho avuto un piacevole periodo di corrispondenza. Attraverso questo giornale, spero di poterlo contattare di nuovo.
Tornando a don Vincenzo, io ricordo i pomeriggi in piazza Pudente, in estate con i tavoli messi sul marciapiede sotto le finestre del Circolo. A quei tavoli si svolgevano accese partite di tressette e un immancabile protagonista era proprio don Vincenzo. Io ragazzino, mi fermavo a fianco dei tavoli e ascoltavo il dialogo acceso dei giocatori. Ricordo ancora l'odore del toscano che il prete fumava e talvolta appoggiava sul bordo del tavolo con la brace all'esterno. Ma spesso capitava che una giocata di forza, quando si sbatte la carta vincente a sorpresa, il tavolo era scosso e il sigaro cadeva a terra.
Don Vincenzo non si faceva mancare nulla, nemmeno qualche sibilante parolaccia mentre raccoglieva il mozzicone. Rialzandosi si accorgeva della mia presenza e, per niente imbarazzato da quello che avevo sentito, mi diceva "si càsche lu sucuàrre, atturete li recchie" (se vedi cadere il sigaro, turati le orecchie). Indimenticabile.