Il garibaldino vastese Giuseppe Ricci |
di Lino Spadaccini
Centocinquanta anni fa, il 3
novembre del 1867, il patriota vastese Giuseppe Ricci cadeva eroicamente nella
tragica battaglia di Mentana.
Sono passati centocinquanta anni da quella che è stata
definita una delle battaglie più tragiche della storia italiana, e
centocinquanta furono i giovani volontari garibaldini che caddero sotto i colpi
delle truppe franco-pontificie, armate dei primi fucili a ripetizione. Tra
questi anche il nostro Giuseppe Ricci, giovane liberale e convinto assertore
della causa risorgimentale.
Nato a il 17 marzo del 1844, dal conte Filippo e Ligea
Palmieri, il Ricci fin da giovane mostrò il suo pensiero liberale attraverso la
poesia. Compì gli studi letterari a Napoli sotto il Settembrini e il Vera. A soli
quindici anni scrisse un Canto agli
uomini illustri d’Italia, dove
vedeva l’unità della nostra penisola sotto Vittorio Emanuele. Nel 1860, ispirato dalle imprese di Giuseppe Garibaldi, scrisse un Inno di Guerra capace di infervorare gli animi dei patrioti:
vedeva l’unità della nostra penisola sotto Vittorio Emanuele. Nel 1860, ispirato dalle imprese di Giuseppe Garibaldi, scrisse un Inno di Guerra capace di infervorare gli animi dei patrioti:
Sorgiamo, o fratelli: - dall’Alpi ai tre
mari.
Su, tutti
frementi – snudiamo gli acciari;
Su, tutti
animosi – corriamo al Po.
Sia fine al selvaggio – di Marco il Lione,
Oppresso e
non domo – dal fiero Teutòne,
Tremendo
ruggito – dal petto mandò.
A l’armi, o fratelli – giuriamo pugnar;
Divampi la
guerra – per terra e per mar!
Scrisse anche Polonia
e un Carme a Gabriele Rossetti, di
cui era un fedele ammiratore e, in un opuscolo stampato, invitava i suoi
concittadini ad erigere un monumento alla sua memoria.
Nei primi mesi del 1865 si trasferì a Firenze dove
collaborò come giornalista nel Diritto,
diretto da Giuseppe Civinini,e nella Riforma,
giornale di sinistra diretto dal deputato Antonio Oliva. In particolare sul
primo, pubblicò tre lettere, successivamente ristampate sotto forma di
opuscolo, nella quale il Ricci trattò della questione del potere temporale dei
papi.
Fu molto duro il Ricci nei
confronti della Roma Pontificia. Ricordiamo che la fine del potere temporale
avverrà solo il 20 settembre 1870, quando l’artiglieria del Regno d’Italia
aprirà una breccia di circa trenta metri a Porta Pia, che permetterà loro
l’ingresso. "No: l’Italia non è, né
debb’essere confusa colla Chiesa di Roma", scrisse il Ricci sulle
pagine de Libero Pensiero, Giornale dei
Razionalisti, in data 10 gennaio 1867, "perché lo spirito creatore di questa è esaurito, e l’Italia chiude in sé
il germe d’una vita avvenire". E ancora, "Piucché cattolica l’Italia fu vittima dell’ignoranza. L’ignoranza! Ecco
l’arma onde Roma si valse per dominare; e al grido potente della ragione essa
risponde coll’indice, negazione dell’umano intelletto… Per chiamare pane al
pane, osiamo affermare che la più grande sventura che funesti oggi l’Italia sia
quella di possedere nel suo seno il papato, pomo della discordia, e vaso di
Pandora per questo nostro disgraziato paese". Il Ricci chiuse la prima
parte del suo intervento con un forte appello: "Dall’alto del Vaticano un cadente pontefice ha lanciato una sfida
all’Italia: raccogliamo il guanto, e fra noi siano giudici l’avvenire e la
storia. Istruiamoci ed istruiamo; rendiamo uomini quelli che Roma vuol bruti, e
il trionfo non potrà certo fallirci".
Nel 1867 Giuseppe Ricci si arruolò nei garibaldini per
la campagna romana.Alcune notizie del patriota vastese le troviamo nel racconto
della giornata di Monterotondo, fatto da Eugenio Valzania, grande patriota
cesenate. "Dopo l'arresto di Garibaldi
a Sinalunga", si legge sulle colonne dell'Istonio del 1888, a firma di Raffaele Mattioli, "il Valzania si recò a Firenze per avere dai
deputati della sinistra storica qualche soccorso a pro dei volontari, quasi
scoraggiati dalla scomparsa del generale; e scelse compagno di viaggio il
Ricci. Ottenuto l'intento, si ripartì alla volta di Terni, dove si dovevano
organizzare i soccorsi chiesti dal Menotti; ma, sventuratamente, alla stazione
di Foligno i due viaggianti furoncon bel garbo (come dice il Valzania) arrestati. Non ci preme di sapere come se la
svignasse il Valzania dalle mani della polizia; a noi importa conoscere che
l'eroe di Cesena trovò a Terni, occupato a far cartucce, il suo compagno di
viaggio, che aveva potuto sottrarsi alle misure della polizia saltando dal
convoglio che lo riconduceva, scortato da due guardie, in Romagna. Da Terni partirono il 18 ottobre le colonne
Caldesi e Valzania, che il 23 si unirono alle forze del Menotti; il nostro
Ricci sopportò pazientemente tutti i disagi di tanto lunga marcia, il fresco
autunnale della brulla campagna romana, e fors'anche la fame…"
A Monterotondo combatté valorosamente insieme ai suoi
compagni, rendendosi protagonista della
vittoria, come raccontò Quirico Filopanti (pseudonimo di Giuseppe Barilli) nel Resto del Carlino del 21 novembre 1891: "… Il generale Garibaldi mi disse: Filopanti,
minate il castello. Mentre io mi stillavo il cerebro per superare la grave
difficoltà della mancanza di polvere, il capitano AgapoRidolfi, mio amico ed
ora dimorante in Bologna, ebbe la felice ispirazione di dare ordine a Giuseppe
Ricci (vastese), suo milite, di mettere il fuoco ad un carro di fieno in
prossimità delle scuderie del castello.Quel principio d’incendio determinò il
colonnello comandante la legione d’Antibo, ad esporre dalle finestre la
bandiera bianca".
In
una lettera indirizzata alla madre, tre giorni prima della battaglia di Mentana,
Giuseppe così le scrisse: "…Ho preso
parte all’attacco di Monterotondo e un colpo di mitraglia à ucciso due
ufficiali al mio fianco. Siamo rimasti due giorni senza mangiare; la sete poi
la soffriamo spessissimo. Ora siamo a cinque miglia da Roma, e dalla terrazza
ove sono scorgiamo gli avamposti nemici e la cupola di san Pietro, che
giganteggia in mezzo ai superbi edifici romani. In questo momento giunge
l’ordine di tornare a Monterotondo per riorganizzarci e rimpannucciarci.
Scrivetemi li, e la lettera mi giungerà senza fallo".
Il 3 novembre del 1867, nella tragica battaglia di
Mentana, il Ricci fu uno dei primi, insieme ad altri 149 giovani garibaldini, a
cadere sotto i colpi delle truppe franco-pontificie, armate dei primi fucili a
ripetizione.
Due mesi più tardi, nel gennaio del 1968, il generale Giuseppe
Garibaldi, dalla sua residenza di Caprera, inviò due lettere al conte Luigi Ricci,
fratello di Giuseppe. "Mio caro
Ricci", si leggeva nella prima missiva datata 14 gennaio, "Voi contate un eroe nella vostra famiglia
nel valoroso fratello Giuseppe. Speriamo tutti di seguire presto l’esempio di
quei forti, pugnando per la liberazione della patria. Vostro: G.Garibaldi".
Nella seconda lettera, datata
21 gennaio, il generale scrisse: "Mio
caro Ricci, Accanto a noi gloriosi delle Cairoli, la storia italiana collocherà
quello della egregia vostra genitrice. Dite ad essa che io sono superbo
d’essere suo col cuore e colle aspirazioni. Per la vita. Vostro: G.Garibaldi".
Il
4 luglio del 1902, in una memorabile giornata, venne scoperta una lapide
(ancora oggi visibile sul muro esterno di Palazzo d’Avalos) in onore dei
patrioti vastesi Giuseppe Ricci, Antonio Bosco e Gaetano Marchesani.
Dettata da Mario Rapisardi, poeta catanese, la lapide
venne scoperta in occasione del 1° centenario della nascita di Giuseppe
Garibaldi, durante una seguita e commovente cerimonia a cui presero parte le
maggiori autorità cittadine e le varie società vastesi dell’epoca, quali la Società di Tiro a Segno,
organizzatrice della manifestazione, la Società Operaia di
Mutuo Soccorso e la Società
della Stella Azzurra.
Sul manifesto pubblicato per l’occasione, a firma di
Gelsomino Zaccagnini, presidente della società di Tiro a Segno, da lui
istituita nel 1902, si leggeva il seguente messaggio:
CITTADINI!
Nel giorno
che ricorda la nascita di Colui, che giustamente fu detto il Cavaliere
dell’Umanità, all’omaggio della Nazione, al pensiero di tutto il mondo civile
uniscasi il palpito vostro fervido e devoto, in questa che è solenne festa dei
cuori e della patria, e degna consacrazione dei tre generosi nostri fratelli,
martiri del dovere e dell’ideale, esempi purissimi di abnegazione e di fede!
E chiudiamo con l'iscrizione dedicata al Ricci da
Giacinto Barbarotta, contenuta nel primo volume delle Iscrizioni italiane, pubblicato nel 1879:
QUESTA È LA IMMAGINE
DI GIUSEPPE RICCI DA VASTO
VISSUTO SOLO VENTITRÈ ANNI
RARO INGEGNO SORPRENDENTE
ROBUSTO E FORBITO SCRITTORE:
LA PATRIA NOSTRA AHI! QUANTO AMAVA
E NELLA GLORIOSA BATTAGLIA DI MENTANA
A DÌ IV NOVEMBRE MDCCCLXVII
ARDITAMENTE PERÌ:
ESEMPIO ELOQUENTE
AI GIOVANI ITALIANI!!
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