di Lino
Spadaccini
Dopo le
vicende vissute in prima persona sull'Isola d'Elba ed in Toscana, con
l'invasione dell'esercito imperiale francese, fino alla liberazione del
Granducato, da parte dell'esercito austriaco, Domenico Rossetti ripara in
Sardegna, verso la fine dell'estate del 1799, dove trova una situazione
politica decisamente più tranquilla.
Con il
trattato di Londra del 2 agosto 1718 l'Isola venne assegnata ai Savoia. Nel
1792, durante la guerra tra Francia e Savoia, i francesi tentarono di conquistare
la Sardegna, ma furono costretti a desistere difronte all’orgoglio degli
isolani, che misero in atto una strenua quanto efficace difesa. I Savoia
mostrarono freddezza e scarsa riconoscenza nei confronti dei
sardi e gli stessi delegati, inviati a Torino per ottenere la concessione di alcune riforme, non riuscirono ad ottenere nulla.
sardi e gli stessi delegati, inviati a Torino per ottenere la concessione di alcune riforme, non riuscirono ad ottenere nulla.
Il
malcontento, ormai diffuso in tutta l’Isola, sfociarono nella rivolta dei
cagliaritani, il 28 aprile 1794, causando la fuga del viceré con tutti i
piemontesi al seguito.
Intanto la
guerra tra i Savoia e i francesi continuava. Nel marzo del 1799 la Corte
piemontese fu costretta a rifugiarsi a Cagliari: le autorità sarde rinunciarono
alle richieste di riforme e confermarono la loro fedeltà alla dinastia sabauda.
Nel settembre re Carlo Emanuele IV partì nuovamente per Torino con il fermo
proposito di riprendere possesso del Piemonte, e lasciò il comando dell’Isola a
suo fratello minore Carlo Felice, nel frattempo divenuto viceré.
Durante il
soggiorno in Sardegna il Rossetti vive un periodo intenso soprattutto di
arricchimento culturale, grazie all’amicizia e alle frequentazioni strette con
i maggiori letterali sardi del tempo, all’interno dei principali circoli
culturali. La fama del Rossetti è già elevata: l’eco dei versi scritti, contro
l’oppressore francese, è ancora ben vivo e gli garantiscono un buon biglietto
da visita, collocandolo tra i maggiori poeti improvvisatori del tempo.
Nella gran
sala della Regia Università di Cagliari, Domenico «riportò gli Apollinei onori… con intervento de’ professori delle
diverse facoltà, di altri dotti personaggi, de’ cavalieri e sin delle dame».
Grande successo ottiene quanto viene invitato dal Viceré, insieme a tutta la
Nobiltà, nel suo palazzo per un’Accademia, dove improvvisa per tre ore di
seguito su difficili argomentazioni, riscotendo applausi a scena aperta e
grande stupore delle persone presenti «Oltre
le felicitazioni, che gliene fece quell’Augusto Personaggio, ne venne
guiderdonato di una borsa piena di doppie di Savoja». Lo stesso Francesco
Carboni, sommo letterato e poeta latino, scrive il seguente componimento sul
merito del poeta vastese:
Quid Perfectium, OlympicamCorillam
Et Lorentium, Apolline, aut Minerva
Prognatosmemorasmihi, Fabrille,
Dum se se, invidiaque major ipsa
Rossettuspedeveltrecenta in uno
Perstans carmina lectiorafundit?
Aeviprodigiumvetustioris,
Aevi delirium beatioris,
Rectius memora mihiPudentem.
Undaeunda, ignis ut igni, et ovum ut ovo
Pudentisimilisperindenempe est
Rossettussapientiaevelipsa
Ipsiussatus est perinde stirpe,
Qui vel si sicilisset, atticissat.
Unum quo cumulatiorperennet
Laushaec, id
superestprofecto in unum.
Sardisultero ut Ulpio imperante
Pio insigniter altero et favente,
Illicoaureolamveaheneamve
Magistrastatuammanuexpolitam
PonatCaralis alteri Pudenti.
Stesso
successo, Domenico riporta a Sassari dove, all’interno della Chiesa de' Cavalieri, l’odierna chiesa di S. Giacomo, compone un
sonetto con le rime ebraiche, che gli vengono proposte da un professore di
lingue semitiche di quella stessa Università.
Lo storico
sardo Giovanni Siotto-Pintòr, qualche anno più tardi, nell'opera Storia letteraria della Sardegna
(1843-1844), definirà il Rossetti «fabbricatore
instancabile di versi estemporanei», da molti considerato un prodigio, ma
che in realtà«prodigio non era»,
anzi, a rincarare la dose, scriverà che il Rossetti «fu quasi il più meschino oratore, che non felice improvvisatore di
versi».
Questo è un
periodo molto intenso dal punto di vista dell’ispirazione poetica: molte sono
le poesie scritte e pubblicate, inizialmente per lo stampatore Il Polo e,
successivamente, presso la Stamperia Reale di Antonio Azzati all’Insegna di S.
Caterina, aperto proprio nel corso del 1800, come si evince da un sonetto
dedicatorio del Rossetti. In molti si affrettano ad accattivarsene la stima e
l’amicizia commissionandogli componimenti d’ogni genere.
Interessante
è l’omaggio acrostico dedicato a Gavino Murro, nominato vescovo della città di
Bosa. Il componimento del Rossetti è diviso in dieci ottave, le cui iniziali
formano la frase: GavinusMurroSassarensisConsecratusEpiscopusBosae
Quarto CalendasOctobris Anni Domini 1800. Sempre nello stesso foglio a
stampa è riportato un sonetto quasi estemporaneo, come lo definisce il
Rossetti, con la seguente nota: «da
leggersi in tre maniere: in endecasillabi, settenarii, e quinarii. Nella prima
parla il Poeta, nella seconda il Popolo della Città di Bosa, nella terza il
novello Illustrissimo Monsignore». Le iniziali formano la frase Pastor Bonus Est:
Presente a sì gran rito Or che son io
Ahi! Ch’essere vorrei, SACRO PASTORE,
Sempre a te quindi unito, e al Gregge pio;
Te più non lascerei, già dono il cuore.
Oh fossi esaudito! Il
sommo Dio
Ringraziar saprei: ben
spira amore,
Buona la sorte, ardito in petto Mio
Ognora esulterei. con
gran fervore
Non più. Si dice, oh Dio! Ad una voce
Un prossimo discesso. Il Gregge intorno
So, ch’è GAVINO IL PIO ne vuò veloce.
Ecco, ch’è già d’appresso, (ed è ogni giorno)
Sento, che il viver, mio nemico atroce:
Tutto sarà per esso in
duolo, in scorno.
Nello stesso
periodo, il Rossetti dà alle stampe una cantica per la vittoria riportata sulla
popolazione del villaggio di Thiesi il 6 ottobre del 1800. La cantica, firmata
dall’improvvisatore avvocato Domenico
Rossetti detto ancora StitemeniosVeldacodrotos, esprime, con versi
allegorici, la repressione militare contro il popolo del villaggio di Thiesi,
che si era ribellato al feudatario, per ottenere un nuovo assetto di proprietà
della terra e per nuovi rapporti di produzione nelle campagne.
Per
ricostruire la vicenda ci aiutiamo con il racconto minuzioso scritto dallo
storico sardo Pietro Martini. La linea scelta dal conte Moriana, appoggiato da
alcuni consiglieri, era quello della severità e del terrore. Settecento uomini,
tra miliziani e soldati, comandati da Antonio Grondona furono spediti a Thiesi
per reprimere la rivolta e catturare i
capi agitatori.
I capi dei
rivoltosi, piuttosto che rinunciare alla rivolta, come avvenuto in altri paesi
vicini, si prepararono agguerriti a respingere l’esercito sabaudo, assoldando
sotto costrizione anche innocenti popolani. In cinquecento, la mattina del 6
ottobre, si trincerarono all’ingresso della città. «Grondona impetuosamente si spinse contro le genti del posto avanzato e
le pose in fuga – racconta il Martini – Di
subito assaltò i trincieramenti, e qui, pel fuoco vivissimo degl’insorti, il
conflitto durò alcune ore: finalmente ne li cacciò e li costrinse a cercare un
riparo nella villa. Qui dentro combatterono col furore della disperazione, e
dal campanile della parrocchia fulminarono orrendamente i regi. Né a questi
rimase piena la vittoria, infino a che da quel luogo non gli snidarono».
Tra le file
dei popolani, sedici furono i morti e molti i feriti, mentre nell’esercito
regio, i morti furono due e diversi i feriti, tra i quali anche il comandante
Grondona; e proprio per le perdite subite si abbattè la vendetta sui poveri
popolani: molte case vennero incendiate, altre distrutte e saccheggiate.
Per
giudicare i rivoltosi della ribellione di Thiesi fu spedito a Santo-Lussurgiu
il giudice Raffaele Valentino-Pico, e fu creato un consiglio di guerra composto
da quattro militari, dal vice uditore di guerra e da due togati, i signori
Fontana e Belly. Le pene furono esemplari e i rivoltosi mandati al patibolo.
La cantica
del Rossetti è formata da 104 terzine, con rima ABA, e quindici annotazioni; a
chiudere è riportato il testo della lettera, datata 14 ottobre, del Vicerè
Carlo Felice al fratello Placido Benedetto.
Nel sozzo Regno delle colpe, a manca
Dell’adito primiero, rabbuffato
Tre bocche un Mostro orribile
spalanca.
Pestifero dal sen tramanda il fiato,
Misto a un spesso latrar caninamente
All’aspetto di un qualche
trapassato:
E vomita talor bava bollente…
I versi sono
di chiaro stampo neoclassico permeato da allegorie e un’infarcitura di figure
prese in prestito dalla mitologia greca, come le atroci Erinni, mostruose
figure alate, personificazione femminili delle vendette, l’Erebo, ovvero le
tenebre, ed altri personaggi quali Tantalo, Sisifo, Minosse, Europa, ed altri
ancora.
Abbandonato
l’allegorismo iniziale, il Rossetti si addentra nel racconto strettamente
storico con dovizia di particolari, dall’arrivo dell’esercito sabaudo (Il Vessillo Sabaudo ampio-pendente / Tutti
sieguono in ordine di guerra / I Cavalieri, i Fanti allegramente),
all’organizzazione ed all’arruolamento dei rivoltosi (La vigilante Furia alto sprigiona / Fischio dal sen, che avvicinarsi
osserva I I forti battaglier, cui gloria sprona. / Più superba diventa, e più
proterva, / E qua, e di là si aggira, odio sbuffando, / A unir la gente a se
soggetta, e serva. / La stimola… / E ubbidiente la trova al suo comando.).
Dettagliato è il racconto della battaglia. I rivoltosi riparano dietro le
trincee per stare più al coperto, altri salgono sugli edifici vicini e
attendono il momento della battaglia. Il Comandante Grondona non ha molta
scelta: i rivoltosi sono decisi ad andare avanti nella loro lotta e non ci sono
i margini per un dialogo. Il Rossetti indugia per alcuni versi sullo stato
d’animo del comandante (Ti addolori…
/ E contrastano in Te gli affetti interni),
il quale attende a dare il comando di attacco, nonostante il fuoco nemico, e
solo perché costretto. Basta indugiare è il momento di attaccare: Attaccateli orsù… Per Carlo ora si pugna.
Al nome del Conte di Moriana l’esercito sabaudo attacca impetuosamente… Perché le forze ostili alfiensien dome.
De’ timpani il rumor,
l’alto-stridente
Suon delle rauche trombe in mezzo al
Campo
Più incoraggisce il loro cuor, la
mente.
Di mille lampi ecco si vede un
lampo;
Si oppone altro maggior, e
rumoreggia
Orrendo scoppio, e già non v’è più
scampo.
Volan mortali ordigni, e si
volteggia
Il denso fumo per lo ciel; vittoria
Dubbia rassembra a quali arrider deggia.
Nutre il cor de’ Tiesinjattanza, e
boria
Volvendo in mente, che alli dì
futuri
Di lor prodezze parlerà l’Istoria.
Sule difese credonsi sicuri,
Ma contro dello spirto, e valor vero
Son vane le difese, e vani i muri.
La battaglia
è dura: diversi i morti, molti i feriti in campo, tra cui, in maniera lieve, lo
stesso Grondona (Qual grido? Ohimè!...
Ferito è il Duce). La vendetta dell’esercito sabaudo si abbatte violenta
sui tiesini e molti edifici vengono dati alle fiamme: Serpeggia, e strugge le pareti intanto / Fuoco divorator; Tiesi è già
doma, / E albergo è fatta sol di lutto, e pianto. / Gemon le Madri con la
sparsa chioma, / E stringon tremolanti i Figli al seno / Del Duol portando la
gravosa soma.
I versi del
Rossetti provocheranno lo sdegno dello storico sardo Pietro Martini, che nella
sua Storia di Sardegna (1852),
scriverà: «...un Domenico Rossetti, improvvisatore straniero deturpò la sua
musa con un Canto di lode agli uomini che gli avevano saccheggiati ed
impoveriti, e che poco stante furono segno dei favori regali».
Nello stesso periodo, il Rossetti pubblica due sonetti: il primo dedicato a
Don Antonio Grondona, comandante della spedizione diretta al villaggio di Thiesi,
il secondo dedicato a S. A. R. Placido Benedetto di Savoia in ricorrenza del faustissimo giorno natalizio.
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