giovedì 14 luglio 2016

DOMENICO ROSSETTI (3^ Puntata): glorie in terra sarda


di Lino Spadaccini

Dopo le vicende vissute in prima persona sull'Isola d'Elba ed in Toscana, con l'invasione dell'esercito imperiale francese, fino alla liberazione del Granducato, da parte dell'esercito austriaco, Domenico Rossetti ripara in Sardegna, verso la fine dell'estate del 1799, dove trova una situazione politica decisamente più tranquilla.

Con il trattato di Londra del 2 agosto 1718 l'Isola venne assegnata ai Savoia. Nel 1792, durante la guerra tra Francia e Savoia, i francesi tentarono di conquistare la Sardegna, ma furono costretti a desistere difronte all’orgoglio degli isolani, che misero in atto una strenua quanto efficace difesa. I Savoia mostrarono freddezza e scarsa riconoscenza nei confronti dei
sardi e gli stessi delegati, inviati a Torino per ottenere la concessione di alcune riforme, non riuscirono ad ottenere nulla.

Il malcontento, ormai diffuso in tutta l’Isola, sfociarono nella rivolta dei cagliaritani, il 28 aprile 1794, causando la fuga del viceré con tutti i piemontesi al seguito.

Intanto la guerra tra i Savoia e i francesi continuava. Nel marzo del 1799 la Corte piemontese fu costretta a rifugiarsi a Cagliari: le autorità sarde rinunciarono alle richieste di riforme e confermarono la loro fedeltà alla dinastia sabauda. Nel settembre re Carlo Emanuele IV partì nuovamente per Torino con il fermo proposito di riprendere possesso del Piemonte, e lasciò il comando dell’Isola a suo fratello minore Carlo Felice, nel frattempo divenuto viceré.

 

Durante il soggiorno in Sardegna il Rossetti vive un periodo intenso soprattutto di arricchimento culturale, grazie all’amicizia e alle frequentazioni strette con i maggiori letterali sardi del tempo, all’interno dei principali circoli culturali. La fama del Rossetti è già elevata: l’eco dei versi scritti, contro l’oppressore francese, è ancora ben vivo e gli garantiscono un buon biglietto da visita, collocandolo tra i maggiori poeti improvvisatori del tempo.

Nella gran sala della Regia Università di Cagliari, Domenico «riportò gli Apollinei onori… con intervento de’ professori delle diverse facoltà, di altri dotti personaggi, de’ cavalieri e sin delle dame». Grande successo ottiene quanto viene invitato dal Viceré, insieme a tutta la Nobiltà, nel suo palazzo per un’Accademia, dove improvvisa per tre ore di seguito su difficili argomentazioni, riscotendo applausi a scena aperta e grande stupore delle persone presenti «Oltre le felicitazioni, che gliene fece quell’Augusto Personaggio, ne venne guiderdonato di una borsa piena di doppie di Savoja». Lo stesso Francesco Carboni, sommo letterato e poeta latino, scrive il seguente componimento sul merito del poeta vastese:

 

Quid Perfectium, OlympicamCorillam

Et Lorentium, Apolline, aut Minerva

Prognatosmemorasmihi, Fabrille,

Dum se se, invidiaque major ipsa

Rossettuspedeveltrecenta in uno

Perstans carmina lectiorafundit?

Aeviprodigiumvetustioris,

Aevi delirium beatioris,

Rectius memora mihiPudentem.

Undaeunda, ignis ut igni, et ovum ut ovo

Pudentisimilisperindenempe est

Rossettussapientiaevelipsa

Ipsiussatus est perinde stirpe,

Qui vel si sicilisset, atticissat.

Unum quo cumulatiorperennet

Laushaec, id superestprofecto in unum.

Sardisultero ut Ulpio imperante

Pio insigniter altero et favente,

Illicoaureolamveaheneamve

Magistrastatuammanuexpolitam

PonatCaralis alteri Pudenti.

 

Stesso successo, Domenico riporta a Sassari dove, all’interno della Chiesa de' Cavalieri, l’odierna chiesa di S. Giacomo, compone un sonetto con le rime ebraiche, che gli vengono proposte da un professore di lingue semitiche di quella stessa Università.

Lo storico sardo Giovanni Siotto-Pintòr, qualche anno più tardi, nell'opera Storia letteraria della Sardegna (1843-1844), definirà il Rossetti «fabbricatore instancabile di versi estemporanei», da molti considerato un prodigio, ma che in realtà«prodigio non era», anzi, a rincarare la dose, scriverà che il Rossetti «fu quasi il più meschino oratore, che non felice improvvisatore di versi».

Questo è un periodo molto intenso dal punto di vista dell’ispirazione poetica: molte sono le poesie scritte e pubblicate, inizialmente per lo stampatore Il Polo e, successivamente, presso la Stamperia Reale di Antonio Azzati all’Insegna di S. Caterina, aperto proprio nel corso del 1800, come si evince da un sonetto dedicatorio del Rossetti. In molti si affrettano ad accattivarsene la stima e l’amicizia commissionandogli componimenti d’ogni genere.

Interessante è l’omaggio acrostico dedicato a Gavino Murro, nominato vescovo della città di Bosa. Il componimento del Rossetti è diviso in dieci ottave, le cui iniziali formano la frase: GavinusMurroSassarensisConsecratusEpiscopusBosae Quarto CalendasOctobris Anni Domini 1800. Sempre nello stesso foglio a stampa è riportato un sonetto quasi estemporaneo, come lo definisce il Rossetti, con la seguente nota: «da leggersi in tre maniere: in endecasillabi, settenarii, e quinarii. Nella prima parla il Poeta, nella seconda il Popolo della Città di Bosa, nella terza il novello Illustrissimo Monsignore». Le iniziali formano la frase Pastor Bonus Est:

 

Presente a sì gran rito Or che son io

Ahi! Ch’essere vorrei, SACRO PASTORE,

Sempre a te quindi unito, e al Gregge pio;

Te più non lascerei, già dono il cuore.

 

Oh fossi esaudito! Il sommo Dio

Ringraziar saprei: ben spira amore,

Buona la sorte, ardito in petto Mio

Ognora esulterei. con gran fervore

 

Non più. Si dice, oh Dio! Ad una voce

Un prossimo discesso. Il Gregge intorno

So, ch’è GAVINO IL PIO ne vuò veloce.

 

Ecco, ch’è già d’appresso, (ed è ogni giorno)

Sento, che il viver, mio nemico atroce:

Tutto sarà per esso in duolo, in scorno.

 

Nello stesso periodo, il Rossetti dà alle stampe una cantica per la vittoria riportata sulla popolazione del villaggio di Thiesi il 6 ottobre del 1800. La cantica, firmata dall’improvvisatore avvocato Domenico Rossetti detto ancora StitemeniosVeldacodrotos, esprime, con versi allegorici, la repressione militare contro il popolo del villaggio di Thiesi, che si era ribellato al feudatario, per ottenere un nuovo assetto di proprietà della terra e per nuovi rapporti di produzione nelle campagne.

Per ricostruire la vicenda ci aiutiamo con il racconto minuzioso scritto dallo storico sardo Pietro Martini. La linea scelta dal conte Moriana, appoggiato da alcuni consiglieri, era quello della severità e del terrore. Settecento uomini, tra miliziani e soldati, comandati da Antonio Grondona furono spediti a Thiesi per reprimere la rivolta e catturare  i capi agitatori.

I capi dei rivoltosi, piuttosto che rinunciare alla rivolta, come avvenuto in altri paesi vicini, si prepararono agguerriti a respingere l’esercito sabaudo, assoldando sotto costrizione anche innocenti popolani. In cinquecento, la mattina del 6 ottobre, si trincerarono all’ingresso della città. «Grondona impetuosamente si spinse contro le genti del posto avanzato e le pose in fuga – racconta il Martini – Di subito assaltò i trincieramenti, e qui, pel fuoco vivissimo degl’insorti, il conflitto durò alcune ore: finalmente ne li cacciò e li costrinse a cercare un riparo nella villa. Qui dentro combatterono col furore della disperazione, e dal campanile della parrocchia fulminarono orrendamente i regi. Né a questi rimase piena la vittoria, infino a che da quel luogo non gli snidarono».

Tra le file dei popolani, sedici furono i morti e molti i feriti, mentre nell’esercito regio, i morti furono due e diversi i feriti, tra i quali anche il comandante Grondona; e proprio per le perdite subite si abbattè la vendetta sui poveri popolani: molte case vennero incendiate, altre distrutte e saccheggiate.

Per giudicare i rivoltosi della ribellione di Thiesi fu spedito a Santo-Lussurgiu il giudice Raffaele Valentino-Pico, e fu creato un consiglio di guerra composto da quattro militari, dal vice uditore di guerra e da due togati, i signori Fontana e Belly. Le pene furono esemplari e i rivoltosi mandati al patibolo.

 

La cantica del Rossetti è formata da 104 terzine, con rima ABA, e quindici annotazioni; a chiudere è riportato il testo della lettera, datata 14 ottobre, del Vicerè Carlo Felice al fratello Placido Benedetto.

Nel sozzo Regno delle colpe, a manca

Dell’adito primiero, rabbuffato

Tre bocche un Mostro orribile spalanca.

Pestifero dal sen tramanda il fiato,

Misto a un spesso latrar caninamente

All’aspetto di un qualche trapassato:

E vomita talor bava bollente…

I versi sono di chiaro stampo neoclassico permeato da allegorie e un’infarcitura di figure prese in prestito dalla mitologia greca, come le atroci Erinni, mostruose figure alate, personificazione femminili delle vendette, l’Erebo, ovvero le tenebre, ed altri personaggi quali Tantalo, Sisifo, Minosse, Europa, ed altri ancora.

Abbandonato l’allegorismo iniziale, il Rossetti si addentra nel racconto strettamente storico con dovizia di particolari, dall’arrivo dell’esercito sabaudo (Il Vessillo Sabaudo ampio-pendente / Tutti sieguono in ordine di guerra / I Cavalieri, i Fanti allegramente), all’organizzazione ed all’arruolamento dei rivoltosi (La vigilante Furia alto sprigiona / Fischio dal sen, che avvicinarsi osserva I I forti battaglier, cui gloria sprona. / Più superba diventa, e più proterva, / E qua, e di là si aggira, odio sbuffando, / A unir la gente a se soggetta, e serva. / La stimola… / E ubbidiente la trova al suo comando.). Dettagliato è il racconto della battaglia. I rivoltosi riparano dietro le trincee per stare più al coperto, altri salgono sugli edifici vicini e attendono il momento della battaglia. Il Comandante Grondona non ha molta scelta: i rivoltosi sono decisi ad andare avanti nella loro lotta e non ci sono i margini per un dialogo. Il Rossetti indugia per alcuni versi sullo stato d’animo del comandante (Ti addolori… / E contrastano in Te gli affetti interni), il quale attende a dare il comando di attacco, nonostante il fuoco nemico, e solo perché costretto. Basta indugiare è il momento di attaccare: Attaccateli orsù… Per Carlo ora si pugna. Al nome del Conte di Moriana l’esercito sabaudo attacca impetuosamente… Perché le forze ostili alfiensien dome.

 

De’ timpani il rumor, l’alto-stridente

Suon delle rauche trombe in mezzo al Campo

Più incoraggisce il loro cuor, la mente.

Di mille lampi ecco si vede un lampo;

Si oppone altro maggior, e rumoreggia

Orrendo scoppio, e già non v’è più scampo.

Volan mortali ordigni, e si volteggia

Il denso fumo per lo ciel; vittoria

Dubbia rassembra a quali arrider deggia.

Nutre il cor de’ Tiesinjattanza, e boria

Volvendo in mente, che alli dì futuri

Di lor prodezze parlerà l’Istoria.

Sule difese credonsi sicuri,

Ma contro dello spirto, e valor vero

Son vane le difese, e vani i muri.

 

La battaglia è dura: diversi i morti, molti i feriti in campo, tra cui, in maniera lieve, lo stesso Grondona (Qual grido? Ohimè!... Ferito è il Duce). La vendetta dell’esercito sabaudo si abbatte violenta sui tiesini e molti edifici vengono dati alle fiamme: Serpeggia, e strugge le pareti intanto / Fuoco divorator; Tiesi è già doma, / E albergo è fatta sol di lutto, e pianto. / Gemon le Madri con la sparsa chioma, / E stringon tremolanti i Figli al seno / Del Duol portando la gravosa soma.

 

I versi del Rossetti provocheranno lo sdegno dello storico sardo Pietro Martini, che nella sua Storia di Sardegna (1852), scriverà: «...un Domenico Rossetti, improvvisatore straniero deturpò la sua musa con un Canto di lode agli uomini che gli avevano saccheggiati ed impoveriti, e che poco stante furono segno dei favori regali».

Nello stesso periodo, il Rossetti pubblica due sonetti: il primo dedicato a Don Antonio Grondona, comandante della spedizione diretta al villaggio di Thiesi, il secondo dedicato a S. A. R. Placido Benedetto di Savoia in ricorrenza del faustissimo giorno natalizio.
 





 

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