L’intervista sullo stato dell’arte della figura del medico e dell’evoluzione della medicina concessa dal professor Guido Brunetti ha suscitato notevole interesse sia fra i medici sia nei lettori comuni.
Tra i tanti, abbiamo scelto i commenti di due medici illustri: quello del professor Carlo Picardi, già docente all’Università “Tor Vergata” di Roma e primario ospedaliero e quello della dottoressa Maria Antonietta Monteduro del Policlinico Universitario di Bari. Sono due interventi equilibrati, chiari e degni di riflessione da parte di medici e di cittadini.
“Ho letto – scrive Picardi - con piacere ed interesse la pubblicazione del professor Brunetti ‘C’era una volta…il medico’ e condivido completamente il suo pensiero. La medicina non deve essere solo tecnologia (che peraltro è importantissima e deve essere sempre sostenuta dalla ricerca che ha raggiunto traguardi altissimi). Ma deve essere modulata dalla ‘cultura intersoggettiva’, dal modello relazionale e da una profonda coscienza affettiva sui quali costruire un rapporto terapeutico. E’ il principio dell’umanizzazione dell’attività medica. Evitare quindi di ricorrere a una medicina ‘difensiva’. Il rapporto medico-malato – come insegnano Ippocrate e Galeno – deve essere organizzato in base ad un processo di empatia”.
“Sta di fatto – aggiunge il professor Picardi – che in questi ultimi anni, medicina e sanità hanno cambiato la storia. Le scoperte sono state così importanti e numerose da comportare un percorso simile a quello avviato da Ippocrate e durato oltre due millenni. La scoperta dei farmaci, il trapianto di organi, la possibilità di intervenire sul codice genetico, la medicina preventiva e le splendide metodiche di brain imaging dimostrano i rilevanti progressi compiuti dalla scienza medica.
In soli otto anni, dal 1953 al 1961, sono stati scoperti – chiarisce l’illustre scienziato - i pilastri delle famiglie di psicofarmaci: i tranquillanti, gli ansiolitici, e gli antidepressivi”.
“Sulla crisi della medicina e del medico – spiega Picardi – mi sento di dire, come concorda un mio collega, Eugenio Borgna, che la nostra vita è la manifestazione di responsabilità, progettualità e speranza. La speranza della cura, che vuol dire tenere in massimo conto le qualità interiori di ogni paziente, oltre cioè la diagnosi e la cura, ricuperando il senso autentico della terapia, superando il mal di vivere, la sofferenza psichica dell’angoscia e della paura delle malattie, il mistero del dolore, della vita e della morte. La mia prognosi – conclude il professor Picardi – è che dobbiamo riacquisire con forza il grande patrimonio di valori, capacità e meriti espressi dal medico nella sua millenaria evoluzione”.
“Secondo la mia esperienza di medico – dichiara a sua volta Maria Antonietta Monteduro – gli aspetti che hanno modificato ‘l’essere medico’ sono molteplici e riguardano in particolare: 1. La differente motivazione che determina la scelta di questa professione. Oggi, non tutti i giovani la scelgono per passione, ma talora per motivi lavorativi; 2. L’accesso alla facoltà attraverso i test non dà garanzia che chi supera la prova sia una persona che ha sicura motivazione per la medicina. Ai miei tempi, c’era una selezione naturale: al secondo anno i ‘ciucci’ erano fuori e i meno motivati si arrendevano…, 3. La formazione è carente, molti esami appaiono inutili e possono magari servire per moltiplicare le cattedre universitarie. C’è poca pratica sul paziente, 4. Non esiste la meritocrazia; 5. Scarsa clinica e molta medicina strumentale per paura di contenziosi medico-legali (la medicina difensiva).
Anche il paziente – rileva Monteduro – è cambiato. A volte, è informato male; spesso è troppo esigente; si rivela diffidente; è prepotente, ai limiti della violenza, non solo verbale. Bisogna dunque ricuperare l’antico rapporto di fiducia tra curanti e curati, attraverso un proficuo e necessario sistema di comunicazione, che sancisca una ritrovata alleanza fra medici e cittadini. Il medico deve riconquistare carisma ed empatia, per promuovere una nuova e feconda forma di ‘fare medicina’. Mi ha colpito una frase: Un futuro poco solidale ci prepara a una sanità sempre meno sociale”.
Le conclusioni al professor Guido Brunetti. “Gli interventi dei medici Picardi e Monteduro ci portano a sostenere che fin dall’antichità la figura del medico è concepita come portatrice di una sapienza speciale. Scrive infatti la Bibbia: ‘Onora il medico. Egli ha in sé una parte di Dio’. Oltre ad essere sapienti, i medici dell’antichità erano ‘premurosi e probi’ e ritenevano la loro professione come ‘un’attività anche spirituale’, esercitata ‘al di sopra’ delle differenze sociali e religiose. Questa visione fornisce la base dell’etica medica: la santità e la dignità dell’essere umano, il dovere di tutelare la salute, un rigido codice di ‘limitazioni alimentari’ e di ‘moralità sessuali’. Il contributo biblico all’etica medica - precisa Brunetti – si rivela prezioso se confrontato con le norme giuridiche dell’antichità, le quali prevedevano, ad esempio, ‘l’amputazione del braccio del medico’ se ‘falliva un’operazione del paziente’.
Oggi, è opinione diffusa – conclude il noto autore - che la salute è una qualità dell’esistenza. E’ un diritto, che include il diritto alla tutela della salute e dell’ambiente di vita e si estende anche al diritto, secondo autorevoli studiosi, di come fronteggiare la fase terminale di una malattia non guaribile. Questa tradizione ci invita ad elaborare secondo nuovi criteri la professione medica, la ricerca scientifica e l’intero mondo della sanità”.
Anna Gabriele
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