Perché non restituire a S. Teodoro la sua cappella?
di Fausta Di Risio
Nel cuore del centro storico di Vasto, il quartiere che occupa la parte centrale dell'antica Histonium, dall'impianto architettonico ortogonale tipicamente romano delle strade, gli attuali Corso Dante e
Corso Palizzi, che ne costituivano il cardo e il decumano, si può ammirare l'antico palazzo de Nardis-Ciccarone, ubicato in corso Plebiscito, al numero civico 34.
San Teodoro: ingresso in via San Francesco d'Assisi |
Scendendo quindi dall'interno del secondo piano, per mezzo di una rudimentale scala a chiocciola, si passa direttamente nella cappella di S.Teodoro ed alla famiglia Ciccarone era possibile assistere alle funzioni liturgiche da un coretto. Ma esiste anche l'ingresso proprio della chiesa (foto) ubicato nella via che dalla cappella prendeva il nome, via S.Teodoro appunto, mutato verso la metà del secolo scorso in via S. Francesco d'Assisi.
C'è da dire che in tale quartiere nel '700 si respirava un'aura di grande religiosità, tanto che si potrebbe individuare un ideale quadrilatero, dalla forma irregolare, i cui vertici erano costituiti appunto dalla chiesa di S. Giovanni, all'incrocio di Corso Dante con corso Plebiscito e successivamente chiusa con la soppressione degli ordini religiosi voluta da Gioacchino Murat dal convento di S. Domenico in via Anelli, poi trasformato in Palazzo dai Rulli, a cui era annessa la chiesa di Santa Filomena, chiamata dai Vastesi "Genova Rulli" e, sempre in via Anelli, la chiesetta dell'Annunziata, di fronte alla suddetta chiesa di Santa Filomena. La cappella di S. Teodoro, incastonata nel suddetto palazzo de Nardis-Ciccarone, costituiva quindi il quarto vertice di tale ideale quadrilatero e fu costruita a proprie spese dall'arcidiacono de Nardis.
Questi la donò alla Curia che si impegnò con la promessa di farvi trasferire il corpo di S. Teodoro, uno dei tanti soldati romani martirizzati nell'ultima persecuzione voluta da Diocleziano, nel terzo secolo d.C. probabilmente rimasto senza nome ed a cui venne attribuito quello appunto di Teodoro"dono di Dio."
L'urna con la salma del santo venne quindi traslata dalle catacombe di Roma e collocata nella suddetta cappella nel 1751; S. Teodoro divenne così il primo protettore di Vasto, a quel tempo molto venerato e particolarmente popolare tra i fedeli.
Ma intanto, poiché si era verificata una grave pestilenza, che era poi cessata, stando al resoconto popolare, grazie all'intercessione dell'Arcangelo Michele, a cui era stata dedicata anche la chiesa a pianta ottagonale e con la facciata rivolta ad oriente, per volontà dell'arcivescovo di Manfredonia particolarmente interessato a diffondere il culto dell'Arcangelo in tutto il mezzogiorno d'Italia, il popolo vastese ritenne più giusto che il protettore della cittadina fosse appunto l'Arcangelo, la cui venerazione venne così a sovrapporsi a quella dell'antico patrono. Nel 1827 venne quindi ufficialmente proclamato patrono di Vasto S. Michele Arcangelo, forse per volontà popolare, ma soprattutto perché in tutto il Meridione, sia dal Gargano (si dice addirittura che fosse stata gettata nelle fondamenta della erigenda chiesa di S. Michele a Vasto una pietra dell'omonimo Santuario del Gargano) che dalle sponde campane del Tirreno, il culto dell'Arcangelo si era diffuso fin dall'epoca longobarda.
Cappella di San Teodoro dopo il restauro voluto dal vescovo Menichelli |
Riemersero così gli stucchi settecenteschi che l'accurato restauro riportò in tutto il loro splendore, rivelando scorci suggestivi, come gli artistici capitelli delle paraste, la campanella civettuola (foto a fianco) ed i finestroni a vetri bianchi e gialli, anch'essi tipicamente settecenteschi, come quelli analoghi della Chiesa del Carmine, e dai quali tutto l'ambiente prende luce.
Particolarmente interessante inoltre si rivela l'oculo nel soffitto, con l'affresco di una colomba, evidente trasposizione simbolica dello Spirito Santo.
Anche l'altare, in cui era collocata la teca col corpo del martire, attesta la volontà del de Nardis di fare di tale luogo di culto un autentico gioiello d'arte, nella sapiente disposizione dei marmi policromi, secondo i dettami artistici dell'epoca.
Purtroppo tale altare è rimasto desolatamente vuoto dopo il restauro perché, a prescindere dal fatto che il coro polifonico non ha mai utilizzato la cappella come sede delle prove, per motivi logistici e tecnici, la teca contenente il corpo del martire, restaurata a cura della famiglia Spadaccini di Vasto, si trova ancora nella Chiesa del Carmine e non si sa se e quando tornerà nella sua specifica sede, in cui la Curia si era impegnata col De Nardis a collocarla.
Anche i dipinti, ai lati dell'altare sono spariti; probabilmente si trovano nei sotterranei del Palazzo D'Avalos, ma occorrerebbe l'interessamento delle Belle Arti, che per il momento manca, per riportarli, ovviamente restaurati se è il caso, nella loro sede propria. Bisogna ammettere che è triste sopprimere un importante tesoro della storia vastese, in una via che ha perso anche il nome del suo antico protettore, ma dove radici di memoria storica, religiosa ed artistica s'intrecciano tenacemente con la vita di un ceto popolare ed umile che, fino a qualche decennio fa, rientrava a sera dalle fatiche dei campi insieme con gli animali, con cui condivideva la misera abitazione.
Fausta Di Risio
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