Sull'autenticità
della Sacra Spina non ci sono dubbi, nonostante la perdita dell'autentica della
donazione: innanzitutto per i tanti segni miracolosi che ha dato nel tempo,
perché ad oggi, dopo duemila anni, è ancora perfettamente intatta, ed infine,
per l'autorevolezza del donatore il pontefice Pio IV (1499-1565), che ha voluto
ripagare le fini capacità diplomatiche dimostrate da Francesco Ferdinando
d'Avalos come ambasciatore del Re di Spagna al Concilio di Trento.
Si tratta dello stesso pontefice che nello stesso periodo donò al nipote Carlo Borromeo (che verrà canonizzato nel 1610 da Paolo V), quattro spine della Corona di Cristo, ed altri simboli della Passione, collocate in un reliquiario d'argento con cornice ed ornamenti in oro.
Si tratta dello stesso pontefice che nello stesso periodo donò al nipote Carlo Borromeo (che verrà canonizzato nel 1610 da Paolo V), quattro spine della Corona di Cristo, ed altri simboli della Passione, collocate in un reliquiario d'argento con cornice ed ornamenti in oro.
224°
Papa della Chiesa Cattolica, Pio IV, fu colui che portò a termine il famoso Concilio
Tridentino il 4 dicembre 1563. Eletto Papa il 25 dicembre del 1559, dopo 112 giorni
di conclave (tra i più lunghi della storia),
il 29 novembre dell'anno successivo pubblicò la bolla Ad ecclesiae regimen con la quale riaprì i lavori del Concilio ecumenico, convocando i padri conciliari a Trento per il 18 gennaio 1562. La ripresa dei lavori richiese lunghe trattative tra Roma e le maggiori potenze cattoliche: da un lato l'imperatore Ferdinando I d'Asburgo e la regina consorte di Francia Caterina de' medici, che avrebbero voluto l'indizione di un nuovo Concilio in una città diversa da Trento, dall'altro il re di Spagna Filippo II, il quale era per la continuità con le precedenti assemblee.
il 29 novembre dell'anno successivo pubblicò la bolla Ad ecclesiae regimen con la quale riaprì i lavori del Concilio ecumenico, convocando i padri conciliari a Trento per il 18 gennaio 1562. La ripresa dei lavori richiese lunghe trattative tra Roma e le maggiori potenze cattoliche: da un lato l'imperatore Ferdinando I d'Asburgo e la regina consorte di Francia Caterina de' medici, che avrebbero voluto l'indizione di un nuovo Concilio in una città diversa da Trento, dall'altro il re di Spagna Filippo II, il quale era per la continuità con le precedenti assemblee.
Il
concilio non riuscì nel compito di ricomporre lo scisma protestante e di ripristinare
l'unità della Chiesa, ma fornì una risposta dottrinale in ambito cattolico alle
questioni sollevate da Lutero e dai riformatori. Nelle ultime sessioni di
lavoro venne affrontata la questione del sacrificio della Messa, considerato
memoriale e ripresentazione in maniera reale dell'unico sacrificio di Gesù
sulla croce; si riaffermò la legittimità della struttura gerarchica della
Chiesa, costituta in primo luogo dal pontefice, successore di Pietro, e dai
vescovi, successori degli apostoli; il matrimonio venne considerato
indissolubile, inoltre si decise che ogni parroco dovesse tenere un registro
dei battesimi, delle cresimi, dei matrimonio e delle sepolture; nell'ultima
sessione, infine, venne riaffermata la dottrina cattolica sul Purgatorio e sul
culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre, e venne approvata la
pratica delle indulgenze.
Confidente
e uomo di fiducia di Filippo II, re di Spagna, Francesco Ferdinando d'Avalos
d'Aquino d'Aragona (1530-1571), III Marchese del Vasto, governatore del Ducato
di Milano e Cavaliere dell'Ordine del Toson d'Oro, partecipò in sua
rappresentanza al Concilio di Trento.
Francesco
Ferdinando sposò nel dicembre 1556 Isabella Gonzaga (morta a Vasto nell'ottobre
del 1579) da cui ebbe due figli Alfonso Felice (1564-1593) e Tommaso (m.1622). L'assenza
di una documentazione specifica non ci permette di sapere con certezza quando
sia stata effettuata la donazione da parte del Papa, se durante i lavori del
Concilio di Trento (1562-1563), oppure negli anni a seguire, ma comunque entro il
1571, anno della morte del d'Avalos.
Dai
libri di storia locale sappiamo che la reliquia della Sacra Spina venne portata
nella chiesa di S. Maria Maggiore da Alfonso Felice d'Avalos. All'epoca della
morte del padre (aveva solo sette anni) e successivamente della madre, essendo
minorenne, venne preso in tutela dal cardinale Innico d'Aragona, fratello del
padre.
Non
sappiamo quando la Sacra Spina sia effettivamente arrivata a Vasto, a causa
della perdita della bolla di autenticità della reliquia, avvenuta non
nell'incendio del 1566, in seguito ai saccheggi operati dai turchi guidati da
Pialì Bassà (o Pascià), come affermano Francesco Leone, nel volumetto Notizie Istoriche appartenenti alla Sacra Spina, e lo stesso Luigi Marchesani, nella Storia di Vasto, in quanto il piccolo
Alfonso aveva solo due anni, ma quasi certamente nell'altro grande incendio
avvenuto nel giorno del Corpus Domini del 14 giugno del 1645.
Il
5 giugno 1583, vennero celebrate a Pesaro le nozze fra Alfonso Felice, allora
diciannovenne, e Lavinia Feltria della Rovere. Nel dicembre successivo, gli
sposi decisero di trasferirsi non a Vasto, ma a Casalmaggiore, un feudo in
provincia di Cremona che Filippo II nel 1568 aveva concesso a Ferdinando
d'Avalos, e che alla morte della moglie Isabella Gonzaga, il 15 agosto 1579,
passò al figlio Alfonso Felice.
Non
sappiamo con certezza se il d'Avalos in questi anni raggiunse Vasto portando
con sé la preziosa Reliquia, oppure se abbia dato incarico a qualche uomo di
fiducia. L'unica notizia certe è che la moglie, Lavinia, arrivò a Vasto per la
prima volta nel giugno del 1593, seguito il mese successivo dal marito. Chissà,
magari proprio in quest'occasione la Sacra Spina venne donata alla chiesa di S.
Maria Maggiore.
Il
soggiorno vastese del d'Avalos fu piuttosto breve: preoccupato per la propria
salute, ad ottobre si trasferì a Procida per curarsi. Morì improvvisamente due
mesi più tardi durante un breve soggiorno a Roma.
Chiudiamo
con una preghiera alla Sacra Spina, scritta dal medico e letterato Francesco
Leone, presumibilmente verso la fine del Settecento, contenuta in un volumetto
manoscritto conservato presso l’Archivio Storico "G. Rossetti":
O sacrosanta
Spina
Tanta del divin
Sangue,
Da cui ciascun,
che langue,
ottien la
sanità,
Ed ogni
tribolato,
Ch’umìle a Te
ricorre
Ti trova pronta
a torre
Ogni calamità;
Invidio la tua
sorte,
Che dal
selvaggio stelo
Staccata, il Re
del Cielo
T’ergesti a
coronar;
Ma poi scusar
non posso
L’audacia tua
tant’empia,
Con cui le sacre
Tempia
Giungesti a
traforar.
Ti rammentasti
forse
Allor ch’l turpe
errore
Del primo
Genitore
Dal suol ti fece
uscir,
e la natia
fierezza
Ti fece in
quest’incontro
Con tanto
strazio contro
Di Cristo
incrudelir.
Oh Dio, chi vide
mai
Più barbaro
tormento?
Raccapricciar mi
sento,
e palpitare il
cuor;
Piangon la Terra
e’l Cielo
A sì funesta
vista,
L’uomo fedel si
attrista;
Tu non n’avesti
orror,
Tu fosti più
spietata
De’ Chiodi,
della Croce,
E della Lancia
atroce,
Che ‘l Corpo
strapazzar,
Ma l’Alma tu
feristi
Fin nella
propria sede,
S’è ver quel che
si crede
Nel Capo
dimorar.
Almeno il fallo
antico
Or contro me
correggi,
E per tuo scopo
eleggi
Il sucido mio
cuor.
Feriscilo,
traforalo
Acciò del suo
peccato
Col proprio umor
lavato
Ricorra al suo
Signor,
E gli presenti
un vero
ed acre
pentimento,
In cambio del
tormento,
Ch’egli per me
soffrì.
Oh s’io potessi
a Cristo
Farmi in patir
compagno,
Farei certo
guadagno
Del Cielo,
ch’egli aprì.
Spina, mia
Protrettrice,
Converti in vita
mia
La morte acerba
e ria,
Che fece il buon
Gesù;
A piè della sua
Croce
Spingi
quest’Alma afflitta,
E resti ivi
confitta
Per non peccar
mai più;
A terra ossequioso
Innanti a Te mi
getto;
Quest’è ‘l
favor, che aspetto,
Altro bramar non
so:
In Te confido e
spero;
Se Tu mi presti
aita,
Dopo quest’egra
vita
Il Cielo
acquisterò.
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