giovedì 3 marzo 2016

Morte di Ferdinando I (1751-1825): gli echi a Vasto

Fu il Re che pronunciò la condanna a morte di Gabriele Rossetti

In seguito alla morte di Ferdinando I di Borbone Re del Regno delle Due Sicilie, avvenuta il 4 gennaio 1825, solenni funerali vennero celebrati in molte città del regno.
Anche a Vasto nella chiesa collegiata di San Giuseppe, la mattina del giorno 15, a dieci giorni dalla morte e in contemporanea con la funzione in svolgimento a Napoli, vennero celebrati solenni e pomposi funerali, tanto da meritare un breve articolo sul Giornale del Regno delle Due Sicilie. 
"Il giorno 15 del corrente", si legge sul giornale pubblicato la settimana successiva, "sarà sempre memorando per la città del Vasto capo luogo d'un distretto della provincia di Abruzzo Citeriore. Quella
città che si è sempre distinta pel suo attaccamento alla regnante nostra Dinastia, rese in quel giorno gli ultimi uffizi di pietà all'estinto amato monarca con una solennità corrispondente a' pubblici sentimenti di amore verso l'augusta di lui memoria. Il parato della chiesa, la sontuosa macchina che in mezzo vi si costruì, la ricca illuminazione, la musica eseguita con particolare zelo da' primari cittadini dilettanti, il mesto suono de' sacri bronzi, il cupo rimbombo delle funebri salve, i componimenti poetici sulla circostanza, le prose in lode del buon Re Ferdinando, l'intervento di quel sotto intendente con tutte le altre autorità immerse nella più profonda tristezza, tutto contribuì a render più vivi negli animi i sensi di quel cordoglio che quegli abitanti provarono fin dal primo infausto annunzio della morte del Sovrano, a segno che tutti i caffè e luoghi di pubblica riunione allora furono chiusi spontaneamente, e spontaneamente pur si vestì il lutto da tutte le classi. Le porte della città in segno di maggior mestizia vennero anche chiuse, durante il tempo della lugubre funzione".


Per l’occasione, come ricordato nell'articolo, vennero declamate poesie e prose, come ad esempio il canto funebre scritto dal decurione D. Giuseppe Antonio Rulli, successivamente stampato dalla Tipografia Grandoniana di Chieti. Ecco alcuni passi delle trentatré sestine:
Spunta l’alba del dì, squallida e mesta,
E di pallide viole il crine ornato
Il velo della notte à in su la testa
Ed il serto di rose al piè sfrondato;
Rugiadosa di lagrime ed oscura
Nuncia si avanza di feral sciagura
E chiude con questi versi:
Sacri al Prence, splendor del suol natio,
Del Sebeto al magnanimo Solone,
Al primier che i due Regni insieme unio
al Nestore de’ Regi, al pio Borbone
Pegno di duol sincero, e non di fasto
Questi suoi tetri omei tributa il Vasto.

Ferdinando I, il cui regno è durato quasi sessantasei anni, uno dei più lunghi della storia, viene ricordato per aver ispirato, nel bene e nel male alcune tra le più belle poesie di Gabriele Rossetti, ma anche per aver pronunciato la sua condanna a morte.
Nel 1820 moti insurrezionali scoppiarono in molte parti del regno per riuscire ad ottenere la costituzione da re Ferdinando I. Il 9 luglio dello stesso anno, entrato Guglielmo Pepe trionfante a Napoli, alla testa di settecento soldati e molti carbonari, comparve un editto, in cui il Sovrano promise la costituzione: "Essendosi manifestato il voto generale della Nazione del Regno delle Due Sicilie di voler un governo costituzionale, di piena nostra volontà vi consentiamo, e promettiamo nel corso di otto giorni di pubblicarne le basi".
L’entusiasmo provocò al Rossetti la felice ispirazione per una delle poesie più belle scritte dal Tirteo d’Italia:
Sei pur bella con gli astri al crine
Che scintillan quai vivi zaffiri
È pur dolce quel fiato che spiri,
Porporina foriera del dì.
Col sorriso del pago desio
Tu ci annunzi dal balzo vicino
Che d’Italia nell’almo giardino
Il servaggio per sempre finì.
Ma nove mesi più tardi il Re, che si trovava in Austria, decise di sopprimere la costituzione, avvalendosi dell’aiuto delle truppe austriache. Accecato dall’ira, il poeta vastese scrisse:
Re fellon che ci tradisti,
Tu rapisci e non racquisti:
Maledetto, o re fellon,
Sii dall’austro all’aquilon!
Maledetto ogni malnato
Che ha tramato ─ insiem con te!
Maledetto ─ ogni soggetto
Che ti lambe il sozzo piè!
Personaggio scomodo e pericoloso, il Rossetti venne processato e condannato a morte. Con proclama datato 28 settembre 1822, venne concessa l’amnistia per coloro che avevano partecipato ai movimenti rivoluzionari, eccetto tredici persone: tra questi c’era anche il nome del poeta vastese, a dimostrazione della pericolosità dei suoi versi, che infiammavano i cuori dei giovani napoletani. Nascosto per tre mesi, con l’aiuto di lady Moore, riuscì a fuggire da Napoli, camuffato con un'uniforme da luogotenente navale britannico, a bordo della nave ammiraglia Hms Rochfort comandata da suo marito. Il Rossetti riparò prima a Malta e poi in Inghilterra dove visse esule fino alla fine dei suoi giorni.

Lino Spadaccini



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