martedì 29 marzo 2016

L'INTRIGANTE STORIA DELLA "PIETRA FALLICA" DI CELENZA SUL TRIGNO

foto di repertorio
Cippo sfregiato perchè scandaloso. Le "disavventure" del maestro e poeta Berinto Aloè

Ha suscitato molte "sorprese", ma non più di tanto, durante il Carnevale 2016 a Chieti, la presenza di un uomo in maschera a terra, sul palcoscenico dell'Auditorium del Cianfarani, con in bella vista un "simbolo fallico".
Ma niente di scandaloso, l’evento era organizzato da un docente universitario e quindi di taglio culturale. Perché il culto del "fallo", il cosiddetto "principio attivo dell' universo", emblema della "fertilità" e della "fecondità"
(simboleggiati dal membro virile), risale ella primigenia civiltà. Si tratta del simbolo più antico del mondo ed era considerato “sacro”. Veniva espresso in sculture di legno e di pietra, di colonne che venivano infisse sul terreno, some simulacro universale di fecondità della “terra madre”.


Singolare è la storia di una pietra fallica rinvenuta a Celenza sul Trigno nel 1996.

L'episodio venne ricordato dall'ins.Berinto Aloè (ora scomparso) giornalista, scrittore, poeta, artista. Questo il suo racconto sulla "pietra fallica" di Celenza sul Trigno.

"Un giorno stavo modellando una statua di creta nel mio studio, quando entrò il vicesindaco di Celenza sul Trigno, che era un contadino, e,dopo avermi salutato, mi disse: "Maestro, se proprio volete fare lo scultore, non dovete solo modellare la creta,ma cimentarvi con la pietra, col marmo. Se volete,vi porto a vedere una pietra che sta in campagna, in contrada Fonte Taccone: vi è scolpito, in altorilievo, un membro virile di pregevole fattura. Quando voi sarete capace di scolpire così, potrete farvi chiamare scultore”. "Se è vero quello che tu dici, portami a vedere la pietra scolpita, appena puoi ", risposi, continuando a lavorare un pò scoraggiato e mortificato" . Dopo qualche tempo, il vicesindaco venne a dirmi che non valeva più la pena andare e cercare di riportare quella pietra a Celenza sul Trigno, perchè il "fallo" che vi era stato scolpito, non c’era più. Il contadino proprietario del terreno, per motivi di moralità, giacché la giovane figlia si scandalizzava a vedere quella scultura, con il capo della scure, l'aveva fatto sparire. Ero convinto che si trattasse di un lavoro di poco conto fatto da qualche pastorello,nei ritagli di tempo, con una pietra tenera morbida. Ma un giorno trovandomi e passare nelle vicinanze, chiesi al contadino che l'aveva sfregiata, se era vero che in quel campo c'era una pietra raffigurante il "fallo". "Si è vero, maestro, si trova lì vicino al mio pozzo e serve per sedermi quando faccio colazione o mangio qualcosa. Prima si trovava sul muro che costeggia la strada del Tratturo,e l'ho sfregiata perché i curiosi, per vederla, avevano fatto un viottolo nella mia campagna e calpestavano sempre il grano”. Zi’ Lucciari, così si chiamava il vecchio contadino, mi autorizzò di andarla a vedere, facendo attenzione a non calpestare il grano. Vidi un cippo stradale di pietra nera, granitica, e dall'arte il pensiero andò alla storia e alla preistoria, r itenendo che la pietra non era stata scolpita da pastorelli, bensì da altri che adoravano il simbolo della fecondità. Il tratturo di Celenza sul Trigno, secondo lo storico Domenico Romanelli, segnava il confine tra i Frentani ed i Sanniti Pentri. Dissi al contadino: "Vuoi darla a me questa pietra che la voglio far custodire dal Comune, come unico documento di storia locale?" . "Sì , maestro, con una pietra in più ed una in meno, io la masseria la costruisco egualmente." Dopo qualche giorno riferii al sindaco l'episodio e la pietra venne trasportata nella villetta chiusa di Celenza, posata in modo che tutti i passanti potessero vederla, anche se sfregiata. Ma la figlia del contadino che mi aveva dato la pietra – reperto che io subito segnalai alla Soprintendenza alle Antichità di Chieti – mi denunziò,con due operai del Comune, per furto della stessa. Il maresciallo dei Carabinieri interrogò il sindaco ed altri i quali, poi, andavano dicendo che, per colpa del Maestro Aloè, che va in cerca di pietre, come Calandrino di Boccaccio, in tutto il paese si parla della "pietra del fallo". Assolto in istruttoria, perche il fatto non costituiva reato, feci vincolare quella pietra dalla Soprintendenza di Chieti. Ancora oggi a disposizione dei "curiosi",e degli studiosi di antichità."


Questo il racconto di Berinto Aloè.

Per i "curiosi" ribadiamo che il culto del "fallo" risale alle primigenie civiltà. E' l'idolo più antico del mondo ed era considerato sacro, come si diceva in apertura .

La pietra fallica rinvenuta a Celenza sul Trigno appartiene a qualche elemento di culto antico, legato alle popolazioni primigenie che usavano rappresentare il "phallus" (membro virile) infisso nel terreno,considerato la parte sessuale femminile (madre terra), affinchè venisse propiziato l'abbondante raccolto. Le cerimonie di culto avvenivano di notte, con riti tenebrosi ed i luoghi nascosti.

GIUSEPPE CATANIA

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