giovedì 25 febbraio 2016

Speciale 60°(4/6): frana di Vasto, ad agosto '56 il crollo del Palazzo "di li Poste" (Marchesani, Ponza)


Dopo i movimenti franosi del 22 febbraio 1956, tutta la zona del Muro delle Lame sembrava ormai stabilizzata, mentre a tenere banco nei bar e nelle piazze erano le discussioni sulla ricostruzione, e le voci sempre più insistenti sul possibile abbattimento dell'antica chiesa di San Pietro.

Nonostante la situazione apparentemente tranquilla, l’Ufficio Tecnico comunale non cessò mai di monitorare tutta l'area. La mattina del 28 agosto, si notarono alcune profonde crepe, che destarono molta preoccupazione. Temendo un nuovo imminente movimento franoso, durante tutta la notte si vegliò alla luce dei riflettori. Il giorno successivo, verso le ore 13,30 l’imponente Palazzo Marchesani, fatto costruire dal leader della sinistra vastese, Francesco Ponza, in pochi istanti s’inabissò fragorosamente, lasciando il desolante spettacolo di un cumulo di mattoni e travi. Un’altra porzione di mura cittadine, per una lunghezza di circa 50 metri, si staccò dalla parete e scivolò a valle frantumandosi.

"Ai numerosi interrogativi di tanti cittadini non sappiamo rispondere", scriveva Espedito Ferrara sul quotidiano Il Messaggero, "Finora abbiamo fermamente sperato, abbiamo resistito e lottato con la forza dell’affetto e della fede nei destini della nostra città millenaria; ma, ormai, dobbiamo constatare che la minaccia continua e si estende pericolosamente. I tecnici forse non vogliono dirci la parola cruda aspettando che la verità terribile si faccia strada nell’animo dei cittadini: dobbiamo perciò dare un addio alla vetusta chiesa di San Pietro?". Nella penna del giornalista traspariva tutta  l’impotenza di una città lasciata al suo triste destino, in preda alle forze della natura, che non accennavano a desistere. Quando finiranno le frane? Dopo il Palazzo Marchesani, quale altra porzione di Vasto cederà di schiantò? Quando inizieranno i lavori? Non c’è proprio nulla da fare per l’antica chiesa di San Pietro? Sono queste le domande legittime che i vastesi si ponevano, senza avere, purtroppo,nessun tipo di risposta o certezza.

Intanto, tutta la zona venne nuovamente sgombrata, mentre otto famiglie, rimaste senza un tetto, vennero dapprimaospitate all’interno delle scuole e, successivamente, in case private con l’onere dell’affitto a carico del Comune. Sul posto intervennero prontamente le autorità cittadine ed i tecnici del Genio Civile di Chieti, i quali attribuirono la nuova manifestazione franosa all’assestamento del terreno in seguito alla siccità.

Erano passati quasi sette mesi dallafrana del 22 febbraio, ma a parte ipotesi, congetture e contraddizioni, non si vide davvero nulla di concreto.Quasi come un massiccio bombardamento, tutta la zona era ormai completamente trasformata: era scomparso il Muro delle Lame, Via Adriatica era stata completamente inghiottita, erano crollate le case dei pescatori, l’asilo delle Suore della Croce e in ultimo il Palazzo delle Poste. "Di progetto in progetto", scriveva Angelo Cianci sul quotidiano romano Il Tempo, "sono trascorsi sette lunghi mesi, si sono eseguiti sopralluoghi di tecnici e di autorità. Promesse, assicurazioni di uomini politici, mentre da tutto il mondo giungono angosciati appelli di vastesi che raccomandano di far presto, per salvare la nostra terra d’estate e non d’inverno. La burocrazia segna inesorabilmente il passo e la natura si vendica. Si è vendicata ieri, si vendica oggi, speriamo non si vendichi con le prossime piogge autunnali quando un ulteriore movimento franoso potrebbe mettere in serio pericolo tutto l’abitato dell’antica città di Vasto".

Solo quindici giorni prima, il Ministero del Lavori Pubblici, aveva emanato un comunicato ufficiale nella quale annunciava l’approvazione di un progetto di massima dell’importo di circa un miliardo di lire, per il consolidamento dell’abitato e per la sistemazione del versante orientale.

Proprio in seguito agli ultimi eventi ed al comunicato del Ministero, l’Associazione della Stampa vastese votò un ordine del giorno da inviare al Governo. "Constatato il nuovo disastro provocato dalla frana dichiarata ufficialmente stabilizzata dagli organi competenti", si legge nel testo,"considerate le dichiarazioni impegnativi e le assicurazioni autorevoli date sin dal febbraio scorso; ricordando le disposizioni pubblicamente impartite da S. E. il ministro Romita, il quale ha espressamente ordinato ai tecnici di «far presto e di far bene»; attesa l’urgenza assoluta di provvedimenti concreti e radicali per salvare una città millenaria, onore e vanto dell’Abruzzo; interpretando i sentimenti della cittadinanza, che aspetta, in queste tristissime circostanze, la solidarietà tangibile della Nazione, invita tutti i parlamentari della Regione, per quell’amore, che li lega a questo splendido lembo di terra nostra, ad intervenire sollecitamente presso il Governo per la immediata esecuzione delle opere necessarie ad evitare più gravi e irreparabili danni alla città, tanto più che il progetto concordato tra i diversi Ministeri interessati è stato già approvato dal Consiglio Superiore dei LL. PP.".

A cercare di far digerire ai vastesi la pillola amara, circa gli imminenti lavori, ci si miseanche il giornale cattolico l’Amico del Popolo:"Sembra che tutte le costruzioni esistenti, sino al livello di via San Pietro, vengano abbattute ed, in luogo delle dette, sorgerebbe un belvedere ispirato ai migliori criteri urbanistici moderni; a zona a valle, cioè la zona franata, sarebbe trasformata in una ampia scarpata verde… Se così sarà", proseguiva il giornalista, "in considerazione del fatto che le case destinate alla distruzione, in genere sono, modestissime antiche ed antigieniche e che i legittimi proprietari riceverebbero un adeguato indennizzo, viene spontaneo ammettere che, alla fin fine, la frana non è stata un gran danno". Giudizio quest’ultimo infelicissimo che il giornalista poteva tranquillamente risparmiarsi.

 Lino Spadaccini












 

 

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