Dopo
i movimenti franosi del 22 febbraio 1956, tutta la zona del Muro delle Lame sembrava
ormai stabilizzata, mentre a tenere banco nei bar e nelle piazze erano le discussioni
sulla ricostruzione, e le voci sempre più insistenti sul possibile abbattimento
dell'antica chiesa di San Pietro.
Nonostante
la situazione apparentemente tranquilla, l’Ufficio Tecnico comunale non cessò
mai di monitorare tutta l'area. La mattina del 28 agosto, si notarono alcune profonde
crepe, che destarono molta preoccupazione. Temendo un nuovo imminente movimento
franoso, durante tutta la notte si vegliò alla luce dei riflettori. Il giorno
successivo, verso le ore 13,30 l’imponente Palazzo Marchesani, fatto costruire
dal leader della sinistra vastese, Francesco Ponza, in pochi istanti s’inabissò
fragorosamente, lasciando il desolante spettacolo di un cumulo di mattoni e
travi. Un’altra porzione di mura cittadine, per una lunghezza di circa 50
metri, si staccò dalla parete e scivolò a valle frantumandosi.
"Ai numerosi interrogativi di tanti cittadini
non sappiamo rispondere", scriveva Espedito Ferrara sul quotidiano Il Messaggero, "Finora abbiamo fermamente sperato, abbiamo
resistito e lottato con la forza dell’affetto e della fede nei destini della
nostra città millenaria; ma, ormai, dobbiamo constatare che la minaccia
continua e si estende pericolosamente. I tecnici forse non vogliono dirci la
parola cruda aspettando che la verità terribile si faccia strada nell’animo dei
cittadini: dobbiamo perciò dare un addio alla vetusta chiesa di San Pietro?".
Nella penna del giornalista traspariva tutta
l’impotenza di una città lasciata al suo triste destino, in preda alle
forze della natura, che non accennavano a desistere. Quando finiranno le frane?
Dopo il Palazzo Marchesani, quale altra porzione di Vasto cederà di schiantò? Quando
inizieranno i lavori? Non c’è proprio nulla da fare per l’antica chiesa di San
Pietro? Sono queste le domande legittime che i vastesi si ponevano, senza avere,
purtroppo,nessun tipo di risposta o certezza.
Intanto,
tutta la zona venne nuovamente sgombrata, mentre otto famiglie, rimaste senza
un tetto, vennero dapprimaospitate all’interno delle scuole e, successivamente,
in case private con l’onere dell’affitto a carico del Comune. Sul posto intervennero
prontamente le autorità cittadine ed i tecnici del Genio Civile di Chieti, i
quali attribuirono la nuova manifestazione franosa all’assestamento del terreno
in seguito alla siccità.
Erano
passati quasi sette mesi dallafrana del 22 febbraio, ma a parte ipotesi, congetture
e contraddizioni, non si vide davvero nulla di concreto.Quasi come un massiccio
bombardamento, tutta la zona era ormai completamente trasformata: era scomparso
il Muro delle Lame, Via Adriatica era stata completamente inghiottita, erano
crollate le case dei pescatori, l’asilo delle Suore della Croce e in ultimo il
Palazzo delle Poste. "Di progetto in
progetto", scriveva Angelo Cianci sul quotidiano romano Il Tempo, "sono trascorsi sette lunghi mesi, si sono eseguiti sopralluoghi di
tecnici e di autorità. Promesse, assicurazioni di uomini politici, mentre da
tutto il mondo giungono angosciati appelli di vastesi che raccomandano di far
presto, per salvare la nostra terra d’estate e non d’inverno. La burocrazia
segna inesorabilmente il passo e la natura si vendica. Si è vendicata ieri, si
vendica oggi, speriamo non si vendichi con le prossime piogge autunnali quando
un ulteriore movimento franoso potrebbe mettere in serio pericolo tutto
l’abitato dell’antica città di Vasto".
Solo
quindici giorni prima, il Ministero del Lavori Pubblici, aveva emanato un
comunicato ufficiale nella quale annunciava l’approvazione di un progetto di
massima dell’importo di circa un miliardo di lire, per il consolidamento
dell’abitato e per la sistemazione del versante orientale.
Proprio
in seguito agli ultimi eventi ed al comunicato del Ministero, l’Associazione
della Stampa vastese votò un ordine del giorno da inviare al Governo. "Constatato il nuovo disastro provocato dalla
frana dichiarata ufficialmente stabilizzata dagli organi competenti", si legge nel testo,"considerate le dichiarazioni impegnativi e
le assicurazioni autorevoli date sin dal febbraio scorso; ricordando le
disposizioni pubblicamente impartite da S. E. il ministro Romita, il quale ha
espressamente ordinato ai tecnici di «far presto e di far bene»; attesa l’urgenza assoluta di
provvedimenti concreti e radicali per salvare una città millenaria, onore e
vanto dell’Abruzzo; interpretando i sentimenti della cittadinanza, che aspetta,
in queste tristissime circostanze, la solidarietà tangibile della Nazione,
invita tutti i parlamentari della Regione, per quell’amore, che li lega a
questo splendido lembo di terra nostra, ad intervenire sollecitamente presso il
Governo per la immediata esecuzione delle opere necessarie ad evitare più gravi
e irreparabili danni alla città, tanto più che il progetto concordato tra i
diversi Ministeri interessati è stato già approvato dal Consiglio Superiore dei
LL. PP.".
A
cercare di far digerire ai vastesi la pillola amara, circa
gli imminenti lavori, ci si miseanche il giornale cattolico l’Amico del Popolo:"Sembra
che tutte le costruzioni esistenti, sino al livello di via San Pietro, vengano
abbattute ed, in luogo delle dette, sorgerebbe un belvedere ispirato ai
migliori criteri urbanistici moderni; a zona a valle, cioè la zona franata,
sarebbe trasformata in una ampia scarpata verde… Se così sarà",
proseguiva il giornalista, "in
considerazione del fatto che le case destinate alla distruzione, in genere
sono, modestissime antiche ed antigieniche e che i legittimi proprietari
riceverebbero un adeguato indennizzo, viene spontaneo ammettere che, alla fin
fine, la frana non è stata un gran danno". Giudizio quest’ultimo infelicissimo
che il giornalista poteva tranquillamente risparmiarsi.
Nessun commento:
Posta un commento