Via Adriatica prima del 1956: a sinistra il Palazzo "di la Posta", al centro la bella chiesa di San Pietro |
di LINO SPADACCINI
La terribile sciagura del 22 febbraio 1956 non è giunta all'improvviso. Solo un mese prima, Espedito Ferrara sulla prima pagina del periodico Histonium denunciava: "La frana a Vasto, è all’ordine del giorno, anche se sembra passare in seconda linea dopo i sondaggi effettuati dal Genio Civile. Trenta famiglie sono state costrette ad abbandonare le abitazioni; la splendida via delle Lame è chiusa al traffico. Un triste fenomeno, che dal 1816 si ripete di volta in volta".
La terribile sciagura del 22 febbraio 1956 non è giunta all'improvviso. Solo un mese prima, Espedito Ferrara sulla prima pagina del periodico Histonium denunciava: "La frana a Vasto, è all’ordine del giorno, anche se sembra passare in seconda linea dopo i sondaggi effettuati dal Genio Civile. Trenta famiglie sono state costrette ad abbandonare le abitazioni; la splendida via delle Lame è chiusa al traffico. Un triste fenomeno, che dal 1816 si ripete di volta in volta".
Le avvisaglie sono state tante nell'arco di un secolo e
mezzo: da
più parti, negli anni precedenti la sciagura, vennero sollevate accuse alle
autorità competenti e politiche, locali e nazionali, per aver sottovalutato un
problema che ha origini lontane. I primi scoscendimenti si registrarono verso
la fine del 1700, ed altre di modeste proporzioni, ma non per questo meno
allarmanti, durante tutto l’800, per non parlare poi della rovinosa frana del
1816, che fece sprofondare a valle il costone orientale nel tratto da Porta
Palazzo fino a San Michele.
Davanti a tanti evidenti segnali, piuttosto che affrontare
il problema alla radice, non si è mai andati oltre modeste riparazioni, oppure esecuzione
di lavori mai veramente risolutivi.
Nel
gennaio del 1942, un vasto movimento franoso, per una lunghezza di circa 150
metri, si verificò nella zona sottostante la Madonna della Catena. Visti i
drammatici precedenti, si mise immediatamente in moto la macchina dei tecnici
per effettuare le dovute verifiche, ma anche per cercare di capire erisolvere
una volta per tutte il triste fenomeno delle frane.
Da
una nota stilata dall’ing. Riccardo Formichi dell’Ufficio del Genio Civile di
Chieti, in seguito al sopralluogo effettuato sulla zona franata, venne
stabilito che "i fabbricati della
contrada Madonna della Catena poggiano su una roccia calcarea non compatta, con
piani di sfaldamento quasi sempre verticali". Alcuni dei fabbricati
risultarono lesionati, mentre un altro era già crollato alcuni anni prima. "Un tratto di circa 150 metri della via della
Catena", si legge ancora nella nota,"corre a mezza costa e la roccia su cui poggia tende a sfaldarsi.
Da informazioni assunte sul posto si è potuto stabilire che al posto della
vallata su sui si affaccia la Via della Catena vi era tutta roccia che
sfettandosi continuamente negli anni decorsi ha dato luogo alla vallata stessa
ed alle lesioni dei fabbricati". Si giunse così alla conclusione che
il movimento franoso fu causato dalla degradazione della roccia calcarea e che,
per arrestare il movimento, era necessario la costruzione di un muro di
sostegno robusto "con adeguati
speroni in muratura".
Una
nuova frana, questa volta nella zona sottostante via Adriatica, si verificò
nella notte tra il 18 ed il 19 febbraio, causando il danneggiamento di alcuni
edifici.
Due
giorni più tardi, il Commissario Prefettizio firmò un ordine del giorno per
permettere le dovute verifiche: "L’ufficio
Tecnico comunale ispezionerà continuamente la zona franosa, la strada ed il muraglione
di sostegno dell’abitato, in maniera da accertare il decorso della frana e di
essere in grado di indicare tempestivamente i provvedimenti da
adottare.Ispezionerà minutamente, inoltre, le fognature di Via Costanzo Ciano
(già Via Adriatica) e vie adiacenti procedendo alle necessarie riparazioni onde
evitare dispersioni ed infiltrazioni di acqua nel muraglione della via Costanzo
Ciano.Chiuderà, inoltre, tutti gli sfiatatoi esistenti nel parapetto della via
suddetta verso il terreno sottostante in maniera da evitare che le acque
piovane si riversino sul terreno stesso".
Dopo
gli accertamenti strutturali degli edifici, vennero requisiti alcuni alloggi
per permettere la sistemazione delle famiglie sgombrate dalle case pericolanti:
tra queste, troviamo quelle di Bernardino Bernardini, Nicola Del Prete,
GiuseppinaCiarallo, Vittorio Vallone e la signorina Aida Volpe.
La
terra tornò nuovamente a muoversi il 31 marzo successivo, provocando il crollo
di una parte del muraglione di sostegno del piazzale dinanzi la chiesa di San
Michele. Il giorno successivo, il Commissario Prefettizio, inviò una nota al
Prefetto informandolo dell’accaduto.
In
seguito ai movimenti franosi, vennero disposti dal Ministero dei Lavori
Pubblici, lavori di consolidamento da eseguirsi immediatamente. Altri lavori,
vennero programmati, con le competenze divise tra Ministero, Ferrovie dello
Stato, Forestale, Provincia e Comune di Vasto.
Lo
stesso Ministro Giuseppe Gorla, il 9 maggio, giunse nella nostra città, per
verificare la situazione. Così annotava la visita sul suo diario: "Proseguo per Istonio (Vasto)
che vuole l'allargamento del porto e il consolidamento della grande parete
franosa che minaccia l'intero abitato e sopra tutto il magnifico
Palazzo d’Avalos. Nella provincia più franosa, Istonio registra il maggior
numero di frane, primato veramente non invidiabile".
Ma
non finisce qui. Nell’ottobre dello stesso anno, ancora un movimento franoso,
provocò il crollo della parte più avanzata del palazzo Bernardini, lungo Via
Adriatica, interrompendo la strada nazionale Istonia e la linea ferroviaria.
La
situazione risultò piuttosto confusa, con il susseguirsidi verifiche e
sopralluoghi. Il 26 maggio del 1943, nel palazzo comunale, il Podestà, il
Presidente della Provincia e le altre cariche competenti si riunirono per fare
il punto della situazione."I tecnici
delle FF.SS.", si legge in un promemoria, "…hanno messo in evidenza come nel sottosuolo di detta zona a notevole
profondità vi sono falde acquifere di notevole portata che sono la origine di
tutti i movimenti franosi verificatisi. Pertanto per comune opinione di tutti i
convenuti, si ritiene necessaria la costruzione di una galleria di raccolta di
tutte le acque che dovrebbero essere convogliate verso il mare. Si è anche
concordemente riconosciuta l’opportunità che detta galleria anziché svolgersi a
valle del muro di sostegno dell’abitato, venga progettata a monte del muro
stesso e cioè sotto l’abitato di Istonio.
Prima però di
affrontare questa soluzione si ritiene opportuno fare qualche altra
trivellazione per completare la conoscenza del terreno con saggi da farsi entro
l’abitato".
In
seguito alla perizia redatta dal Genio Civile di Chieti, la spesa da sostenere
per i lavori ammontava a 700.000 lire. Un primo tratto di muraglione venne
appaltato alla ditta Battistella di Lanciano. Per il secondo tratto,
l’approvazione ministeriale, nonostante il via libera dato nell’estate del
1943, tardò ad arrivare, anche perché non bisogna dimenticare che era in atto
il secondo conflitto mondiale.
Lo
stesso Giuseppe Spataro, allora Sottosegretario alla Presidenza dei Ministri,
cercò di smuovere le acque sollecitando soprattutto i suoi amici più influenti.
In una lettera ricevuta dal Sottosegretario del Ministero dei Lavori Pubblici,
gli venne assicurato il massimo interessamento: "Carissimo Peppino, memore delle tue premure per il consolidamento di
Vasto mi è gradito comunicarti che in data odierna ho nuovamente telegrafato al
Provveditore alle Opere Pubbliche di Aquila affinché curi che la redazione del
progetto del nuovo muraglione da costruire venga espletata con la massima
sollecitudine e provveda poi d’urgenza all’inizio dei relativi lavori".
Finalmente,
con lettera datata 30 giugno 1945, il provveditore regionale delle opere
pubbliche, con sede a L’Aquila, comunicò l’approvazione del decreto per i
lavori di completamento del 2° lotto delle opere di consolidamento
dell’abitato, per un importo di 5 milioni di lire.
I
lavori vennero questa volta affidati all’Impresa Bottari F. Paolo, il quale si
trovò a dover fronteggiare il problema della mancanza di mattoni (si parla di
oltre 500.000 mattoni impiegati), in quanto la ditta Storto, Tenaglia e Petrini
di Vasto, piuttosto che mettere da parte il quantitativo necessario, come gli
era stato più volte intimato, preferì venderli fuori provincia, ad un prezzo
più alto.
Sul
quindicinale della Democrazia Cristiana Lo
Scudo, nel numero pubblicato nel maggio del 1946 si
leggeva: "Per merito della solerte
impresa Bottari, appaltatrice dei lavori, e dell’egregio Ingegnere Cordella,
Direttore tecnico per conto del Genio Civile, i lavori di costruzione del nuovo
muraglione di sostegno dell’abitato e di risanamento della secolare frana, che
ha sempre minacciato la collina di Vasto, avanzano alacremente.
Per poter
costruire sopra fondazioni solide, si è dovuto leggermente arretrare il detto
muraglione e di conseguenza, pur diminuendosi la pendenza di esso, si è dovuto
restringere il piano stradale, che però è divenuto quasi rettilineo,
eliminandosi vecchie reintrature e sporgenze tortuose.
Per quanto la
vecchia strada Adriatica non sia una strada di grande traffico, essa ha e deve
mantenere il carattere di passeggio pubblico, che le è naturale, dato il
meraviglioso panorama, che il viandante gode percorrendola.
Per questo
motivo si sente l’assoluta necessità di fare ogni sforzo per ampliare la
larghezza e dotarla di marciapiedi, sia lungo le case, sia lungo il parapetto
verso il mare. Per raggiungere questo scopo necessita costruire un marciapiede
pensile dalla parte del mare, mediante la costruzione di una soletta di cemento
armato, con dispendio molto limitato, che potrebbe andare a carico dello Stato,
come un completamento dell’opera del muraglione.
Naturalmente sul
detto marciapiede pensile, invece dell’antiestetico e pesante parapetto in
muratura, dovrebbero costruirsi delle eleganti colonnine con ringhiera
intermedia, per cui Vasto riavrà la sua bella strada di passeggio di fronte
all’incantevole panorama".
Finalmente,
e con non poca fatica, si giunse al completamento dell’opera, ma già dal 1953
si cominciarono a notarono preoccupanti lesioni in alcuni fabbricati del rione
San Pietro.
Purtroppo,
quei segni premonitori non vennero presi nella dovuta considerazione. Chissà,
se si fosse intervenuti sollecitamente, forse oggi non saremmo qui a ricordare
la grande frana del 1956.
Lino Spadaccini
1 commento:
Complimenti a Lino Spadaccini, a Noi Vastesi non meno, per questa ben articolata nota sull'evento Vasto-Frana del '56 e sul contesto, topografico e storico, nonchè per l'interessante piccola 'mostra' di illustrative immagini e di storici documenti politici. Volentieri aggiungo un Grazie. GFP
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