martedì 23 febbraio 2016

La Grande Guerra: L’ITALIA E LA DOPPIA ALLEANZA

di NICOLANGELO D'ADAMO

Ad integrazione dell’ottimo articolo dell’amico Peppino Catania sull’atteggiamento della stampa alla vigilia della I Guerra Mondiale, mi preme sottolineare quanto segue:

Allo scoppio della I Guerra Mondiale in Italia si scatenò subito un forte dibattito fra interventisti e neutralisti. I primi, sostenitori di un rovesciamento delle alleanze e di un'entrata in guerra a fianco di Francia e Gran Bretagna, erano presenti in tutti gli schieramenti politici. Essi erano però un'esigua minoranza, anche se godevano  dell'appoggio dei più importanti giornali e dei politici in quel momento al timone: Salandra ed il suo ministro degli esteri, Sonnino. A favore dell'intervento era anche il sovrano.

Questa situazione paradossale, spinse Salandra ma soprattutto il suo ministro degli esteri San Giuliano (fino al 16 ott.’14) ad una scelta molto discutibile: mentre il governo chiedeva all'Austria, che aveva annesso la Serbia, di discutere i compensi territoriali ai quali l'Italia aveva diritto in base al trattato d'alleanza, venne inviato in segreto, e all’insaputa del Parlamento, un corriere a Londra con il quale si faceva sapere alla Triplice Intesa che l'Italia era interessata a conoscere eventuali proposte degli Alleati, in cambio di un intervento italiano contro gli imperi centrali.

Senza che il Parlamento ed il resto del governo fossero informati, complice il sovrano, Antonio Salandra firmò il Patto di Londra il 26 aprile. Con esso, impegnava l'Italia a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali nell'arco di un mese.

Poiché in aprile c'erano state alcune vittorie russe sugli austriaci, e temendo che la guerra finisse a breve, Salandra e Sonnino (Ministro degli Esteri dopo Antonino di San Giuliano) trascurarono di disciplinare nel trattato una serie di aspetti che si sarebbero rivelati decisivi: venne chiesto agli Alleati solo un minimo contributo finanziario in quanto era opinione comunque che la guerra sarebbe finita entro l'inverno, la questione dei compensi coloniali era trattata genericamente: veniva detto che l'Italia avrebbe ricevuto "adeguati compensi coloniali", ma nel trattato non si precisava quali e di quale estensione. Inoltre l'assetto della frontiera orientale non contemplava Fiume italiana (si pensava di lasciare almeno un importante porto adriatico all'Austria-Ungheria), e soprattutto non teneva in debito conto un dato esiziale: era evidente che, a guerra finita, gli iugoslavi avrebbero voluto formare uno Stato libero e indipendente. Dopo la guerra i trattati di pace ruotarono attorno ai famosi 14 punti del Presidente americano Wilson che genericamente sosteneva che il confine tra l’Italia e la Iugoslavia doveva passare attraverso “un linea chiaramente riconoscibile tra le due nazionalità”. Questi equivoci e superficialità saranno alla base delle successive enormi polemiche legate alla cosiddetta “Vittoria Mutilata”

Fu così che l'Italia si ritrovò, per una settimana, alleata di entrambi gli schieramenti. Infatti se il Patto di Londra venne firmato il 26 aprile, fu solo il 4 maggio che il governo italiano denunciò la Triplice Alleanza. E non pubblicamente, ma con semplice comunicazione scritta ai firmatari. In seguito Salandra avrebbe arrogantemente definito questo gesto come il primo atto compiuto dal Paese in piena libertà.

Messi a conoscenza dell'impegno assunto dal governo, anche i comandi militari si allarmarono: l'improvviso rovesciamento di alleanze richiedeva i necessari preparativi. Mentre le manifestazioni interventiste, fomentate ad arte dal governo, si intensificavano, Salandra rassegnò le dimissioni nelle mani del re. La posizione neutralista di Giolitti era nota e questi, una volta giunto a Roma, ricevette in segno di solidarietà trecentoventi biglietti da visita dei deputati che da soli costituivano la maggioranza assoluta della Camera e quelli di un centinaio di senatori.

Ma contro lo statista venne montata una violenta campagna di stampa, a Roma vennero affissi sui muri manifesti che lo ritraevano di spalle al momento della fucilazione: come i disertori.

In un comizio D'Annunzio incitò la folla ad invadere l'abitazione privata dello statista e ad uccidere quel «boia labbrone le cui calcagna di fuggiasco sanno le vie di Berlino»                                                                            

La folla invase con violenza lo stesso edificio della Camera. Il questore di Roma avvertì Giolitti che non era in grado di garantire la sua incolumità.

Francesco Saverio Nitti, ricordando molti anni dopo quei giorni, disse che quello fu il momento nel quale la Costituzione venne calpestata e la libertà conculcata.

Durante le consultazioni Giolitti ammonì il sovrano che la maggioranza era contraria all'intervento. Ma quando il re gli riferì la novità ed il contenuto del Patto di Londra, Giolitti comprese che ormai il danno era fatto: non adempiere all'impegno preso con tanto di firme equivaleva a compromettere il buon nome del Paese e avrebbe implicato, tra l'altro, l'abdicazione del re. Giolitti non ebbe la forza di portare a fondo la sua sfida. Nauseato da quella situazione, Giolitti decise di ripartire per il Piemonte senza attendere la riapertura della Camera.

In questa situazione fu facile per il re respingere le dimissioni di Salandra e confermarlo nell'incarico. Alla riapertura della Camera fu subito evidente che la maggioranza aveva modificato in maniera sorprendente il suo atteggiamento: abbandonata dal suo capo, pressata da minacce ed intimidazioni, messa finalmente al corrente del Patto di Londra, trasse le sue conclusioni. I pieni poteri al governo "in caso di guerra" furono approvati con 407 voti favorevoli contro 74 contrari (i socialisti e qualche isolato).

Il 24 maggio entrò in vigore lo stato di guerra con l'Austria.

Va riconosciuto che Giolitti subì la sua prima, grande sconfitta politica mentre conduceva una nobile battaglia in difesa del Parlamento e della libertà: quasi unanimemente la storiografia riconosce allo statista piemontese il merito di aver difeso, alla vigilia del primo conflitto mondiale, le prerogative dello Stato di diritto e quindi, in ultima analisi, di aver combattuto per una vera democrazia moderna. 

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