sabato 13 febbraio 2016

IL RUOLO AVUTO DAI GIORNALI DURANTE LA GRANDE GUERRA


Ampia e documentata
ricostruzione storica  

di Giuseppe Catania


La Stampa, sin dalla sua invenzione e nel corso dei secoli, ha rappresentato una conquista dell'umanità, perché costituisce un insostituibile servizio di promozione sociale.
Dopo Gutemberg, nel 1400, inventore dei caratteri mobili incisi su legno e uniti l'uno con l’altro per comporre una parola, il processo tecnico e
tecnologico ha raggiunto apici sorprendenti fino a superare incredibili forme di comunicazione istantanea avvalendosi dei sistemi computerizzati o telematici.

Oggi la stampa rappresenta il quarto potere, dopo quello legislativo, esecutivo e giudiziario. A proclamarlo tale fu, nel 1787 il liberale Edmund Burke.

Ma, anche se si tratta invero di un potere virtuale, assume, però, un eloquente significato, perchè si riconosce alla stampa una funzione preminente giacché esercita un essenziale servizio nell'ambito della moderna società.

Dopo i primi tentativi di stampa di foglietti volanti, nel 1600-1700 vennero stampate le prime “gazzette” (la "gazzetta" era una moneta d'argento del valore allora di 2 soldi, che equivaleva al costo del giornale apparso nella metà del XVI secolo a Venezia).

Il primo quotidiano venne stampato a Lipsia in Sassonia, con un titolo quanto mai emblematico, proprio per sottolineare l'importanza della stampa, agli inizi del 1700: "Notizie fresche, degli affari, della guerra e del mondo", che, successivamente venne denominato Liepzigen Zeitung. Questo per introdurre l'argomento della funzione della stampa; con particolare riferimento al ruolo avuto dai giornali durante la Grande Guerra, come potente mezzo, non solo di informazione, ma anche di formazione della opinione pubblica.

Il 25 maggio 1915 l’Italia interviene contro l'Austria- Ungheria e la stampa fa sentire il suo grande peso, ponendo in evidenza le grandi ripercussioni, ritenendo che il prezzo della nazione doveva pagare era più alto di quanto non sembrava. Peraltro, la vita politica italiana ne restava sconvolta, dibattuta come era per la neutralità o per la guerra.

Infatti, "La Stampa", "La Tribuna", "II Giornale d'Italia" "II Mattino","II resto del Carlino" si schieravano per l'intervento italiano.

Il direttore del "Corriere della Sera" Luigi Libertini, schierandosi a fianco dei nazionalisti, liberali e cattolici, fa eco alle dimostrazioni di piazza e ai comizi contro la guerra.

Albertini rimproverava il Generale Cadorna di "essere entrato in guerra senza rendersi conto del fabbisogno di munizioni e delle necessità della guerra di trincea, quali emergevano dall'esperienza francese" .

Questa previsione, infatti, si verificò puntualmente in occasione delle due battaglie sull'Isonzo, con la gravissima perdita di vite umane, per la conquista di pochi metri di terra e limitandosi a una guerra di trincea.

Quando scoppiò la guerra, dirigenti e popolo, operai e contadini, intellettuali, protestanti e cattolici, si raccolsero attorno alle loro bandiere perché il sentimento nazionale era più forte di ogni ideologia di partito.

Ma l'illusione della guerra breve finita entro Natale, presto svanì: l'entusiasmo iniziale fu messo a confronto della terribile prova: quella che doveva essere una guerra rapida si rivelò una estenuante lotta: di logoramento. Allora la propaganda scese in campo con raffinate armi di persuasione.

Di fronte a tale situazione e nella constatazione che le operazioni belliche avevano provocato incalcolabili danni e vittime, si levò la voce della Chiesa.
Dopo la morte di Pio X e l'elezione di Benedetto XV, le chiese nazionali si attendevano una presa di posizione che schierasse il pontefice da una delle parti in lotta.

Ma il Vaticano, per bocca del Cardinale Della Chiesa, aveva manifestato la sua avversione e questo in occasione di una intervista concessa alla stampa, per una ipotesi di un intervento dei cattolici nel conflitto che venne definito "una inutile strage".

Ma di altro avviso furono gli intellettuali italiani che, all'interno della cultura del movimento futurista si posero in atteggiamento di glorificazione della guerra, definendola "sola igiene del mondo".

Giovanni Papini, in un famoso articolo scriveva sul Giornale "Lacerba": "Ci voleva alla fine un caldo bagno di sangue nero, dopo tanti umidicci e tiepidumi di lacrime materne...Siamo troppi. La perdita di migliaia di carogne, abbracciati nella morte e non più diversi che nel colore dei panni, se non fosse anche un guadagno per la memoria,sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, di coglioni, di farabutti, idioti,oziosi, sfruttatori disutili bestioni e disgraziati che si sono levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa. Non a rinfaccio, a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A che cosa possono servire le madri, dopo Una certa età,, se non a piangere ? E quando furono ingravidate non piansero...."

Lo stesso Filippo Marinetti, esultando la guerra la paragonava come un fatto industriale, come moderna espressione della tecnologia, sempre caratterizzata dal pregresso e dal superamento travolgente delle macchine.

Nei giornali si osannava al paradiso terrestre che l'Italia avrebbe trovato sulla cosiddetta "quarta sponda", con interventi giornalistici di indottrinamento delle masse.

Per l'intervento e la guerra ad oltranza erano gli intellettuali di grido come Giovanni Gentile, Gaetano Salmemini, Renato Serra, Gioacchino Volpe, Napoleone Colaianni, Massimo Bontempelli, Romolo Murri, Arturo Labrìola, Guglielmo Ferrero, che si affiancarono ai conservatori del "Corriere della Sera", agli idealisti della "Voce", ai rivoluzionari del "Popolo d'Italia". (NOTA 1)

Si arrivò a tal punto che i neutralisti e i non interventisti , dopo la dichiarazione della guerra, forse paventando di essere accusati di sabotaggio, divennero convinti sostenitori dello sforzo bellico e della vittoria.

Benedetto Croce, dopo aver denunciato le aberrazioni della guerra ideologica, a partire dal 1917 contribuì
alla stesura di manifesti patriottici. E Filippo Turati scrisse che "la nostra patria è sul Piave!"

Tali incitamenti ottennero il massimo dei consensi e delle adesioni anche dopo il disastro di Caporetto,
pur nel riconoscimento che la macchina bellica aveva bruciato milioni e milioni di esseri umani.

Tutti erano convinti che il conflitto era da considerarsi una prova necessaria e rigeneratrice. A queste convinzioni contribuì l'azione determinante ed il ruolo della stampa, dei giornalisti e degli intellettuali che scrivevano articoli di fuoco sui giornali, con la comprovata aggressività professionale che li distingueva, riuscendo a trasformare la massa dei cittadini in combattenti e a convincerli ad accettare il sacrificio.

Sono stati gli intellettuali ad avvertire questo salto di qualità, cooperando alla guerra ideologica.

Nella convinzione che l'evento bellico doveva considerarsi un incidente sovrastrutturale che tocca gli individui, ma non incide minimamente sul flusso della vita universale.

Vorrei citare, a questo punto il giudizio di uno scrittore critico degli avvenimenti storici dell'Italia.
Pietro Cabrini, il quale sostiene: "La prima Guerra Mondiale costituisce uno spartiacque nella storia del mondo occidentale e ne modifica radicalmente i caratteri. La maggior parte della cultura dell'epoca l'aveva affrontata nell'ottica del XIX secolo, senza rendersi conto di stare entrando in un'era interamente nuova, per la cultura non meno che per la politica. La presa di coscienza, lenta e tortuosa e in molti casi anche drammatica,occuperà tutto il ventennio successivo. Ma, per cominciare a diventare in qualche modo operante ci vorrà ancora una seconda guerra mondiale e l'avvento dell'era atomica".

Per dimostrare quanto sia efficace l'azione propagandistica e lo stimolo esercitato dalla stampa e dagli avvenimenti ad essa connessi, vale, per tutti, un episodio éclatante.
Lo stesso Gabriele D'Annunzio, schierato con gli intellettuali del tempo, divenne protagonista di un'azione avventurosa che la stampa definì con enfasi caratteristica in quel momento, impresa gloriosa.
Il 9 agosto 1918, a bordo del velivolo SVA 10 il poeta soldato trasvolò le Alpi per raggiungere Vienna.
Non si trattò di un'azione deterrente perché non vennero lanciate bombe, bensì volantini tricolori che invitavano gli austriaci alla resa, inneggiando alla vittoria italiana

Giuseppe Catania
NOTA 1.
 Soprattutto 1'allora direttore dell’Avanti, Benito Mussolini, militante all'interno del movimento socialista italiano, passò fra i fautori dell'interventismo.
Benito Mussolini, però, il 15 novembre, si dimise da direttore del giornale di partito e fondò un altro giornale "II Popolo d'Italia", che diventò il punto di riferimento e di raccordo di tutta la sinistra interventista.
Ma Mussolini venne espulso dal partito il 24 novembre e confluì nel movimento dei fasci rivoluzionari,insieme a Filippo Turati e Michele Bianchi.
Egli, insieme agli organi di stampa, rappresentò la più massiccia concentrazione interventista che si scatenò da un capo all'altro dell'Italia, dopo le dimissioni del primo ministro Antonio Salandra che era stato battuto in parlamento in quanto la grande parte del consiglio dei ministri era fortemente neutralista.

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