Noivastesi pubblica qui in forma integrale l'intervento di GABRIELLA IZZI BENEDETTI
La sua è stata una ricerca attenta, capillare, e preziosa. Per questo ho tenuto molto a portare all’attenzione dei soci della Società di storia patria e dei vastesi tutti, il suo bel romanzo poiché propone riflessioni importanti, quali la volontà di recupero della memoria storica, l’andare oltre quella damnatio memoriae che accompagna regolarmente l’altalena delle vicende storiche.
I vincitori e i vinti.
I vincitori che, non sempre per fortuna, ma troppo spesso, non si limitano a soggiogare un popolo, ma cancellarne ogni traccia, ogni espressione della loro civiltà, identità, a partire dal linguaggio, e tradizioni, arte, letteratura, tutto insomma. Radere al suolo spiritualmente e anche fisicamente, ricordate la frase Delenda Cartago pronunciata da Catone. E Cartagine, rasa al suolo mai più risorse, perlomeno come città forte e competitiva. Ci sono state delle eccezioni nella storia, persone illuminate come Alessandro Magno, che già nel 327 a. C., da vincitore, decise di rispettare le tradizioni dei popoli vinti, di più, ha cercato di fondere le varie realtà, le culture lui stesso ha sposato una principessa persiana, Roxanne, dunque una donna dei vinti. Ricordiamo che all’epoca e molto tempo dopo ancora, le donne dei vinti, benché nobili, divenivano schiave. E poi vediamo attualmente l’Isis che distrugge un gioiello come Palmira, già ci avevano pensato i Talebani, ricordate, a distruggere templi e opere d’arte.
Cancellare ogni espressione di un popolo significa che le nuove leve, i giovani, e quelli che verranno, conosceranno solo la versione che il vincitore vuole che si conosca.
Questa è la chiave, secondo me, portante, di lettura del presente testo, che mediante le due figure principali Marzio e Papio, e il loro lungo viaggio nella memoria di luoghi e di accadimenti, esprime la necessità di andare oltre, tendere al superamento, a una presa di coscienza di realtà che si ripropongono con tutta la loro importanza, e alla capacità di ricostruire in armonia, non dimenticando i fatti, le crudeltà, ma consapevoli che tutti abbiamo la nostra parte di colpe, e chi viene dopo non è responsabile dell’odio e delle crudeltà precedenti. Ma questo si ottiene, ripeto, solo dopo aver ben chiara la realtà dei fatti. Altrimenti si rimane nell’ambiguità.
Del resto non si può dimenticare ciò che non si conosce, e a parte questo, il dimenticare non vuol dire sempre cancellare, rimuovere dalla mente, quanto vivere in forma propositiva, nonostante ciò che è stato. Senza memoria del passato non esiste futuro, questo lo sappiamo bene, ed è per questo che tutti noi dobbiamo documentarci sempre. Il giovane Marzio, che è cresciuto come un romano, salvato dallo sterminio del popolo sannita, e crede di essere un romano, dopo essere venuto a conoscenza della sua vera identità che inizialmente rifiuta, accompagnando il nonno Papio, che per anni ha vissuto per volere di Cornelio Silla come un poveruomo, e che finalmente esce allo scoperto e s’identifica per quello che è stato, il capo indiscusso dei sanniti, inizia un percorso all’inverso, un riappropriazione delle proprie radici. E si accorgerà che il suo popolo non è quell’insieme di barbari e predoni che vogliono fa credere i romani.
Il vincitore troppo spesso usa non solo la distorsione dei fatti, ma il sopruso. Tutti ricordiamo sicuramente la frase del barbaro condottiero Brenno che, una volta vittorioso, in questo caso, proprio su Roma, dopo il sacco di Roma, non mantiene i patti e vuole oro e ancora più oro, e quando i romani si ribellano, lui mette la sua spada pesante dalla sua parte di bilancia, per aumentare il quantitativo di oro e pronuncia la famosa frase “Ve victis” guai ai vinti. Questo tipo di sopruso genera odio e ancora odio. Non finisce mai. Vediamo come non è possibile, oggi, e da quanti anni ormai, nonostante continui tentativi, arrivare a un’idea di pace fra Israeliani e Palestinesi. E non dipende dalle popolazioni, ma da chi le usa per i propri fini che siano espansionistici o economici o, comunque, di potere. E quindi c’è un fomentare continuo, e si usa la parte meno colta della popolazione per il plagio mentale, o la parte più fragile psicologicamente.
Il romanzo del Mastronardi ha il pregio di farci entrare nelle vicende del passato, con leggerezza, con un crescendo di passaggi sia emotivi che cognitivi, e si avvale, non solo di stati d’animo e di ambientazioni che fanno da supporto, ma di dettagli, piccoli dettagli che alla fine forniscono un insieme ben evidente e preciso. Questo mi porta ad aggiungere che la memoria va coltivata, anche nelle piccole realtà, perché la storia è una sorta di rizoma, in senso metaforico s’intende, con radici che non seguono un percorso lineare e dunque da un fatto ci si riallaccia a un altro e tutto concorre a creare una confluenza d’informazioni, una completezza d’insieme. Vediamo con quanto accanimento alcuni vorrebbero negare l’olocausto. Perché più passa il tempo, venendo a mancare i testimoni diretti, si fa il gioco di chi mettere tutto a tacere, narrare un’altra storia, quella che fa comodo.
Ecco allora la grande importanza degli archivi, cioè di quelle fonti documentali dirette, inoppugnabili. Da millenni si è sentita l’esigenza di questo supporto storico, pensiamo alla biblioteca di Assurbanipal, re babilonese del settimo secolo a. C. con migliaia di tavolette d’argilla, fonte preziosissima di notizie. L’antichità ha profondamente sentito l’importanza per la conservazione documentale, da parte di tutti i popoli, egizi, greci, romani ecc. Uno dei disastri più grandi per il mondo della cultura è stato l’incendio della Biblioteca di Alessandria. Quando, nella seconda metà del seicento, venne a determinarsi un tipo di storiografia che possiamo definire moderna, anche se non era su base critica come è accaduto in seguito, gli storici erano dei puntuali ricostruttori di fatti direttamente mutuati dalle fonti primarie, e ci hanno lasciato un contributo essenziale, un patrimonio documentario, al quale hanno fatto riferimento in seguito praticamente tutti gli altri storici.
Ma al di là di questo, chiunque si accinge a scrivere, e lo so per esperienza diretta, un romanzo storico ( ma questo vale anche per altri settori), dove fantasia e realtà s’intrecciano, deve essere attentissimo a ogni dettaglio, approfondire ogni aspetto, altrimenti il testo non è veritiero e basta poco perché una grande fatica divenga inattendibile. Non è questo il caso del libro di Nicola Mastronardi, nel quale è evidente il gusto della indagine capillare, lui ci fornisce terminologie, notizie di carattere sociale, religioso, organizzativo, un insieme che prevede una seria esplorazione e che non può che derivare da documentazioni specifiche. In questo modo ci offre uno spaccato di storia minore, ma che integra quella maggiore, e rende giustizia nei riguardi di nostri antenati. Veniamo per esempio a sapere che alcune armi sannite sono state copiate dai romani. E’ un esempio fra altri. Questo volume, inoltre, ha il pregio di introdurci nel mondo delle guerre italiche, dei sanniti, o safiti, dei sacrati, in forma piana, senza appesantire il discorso.
Diviene un viaggio di formazione e di informazione per il giovane Marzio, che comprenderà la vera lezione che vuole impartirgli il nonno. Entriamo in questo mondo antico, quasi portati per mano dal narratore, e riproviamo l’orgoglio di averne fatto parte, di essere stati noi a dare il nome alla nostra nazione. Poiché il nome Italia ( o in sannitico Viteliù) è un nome che i romani hanno mutuato dalle popolazioni, appunto, italiche, che occupavano molta parte del centro e sud Italia. Concludo con quest’ultima nota: l’idea di Italia come nazione unita, non è mai venuta meno del tutto dai tempi delle divisioni in provincie volute da Augusto; ha percorso i secoli, ma è cresciuta questa esigenza specie quando, nel XVIII secolo, è scoppiata la passione archeologica, un vero furore archeologico. In quel periodo archeologi italiani e non solo, da tutta Europa, convennero nella Italia ricca di reperti, dalla Toscana in giù, lungo tutto il sud Italia, e i ritrovamenti celebrarono la grandezza di Roma, amplificando quell’orgoglio di appartenenza e quel desiderio di unità che di lì a poco sarebbe esploso con tutti i moti, le guerre d’indipendenza fino all’unità di fatto. E’ stato dunque l’orgoglio di appartenenza, ad aver acceso gli animi.
E’ sempre dunque il passato che incide sul futuro. Non è un caso che nella migliore fantascienza, si tenda a ricreare nomi e strutture e abbigliamenti antichi. Per esempio in Guerre stellari il regista George Lucas ha ricostruito, stilizzandolo, lo straordinario palazzo reale di Caserta. L’unità d’Italia è stato un fenomeno, specie all’inizio, di tipo culturale. E culturale è anche l’operazione fatta dal Mastronardi che arricchisce la nostra conoscenza di una pagina dimenticata della nostra storia, e ne illustra i motivi per cui dobbiamo andarne fieri, come Marzio, alla fine, e mi sembra doveroso ringraziarlo per questa sua fatica letteraria considerevole e coinvolgente.
GABRIELLA IZZI BENEDETTI

1 commento:
Grazie per questa nbella recensione. Devo fare solo una precisazione: Non sono docente presso l'Università di Campobasso ma solo Cultore di materie storiche. Grazie ancora
NM
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