mercoledì 20 gennaio 2016

Jubatti-Murolo: schermaglie intellettuali in punta di fioretto

Da Pino Jubatti riceviamo e pubblichiamo
Da sinistra, Luigi Murolo e Pino Jubatti 

Caro Nicola,
ho seguito con attenzione alcuni preziosi percorsi, da te pubblicati, a firma dell’amico preclaro Gigi Murolo, e mi affretto - come faccio tutte le volte che si tratta di puntualizzare qualche «futile» argomento, tutto
appartenente a «noi vastesi» - a rendertene edotto senza troppi indugi.
Assai interessante la ricerca - in attesa delle articolate
conclusioni - attorno a Largo Sant’Anna e a questioni toponomastiche che a Vasto sono - da sempre, non facciamo finta di non saperlo - l’anticamera dantesca di «incaricati» infernali. Gigi non lo dice, ma sa benissimo che di quella disciplina si sono serviti molti notabili per mescolare le carte pro domo sua, oltre che esibire misconoscenza schietta. E che presenta - oltre certuni strafalcioni centenari, non soltanto ortografici, bensì di storia maggiore - estesa materia, giusto per approfondire caratterialità e civismo.

Affascinante, invece, la «rievocazione» che io avrei trascritto (perché lo capisse ognuno, cioè senza ricorrere all’esibizionismo dei segni diacritici e per parlare di dialetto uàštaréule, per tutti): di la crápa biànghe. A proposito della quale, lu trascàrze sarrì’ naquálle lònghe, volendolo estendere ad area o specchio diverso, fino alle tracce residue - tuttora visibili benché quasi cancellate - di quel trabocco mai recensito, tra lu scòjje hròsse (la innaturale, ipocrita «bagnate» d’oggi) e la pizzálle, li ddu scujj’e lu pále di fèrre di ieri: frequentato molto assiduamente dal sottoscritto e da tutta la chjìrme di Sànda Marè’ (compreso quell’epico - e non sui generis - «Paoluccio lo scatenato», lodevolmente celebrato proprio da Gigi).

La celebrazione in fieri di quel compianto personaggio, inoltre, mi muove l’uzzolo di rammentare a Gigi che l’argomento relativo al lemma piánghә (s. m. e sue variazioni), con il significato specifico di «pietra larga, pianeggiante e poco spessa» - oltre la documentale ed identitaria citazione a favore del Finamore [Vocabolario dell’uso abruzzese (sic), Carabba, 1880/Lapi 1993] - appartiene al «dialetto nostro, ossia di noi vastesi» (celia a parte…), secondo un preciso richiamo linguistico e dizionariale, come chiànghe/chiangàune=«scoglio piano nella parte superiore e che sta quasi a fior d’acqua» [L. Anelli - Vocabolario vastese -  Tipogr. Editr. Luigi Anelli (e non Anelli e Manzitti), 1901], tanto che, proprio tra li marinérә era in voga questo beneaugurante proverbio: Màrze marzàune, tutte lu pássce acchiàppe lu chiangàune.  

Da Pino Jubatti, un affettuoso saluto e un grazie: Ciáve!

1 commento:

Unknown ha detto...

Veramente interessante e coinvolgente