Con le ricorrenze di Ognissanti e la commemorazione dei
defunti, in tanti si recano al cimitero per un saluto ai propri cari.
Questo pomeriggio alle ore 16,30, presso la chiesa del
cimitero, si terrà la tradizionale messa in onore dei defunti, organizzata
dalla Confraternita Sacro Pio Monte dei Morti di Vasto, retta dal Priore
Fernando Marchesani.
Prima della celebrazione, i Confratelli, partendo
dall'obitorio del Cimitero, svolgeranno una piccola processione per poi deporre
tre corone di fiori: una per le tombe dei defunti senza più parenti, una
sull'ossario, ed una per i bambini deceduti a seguito di violenze.
Anticamente le famiglie vastesi si preparavano a questa
festa verso la fine di ottobre, quando spogliavano i giardini per preparare
corone,
ghirlande, croci e cuscini di fiori per adornare le tombe dei loro cari. Ai fiori si accompagnavano i lumi realizzati con vasi di creta, bicchieri con olio d’oliva, stoppini e lumini di cera, lampade ad acetilene o candele.
“Anticamente di questi
giorni”, ricordava Francesco Pisarri sulle pagine de Il Vastese d’Oltre Oceano, “le
massaie prendevano dei grandi cassoni in cui si conservavano per la famiglia,
manciate di legumi e li lessavano, mischiati insieme; e tutti di famiglia ne
prendevano; e ne prendevano gli amici e se ne davano ai poverelli che venivano
a chiedere l’elemosina per l’anima dei morti. Anzi quegli stessi legumi
allessati si chiamavano eufenicamente «l’alme de li murte». E poiché fra essi
abbondavano le fave, chissà se questo antico rito non traesse origine da quello
antichissimo romano, per cui il «pater famiglias» accorgendosi che la sua casa
era invasa dalle larve (o spiriti), per calmarle e allontanarle faceva suonare
come un gong, dei vasi di rame e girava tutta la casa dicendo preghiere e
scongiuri e gettandosi dietro le spalle delle fave nere, che andava man mano
mettendosi prima in bocca e insalivandole”.
Nella notte tra il primo e il due novembre, le massaie
lasciavano una conca ricolma d’acqua, “perché
i poveri morti avessero agio di andare a bere e di rinfrescarsi le arse labbra
e le visceri brucianti”.
Francesco Pisarri ricorda ancora quando il primo novembre i
ragazzi compravano delle pipette di creta con le cannucce colorate di rosso,
verde o turchino e vi fumavano “lu
spichifinucchie”, cioè i semi del finocchiastro. Questi giovinastri se ne
andavano verso il cimitero, fumando la loro pipetta, ad imitazione degli
adulti, fermandosi ad acquistare lungo la strada le caldarroste.
Questa è anche l’occasione per rileggere il bel sonetto di
Luigi Anelli, dal titolo “L’Alme di li
murte”, che ci descrive l’atmosfera che si respirava in questo giorno di
festa tra mendicanti, ragazzini chiassosi e il via vai della gente in visita ai
propri cari:
Lu pòpele ci arréiv’ a
ppricissiìune
Dändr’ a lu
Quambesand’ allumunete,
e a llongh’a llonghe
pi’ li rasilìune
véite sinocch’ e fiùre
spalijete.
ʼM mèzz’ a lu vussa
vîsse sinde hìune
che štrëlle ca l’ à l’
ome pizzichete;
ʼn artire cuffujá du’
cafìune
che ppiágnen’ a ʼna
cráuce aggiunucchiete.
Ma ʼla bbardasciarë’
fa cchiù rrubbelle:
chi scappe, chi a li
fosse s’ annascânne,
chi fume l’ánis’ a la
pipparelle.
Pùvere murte!...
Aväit’ ujje li réuse:
ma chi vvi fa, se
mangh’ all’ addre mânne
vi l’ ome dà nu
qquáune di ripéuse?!...
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