lunedì 2 novembre 2015

Commemorazione dei Defunti: oggi il Vescovo alle 15 presso l'ingresso del Cimitero

Le tradizioni vastesi del passato per il 2 novembre
di Lino Spadaccini

Come da tradizione, nella giornata dedicata alla commemorazione dei defunti, S. E. Mons. Bruno Forte, presiederà la concelebrazione eucaristica insieme ai sacerdoti della città, presso l’ingresso del cimitero da via Conti Ricci. La S. Messa, prevista per questo pomeriggio alle ore 15, sarà animata dal gruppo scout dei Salesiani.
In tanti in questi giorni si stanno recando al cimitero per portare fiori sulle tombe dei propri cari. Ma la commemorazione dei defunti è anche l'occasione per ricordare i tanti vastesi illustri scomparsi che si sono
contraddistinti nel tempo nel campo delle lettere, dell'arte, della politica e del sociale, come gli storici Luigi Marchesani e Luigi Anelli, il poeta Romualdo Pantini, Carlo Palmili, il sen. Giuseppe Spataro, Carlo D’Aloisio e Elisabetta Mayo, Filandro Lattanzio, Peppino Perrozzi, Espedito Ferrara, Emilio Celano, Alfonso Marchesani, Luigi Martella, don Romeo Rucci, don Salvatore Pepe, Florindo Ritucci Chinni e tanti altri ancora.
Il 2 novembre il cimitero è un via vai di gente, con parenti e amici che s'incontrano e scambiano battute, in ricordo dei propri cari, sostituendo spesso il momento di raccoglimento e della preghiera con la semplice passeggiata ed il chiacchiericcio. Oltre un secolo fa le cose non erano molto diverse da oggi. "Molta folla si è recata al camposanto, per la commemorazione de' defunti", si leggeva sulle pagine dell'Istonio nel 1895, "La sera di venerdì la modesta necropoli aveva un aspetto fantastico e le mille fiammelle gialle de' ceri accesi davano l'idea de' fuochi fatui, delle anime vaganti, che la fantasia popolare immagina o crea… Fiori e fiori dappertutto: sui solchi disseminati di croci, presso le tombe marmoree e presso le epigrafi, che la pietà de' parenti d'ordinario consacra a coloro che furono… Per gli ampi viali si girava a stento: mentre a schiere le belle ragazze chiassose, come evidente contrasto tra la vita e la morte, quasi spensierate, calpestavano il sacro terreno, dimentiche forse del fatale passaggio dall'ardore della vita alla fredda immobilità della morte. Oh la morte, la morte!... Il mesto e vario pellegrinaggio sìè protratto fino a ieri sera a tarda ora, sotto il cielo plumbeo e l'aria umida e fredda; e fino a tarda ora i viali del camposanto si vedevano affollatissimi ed illuminati. Poveri morti!".
Al Due Novembre (l'Alme di li Murte), il poeta Fernando D'Annunzio ha dedicato una bella e toccante poesia dialettale:

Lu ciéle ugge pare ca vo' piagne...
'Na nebbiulìne cale e ttutt' ammande,
s'appòse pe' le case e li campagne,
mentre la ggènde va a lu Campesande.

E' l'Alme di li Murte, e lu pinzìre,
trište, aricorde chi nin gi šta cchiù.
Nu fiore, nu lumìne, 'na prihìre:
- "
Requiem aeterna", pace a ttutte vu'. -

Quanta lòcule, tombe, cappèlle...
Quanta nume, fitografìje e date,
di ggènde che da sèchile šta 'èlle
e ggènde che da poche j'à lassàte.

Aritròve micìzie e canuscènde,
e li pirzone care di famìje,
me l’arivede vive nu mumènde,
invéce già si l'à ritòdde Ddìje.
Camìne tra li tombe, préghe e penze:
Doppe la vite n' gi pò šta' lu "
niènde"...
L'Alme ni' mmore... E crésce la speranze
d’aritruvàrce 'n Ciéle tuttiquènde.

E chiudiamo con una poesia poco conosciuta, scritta dal canonico Francesco Vassetta, pubblicata nel 1886, dal titolo Il giorno dei morti:

La fera campana con suono funesto
Al Tempio ci chiama, che squallido e mesto
Rimbomba degl'inni sacrati al dolor.  –
Ve', s'apre una tomba! – Quell'ossa spolpate,
Que' crani confusi con membra staccate
Mi scuoton, mi agghiadan le fibbre del cor! –

Dov'è di quel prode l'indoma fortezza?
Di Vergine altera dov'è la bellezza?
E dove del grande la boria fuggì?
Ahi tutto in quest'urna ferale travolve
La Morte!.. di loro sol resta la polve;
E il vanto superbo?.. Il vanto svanì. –

Apprendi, o mortale, che in breve quegli agi,
Gli onor, le ricchezze, gli amati palagi
Di scudo alla morte non saran per te.
Le stesse tue membra, divise dall'ossa,
Godranno il silenzio di ruvida fossa,
Che inghiotte il tapino che piange, ed i Re.

Un lampo è la vita, che brilla e svanisce,
Un fior che dal gambo reciso languisce,
Che sorge dal nulla, nel nulla cadrà. –
Ma l'uom non paventa! nè, stupido, impara
Che in breve una rude miserrima bara
Un letto funèbre per esso sarà.






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