lunedì 19 ottobre 2015

La vita dei minatori vastesi in Belgio e la morte di Nicolino Ruzzi

Pietro Florio, Pierino per gli amici, classe 1935
IL RACCONTO DI PIETRO FLORIO DA 62 ANNI IN BELGIO
All'epoca in miniera venivano calati anche i cavalli.

Pietro Florio , classe 1935, rione Croci, da 62 anni in Belgio, è uno dei tanti vastesi che hanno lasciato Vasto nell’immediato dopoguerra alla ricerca di un futuro migliore.
Con sacrifici,  ha lavorato nelle miniere nel primo periodo e poi in  altre realtà produttive più sicure.

C’è un episodio che ha segnato la sua vita, la morte in miniera in Belgio di Nicolino Ruzzi, suo carissimo amico d’infanzia, in un incidente avvenuto qualche anno prima della tragedia di Marcinelle del 1956 (dove morirono 262 persone di cui 136 italiani, 60 abruzzesi).

Nicolino Ruzzi morto in miniera
per salvare due suoi amici
Per lui Nicolino è un “eroe”, perché è morto per soccorrere due suoi compagni di lavoro.  
Pietro riferisce che l’incidente avvenne con questa dinamica: Nicolino era in galleria e dietro di lui sentì un crollo che coinvolse due suoi colleghi. Si precipitò verso di loro, tirò fuori il primo dalle macerie e lo portò in zona sicura. Poi tornò indietro per andare a liberare il secondo,  ma sfortunatamente in quel punto la galleria ci fu un altro crollo che seppellì sia lui che l’altro collega già ferito. L’unico a salvarsi fu il primo, profondamente addolorato per il fatto che Nicolino Ruzzi per salvare lui, finì la sua vita sotto le macerie.
Pietro Florio ricorda i tristi momenti del funerale in Belgio, dove tutta la comunità vastese si raccolse attorno alla famiglia Ruzzi,  e il successivo rientro della salma a Vasto per la sepoltura nel cimitero cittadino.

L’emigrazione verso le miniere di carbone del Belgio fu una delle esperienze più difficili per gli italiani all’estero, ma nel dopoguerra in Italia non c’era nulla e quello era uno degli sbocchi più promettenti.

Da ricordare che in quegli anni l’Italia aveva bisogno di carbone, il Belgio necessitava di operai per le miniere. Allora nel 1946 si firmò l’accordo "uomo-carbone" : l'Italia si impegnava ad inviare in Belgio 1.000 minatori a settimana. In cambio, avrebbe ricevuto dal Belgio 200 chili di carbone al giorno per ogni minatore emigrato.

Per convincere le persone ad andare a lavorare in miniera in Belgio, l'Italia venne tappezzata di manifesti di colore rosa che presentano unicamente i vantaggi derivanti dal mestiere di minatore: salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato.

In effetti non si parlava delle tristi condizioni di lavoro. “Noi 'Musi neri', com'eravamo chiamati a causa della polvere di carbone che ricopriva i loro corpi, venivamo avviati a un lavoro pericolosissimo, privi di ogni preparazione e alloggiati in strutture fatiscenti, per lo più nelle baracche che pochi anni prima erano state impiegate ad uso militare”.

“Nessuno di noi poteva immaginare cosa l’aspettasse – ricorda Pietro Florio – non era facile passare dalla luce del sole dell’Italia, al nero del carbone a 800 metri sotto terra in Belgio! Ma quella era l’unica possibilità”. Il lavoro in miniera era diviso in turni: 6-14, 14-22 dedicati all’estrazione; 22- 6 a preparare le armature. Pietro ha fatto il minatore a La Sentinelle di Boussu e a L’Alliance. “Io lavoravo di notte ed ero addetto al trasporto dei legni per le armature, sotto la miniera, con i cavalli”. 
All'epoca in miniera venivano calati anche i cavalli

E chiarisce meglio il concetto: “Sì perché forse non tutti lo sanno, ma in quel periodo dentro le miniere venivano calati anche i cavalli sia per questo lavoro che per il trasporto dei carrelli pieni di carbone. Avevano la loro stalla e non risalivano mai. Diventavano ciechi e risalivano in vecchiaia solo per andare al macello”. 

“In miniera il lavoro più duro era l’estrazione  del carbone in galleria, la polvere era enorme e portava dritto alla silicosi. Poi era sempre in agguato il grisou, il terribile gas di miniera con cui spesso si muore. Per precauzione portavamo una lampada  che alla presenza del gas diventava blu oppure  una piccola gabbia di canarini che rivelano all’istante il grisou e i minatori facevano in tempo ad abbandonare la galleria. Infine c’erano sempre i pericoli dei crolli”.
Anche fuori della fabbrica l’ambiente non era favorevole agli immigrati, ma piano il processo di integrazione lentamente andò avanti per alcuni decenni e oggi si può parlare di Unione Europea.

Nicola D’Adamo

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