Pietro Florio, Pierino per gli amici, classe 1935 |
All'epoca in miniera venivano calati anche i cavalli.
Pietro Florio ,
classe 1935, rione Croci, da 62 anni in Belgio, è uno dei tanti vastesi che
hanno lasciato Vasto nell’immediato dopoguerra alla ricerca di un futuro
migliore.
Con sacrifici, ha
lavorato nelle miniere nel primo periodo e poi in altre realtà produttive più sicure.
C’è un episodio che ha segnato la sua vita, la morte in
miniera in Belgio di Nicolino Ruzzi, suo carissimo amico d’infanzia, in un incidente avvenuto qualche
anno prima della tragedia di Marcinelle del 1956 (dove morirono 262 persone di
cui 136 italiani, 60 abruzzesi).
Nicolino Ruzzi morto in miniera per salvare due suoi amici |
Per lui Nicolino è un “eroe”, perché è morto per soccorrere
due suoi compagni di lavoro.
Pietro riferisce che l’incidente avvenne con questa
dinamica: Nicolino era in galleria e dietro di lui sentì un crollo che
coinvolse due suoi colleghi. Si precipitò verso di loro, tirò fuori il primo
dalle macerie e lo portò in zona sicura. Poi tornò indietro per andare a
liberare il secondo, ma sfortunatamente
in quel punto la galleria ci fu un altro crollo che seppellì sia lui che
l’altro collega già ferito. L’unico a salvarsi fu il primo, profondamente
addolorato per il fatto che Nicolino Ruzzi per salvare lui, finì la sua vita
sotto le macerie.
Pietro Florio ricorda i tristi momenti del funerale in
Belgio, dove tutta la comunità vastese si raccolse attorno alla famiglia
Ruzzi, e il successivo rientro della
salma a Vasto per la sepoltura nel cimitero cittadino.
L’emigrazione verso le miniere di carbone del Belgio fu una
delle esperienze più difficili per gli italiani all’estero, ma nel dopoguerra
in Italia non c’era nulla e quello era uno degli sbocchi più promettenti.
Da ricordare che in quegli anni l’Italia aveva bisogno di
carbone, il Belgio necessitava di operai per le miniere. Allora nel 1946 si
firmò l’accordo "uomo-carbone" : l'Italia si impegnava ad inviare in
Belgio 1.000 minatori a settimana. In cambio, avrebbe ricevuto dal Belgio 200
chili di carbone al giorno per ogni minatore emigrato.
Per convincere le persone ad andare a lavorare in miniera in
Belgio, l'Italia venne tappezzata di manifesti di colore rosa che presentano
unicamente i vantaggi derivanti dal mestiere di minatore: salari elevati,
carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate,
pensionamento anticipato.
In effetti non si parlava delle tristi condizioni di lavoro.
“Noi 'Musi neri', com'eravamo chiamati a causa della polvere di carbone che
ricopriva i loro corpi, venivamo avviati a un lavoro pericolosissimo, privi di
ogni preparazione e alloggiati in strutture fatiscenti, per lo più nelle
baracche che pochi anni prima erano state impiegate ad uso militare”.
“Nessuno di noi poteva immaginare cosa l’aspettasse –
ricorda Pietro Florio – non era facile passare dalla luce del sole dell’Italia,
al nero del carbone a 800 metri sotto terra in Belgio! Ma quella era l’unica
possibilità”. Il lavoro in miniera era diviso in turni: 6-14, 14-22 dedicati
all’estrazione; 22- 6 a preparare le armature. Pietro ha fatto il minatore a La
Sentinelle di Boussu e a L’Alliance. “Io lavoravo di notte ed ero addetto al
trasporto dei legni per le armature, sotto la miniera, con i cavalli”.
All'epoca in miniera venivano calati anche i cavalli |
E
chiarisce meglio il concetto: “Sì perché forse non tutti lo sanno, ma in quel
periodo dentro le miniere venivano calati anche i cavalli sia per questo lavoro
che per il trasporto dei carrelli pieni di carbone. Avevano la loro stalla e
non risalivano mai. Diventavano ciechi e risalivano in vecchiaia solo per
andare al macello”.
“In miniera il lavoro più duro era l’estrazione del carbone in galleria, la polvere era enorme
e portava dritto alla silicosi. Poi era sempre in agguato il grisou, il
terribile gas di miniera con cui spesso si muore. Per precauzione portavamo una
lampada che alla presenza del gas
diventava blu oppure una piccola gabbia
di canarini che rivelano all’istante il grisou e i minatori facevano in tempo
ad abbandonare la galleria. Infine c’erano sempre i pericoli dei crolli”.
Anche fuori della fabbrica l’ambiente non era favorevole
agli immigrati, ma piano il processo di integrazione lentamente andò avanti per
alcuni decenni e oggi si può parlare di Unione Europea.
Nicola D’Adamo
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