Il 29 marzo 2014 il volume fu presentanto in chiesa. Molto soddisfatto il parroco don Domenico Spagnoli che nell’occasione sottolineò la grande considerazione dei vastesi per San Cesario, santo protettore contro i terremoti e le guerre. Aggiungendo che frequentatissima era la cripta durante la seconda guerra mondiale quando molte donne andavano a pregare San Cesario per proteggere mariti e figli in guerra. E il fatto che la liberazione di Vasto avvenne il 5 novembre 1943, subito dopo la ricorrenza di San Cesario, costituì un fatto prodigioso.
Don Domenico presentò anche i lavori di restauro e parlò delle preziose bolle ritrovate nell’urna a dimostrazione dell’autenticità della donazione.
Lino Spadaccini, uno dei due autori, si soffermò molto sulla storia del Santo. Pubblichiamo qui il suo intervento integrale. Innanzitutto un grazie a Don Domenico per
Devo dire che non è stato molto semplice il compito che mi è stato affidato, anche perché su San Cesario ci sono pochissime notizie storiche. A parte le notizie principali contenute nella lettera di consegna del Martire, in realtà non c’è molto altro su San Cesario. La prima domanda che mi sono posto è stata: chi è San Cesario, o meglio chi non è San Cesario. Spesso è stato accostato al San Cesario diacono e martire di Terracina, ma come ho scritto nel mio intervento, ciò è impossibile, in quanto molte ossa del corpo di questo Martire sono sparse in molte chiese italiane e straniere e tutte documentate: parlo del cranio oppure di altre grandi ossa come femore, tibia, perone, ecc. Mentre sappiamo che il nostro San Cesario è integro. E proprio all’inizio di questa settimana ho avuto conferma da uno studioso, un certo Massimo Frangipane, profondo conoscitore di S. Cesario di Terracina e di tutti i suoi omonimi, il quale ha confermato, con mio grande sollievo, quanto scritto nel volumetto. Anzi, mi ha fornito anche ulteriori indicazioni su frammenti ossei di San Cesario del Vasto, conservate in chiese italiane e francesi, attestate da autentiche del cardinal Carpegna.
Posizione
Quindi, dicevo, ho risposto con piacere all’invito del parroco anche perché, sin da bambino, e penso anche per molti di voi qui presenti, San Cesario ha sempre avuto un fascino particolare, in parte dovuto alla sua collocazione all’interno della buia cripta sotto il presbiterio, ed in parte per quell’antica leggenda che si tramanda di generazione in generazione, nella quale si afferma che il corpo di S. Cesario si muova.
Ancora oggi, alcuni anziani affermano che il corpo del Martire era disteso e anno dopo anno si è alzato. Ad avvalorare questa tesi c’è anche l’autorevole testimonianza del giornalista e scrittore vastese Alfonso Sautto, riportata in un articolo del 1933 sulle chiese di Vasto, dove afferma che il corpo di San Cesario era «era quasi interamente sdraiato nella sua urna di vetro, e dopo parecchi anni, il suo busto s’era lentamente elevato dal piano e ora il Santo è quasi seduto. Ebbi a constatare tale miracolo dai 15 ai 35 anni della mia vita, recandomi spesso nella cripta, e con me, tanti altri verificarono lo straordinario fenomeno». Essendo nato nel 1880, l’arco temporale indicato dal Sautto dovrebbe essere dal 1895 al 1915.
Bisogna dire che la maggior parte dei martiri sono esposti in posizione dormiente, cioè allungata, mentre il S. Cesario del Vasto si presenta seduto. Le ossa sono tenute insieme da un elaborato impianto costituito da fili di ferro e malta, inoltre è presente un supporto di legno sagomato a motivo di finta roccia dipinta, impostato dietro la schiena, probabilmente per evitare cedimenti. L’esistenza di una sagomatura concava sulla base di legno, lascia presupporre che in origine potesse essere il fondo su cui era poggiata la testa. Poi ci sono un altro paio di elementi interessanti: l’urna molto grande rispetto al corpo e la tavola su cui è poggiato San Cesario, che risulta tagliata su entrambi i lati corti, quindi, per qualche motivo, è stata accorciata. Questi elementi farebbero presupporre che il corpo inizialmente fosse in posizione distesa.
Il testo dell’Inno a San Cesario scritto da Francesco Leone, conservato manoscritto presso l’Archivio Storico “G. Rossetti”, ci può essere d’aiuto per capire come effettivamente stanno le cose. Il testo è stato scritto verso la fine del ’700.
In un passo, si legge:
Il Vasto in testimonio / Io chiamo, se mentire / Intendo, o se ‘l mio dire / È schietta
Verità; / Racconti se Cesario / Mai lo salvò da quello / Terribile flagello, / Che
Foggia diroccò; / O quando vicinosa / L’Aquila cadde al suolo, / Se al Vasto li corse
a volo, / E’l grave Mal fugò. / Egli cogli occhj chiusi / Giacea nell’urna steso, / Ma
’l terremoto inteso, / Rizzossi, e i lumi aprì; / Ora è seduto in guardia / Del popolo
del Vasto; / Ed oggi ancor rimasto / Lo vede ognun così.
Interessanti sono i riferimenti sulla posizione del Martire e sui terremoti a Foggia e L’Aquila. Quello della città pugliese, risale al 20 marzo 1731, mentre quello del capoluogo abruzzese, chiamato anche Grande Terremoto, per la sua potenza devastatrice che rase al suolo la città, risale al 1703, otto anni dopo l’arrivo del Santo nella chiesa di S. Maria Maggiore.
L’autore dell’Inno afferma che il corpo del Martire era steso, ma in seguito alla scossa di terremoto, rizzossi, ovvero si alzò ed ora è seduto in guardia. Dallo storico Luigi Marchesani sappiamo che Francesco Leone nel 1727 aveva 9 anni. A questo punto due sono le ipotesi: se il passaggio da disteso a seduto è avvenuto in seguito al terremoto aquilano, il Leone non è stato testimone oculare, ma probabilmente gli è stato raccontato da persone che hanno partecipato al solenne ingresso del Santo a Vasto, avvenuto solo pochi anni prima, e che quindi conoscevano bene la sua posizione iniziale. Al contrario, se l’episodio del terremoto è quello del foggiano, è possibile che Francesco Leone, allora tredicenne, sia stato testimone oculare del passaggio da disteso a seduto.
In realtà, sul diario manoscritto del canonico Diego Maciano, con gli avvenimenti accaduti a Vasto dal 1700 al 1729, non è presente nessun tipo di indicazione in merito a S. Cesario, mentre sono puntualmente annotate, in tutta la loro drammaticità, le varie scosse telluriche verificatesi agli inizi del 1703, come quella del 24 gennaio, del 2 febbraio e della notte successiva. La terra tornò a tremare il 3 novembre 1706, giorno della festa di S. Cesario. Questo il racconto del Maciano: «Ad hora 20 e mezza, si sentì una gran scossa di terremoto, tanto forte che nessun vecchio si ricordava in vita loro d’averla sentita, e durò lo spazio d’un credo, e … non cessò mai fino ad ora prima del seguente dì, in somma no c’era intervallo fra mezz’hora all’altra, che sempre si faceva sentire; per la Dio gratia, e qualche nostro santo avvocato, non perì nessuno…».
Anche se non viene citato direttamente il nome di S. Cesario, è facile pensare che il popolo vastese abbia innalzato le proprie preghiere al Martire invocando la sua protezione contro i pericoli dal terremoto.
E’ da notare che questa data, il 3 novembre, giorno della festa, ricorre spesso negli annali. Oltre agli episodi già citati, ricordiamo anche l’arrivo della notizia della fine del 1° confitto mondiale, ma anche l’arrivo degli alleati a Vasto, in realtà il 5 novembre del 1943, ma già due giorni prima gli inglesi avevano liberato Cupello ed erano in attesa di entrare a Vasto. E come ricorda il poeta Osvaldo Santoro, in una poesia dialettale, che ho voluto inserire nel libro, tanta gente “da lu ddazie è menute a genucchjune… p’arengrazi’à lu Sante”.
Cesare Michelangelo D’Avalos
Il nome della famiglia d’Avalos è legato alla chiesa di S. Maria Maggiore da quasi cinquecento anni e il fatto che nel 1543 Maria d’Aragona d’Avalos avesse l’autorità di nominare un arciprete in questa chiesa, induce a ritenere che i d’Avalos vi esercitassero lo jus pratonato.
La presenza della storica famiglia di origini spagnole ha segnato tutta la storia di S. Maria Maggiore. In particolare, si prodigò, e non poco, per la ricostruzione della chiesa, incendiata e parzialmente distrutta nell’agosto del 1566 dai turchi comandati da Pialì Bassà (o Pascià), che misero a ferro e fuoco tutta la città, saccheggiando e devastando ogni luogo, senza risparmiare le chiese; poi ricordiamo la Sacra Spina, donata dal pontefice Pio IV a Ferrante d’Avalos, in occasione del Concilio di Trento (1545-1563), ed ancora il corpo di S. Cesario, donato da Cesare Michelangelo d’Avalos, a quel tempo marchese di Pescara (diverrà marchese del Vasto due anni più tardi alla morte del padre Diego).
Proprio quest’ultimo personaggio, il cui nome oggi è accostato soprattutto alla rievocazione storica del Toson d’Oro, venne battezzato il 19 gennaio 1667 in questa chiesa, dall’arcivescovo e conte di Chieti Mons. Nicolò Radulovich, quasi certamente nel bellissimo fonte battesimale, realizzato nel 1572 in pietra della Maiella, che potete ammirare vicino l’ufficio del parroco.
Ma non dobbiamo dimenticarci che nel reliquiario di fronte quello di San Cesario, sono presenti alcune reliquie di San Fortunato martire, ancora una volta grazie a Cesare Michelangelo. Estratto dalle catacombe ponziane nel 1687, il corpo del martire venne donato al Cardinale Fortunato Carafa, il quale donò a sua volta a Cesare Michelangelo che lo destinò alla chiesa di Santa Maria in Silvys. Il provvedimento di assegnazione venne firmato a Vasto il 25 agosto del 1726. E da qui le reliquie di San Fortunato, adagiate in una lettiga adorna di fiori, partirono alla volta di Serracapriola, dove tuttora si trovano.
L’urna presente sotto la cripta, a causa della sua delicatezza si è preferito non aprirla, ma è probabile che al suo interno, così come per tutte le altre reliquie, si conservi la lettera autentica di consegna.
Le lettere autentiche di consegna dei corpi dei martiri venivano sottoscritte soltanto dal cardinal vicario del Papa e dal custode delle reliquie. Sulle bolle si esprimevano i nomi propri dei martiri, insieme col nome del cimitero da dove venivano estratti e la descrizione dell’urna dove erano stati posti (tutti elementi che ritroviamo anche nel documento di autentica di S. Cesario del
Vasto). Seguiva la registrazione in un libro, con il nome della chiesa, oppure della persona che riceveva la reliquia, e la data in cui venivano spedite. Questo passaggio era importante in quanto «perdendosi le Autentiche, possano di nuovo replicarsi».
Il mio intento principale è stato quello di cercare di mettere un po’ di ordine sulle notizie intorno a San Cesario.
Innanzitutto grazie ai documenti straordinari che sono stati rinvenuti all’interno dell’urna: ricordiamo la lettera autentica del cardinale Carpegna, la nota redatta dal vescovo Radulovich il giorno dell’arrivo a Vasto e l’autentica della ricognizione del 1894 effettuata da mons. Cocchia.
Abbiamo cercato di dare un’identità al nostro Martire, partendo proprio dal titolo del libro: “San Cesario del Vasto, martire della fede”, questo per distinguerlo da tutti gli altri martiri, a cui nel passato, erroneamente, ci si è accostati. Non ci troviamo di fronte al San Cesario diacono di Terracina, oppure al San Cesario di Nazianzio, o ad altri, ma ci troviamo di fronte a San Cesario del Vasto, un cristiano della Chiesa dei primi secoli, un vero testimone del Vangelo, che ha dato la propria vita con il martirio.
Il volume è stato scritto in un solo mese, tra ricerca storica, stesura, composizione e stampa. Ho cercato di metterci tanta passione, attraverso una scrittura semplice e diretta. Una parte essenziale è rappresentata dalle immagini, innanzitutto delle lettere autentiche, poi attraverso qualche immagine d’epoca con i santini della prima metà del Novecento e la straordinaria fotografia della processione della statua del Santo lungo corso Plebiscito, risalente verso la fine degli anni ’10 del secolo scorso, che ci danno la dimostrazione di una grande devozione da parte dei vastesi verso San Cesario. E poi ancora tante immagini scattate dal 6 febbraio scorso, quando sono iniziati i lavori di restauro, dove abbiamo cercato di mettere in evidenza alcuni particolari interessanti, che abbiamo già visto questa sera proiettati sullo schermo.
Ringrazio ancora il parroco, don Domenico, per questa opportunità; ringrazio l’editore Bruno D’Adamo per la pazienza e la professionalità dimostrata, e ringrazio tutti voi presenti per l’attenzione.
LINO SPADACCINI
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