venerdì 23 ottobre 2015

Itinerari: SAN GIOVANNI LIPIONI E LA FESTA DEL MAJO

di GIUSEPPE CATANIA

San Giovanni Lipioni è un centro che sorge nel subappennino di Castiglione Messer Marino, su di uno sperone
calcareo alla sinistra del medio corso del fiume Trigno, ai lati della strada che collega il borgo con la via Istonia. Dista circa 60 km.da Vasto ed è abitato da circa 200 persone (una volta circa 1.000). Dalla
fondovalle a scorrimento veloce del Trigno, si raggiunge attraverso il ponte di 'Tufillo e la strada "Sannitica" che sfiora il territorio della celebre Abbazia di Santa Maria di Canneto.

 I cultori delle tradizioni popolari e della storia degli antichi borghi d'Abruzzo,vi trovano motivi di interesse e di studio, soprattutto ispirazioni artistiche proprie di un paesaggio alpestre ricco di verdi quercie e lecci secolari, che rendono amena la località tutto intorno, fino a valle lungo il corso del fiume. Si ha notizia del borgo nei primi documenti, con la denominazione Sanctus Johannes a Podio Bacco, e, nel secolo XVIII, San Giovanni Lupione o Luppioni, in proprietà, come Baronia, al casato Marinelli.

 Sulla collina di "Caccavone", a circa 700 metri di altezza, affiorano sovente reperti archeologici di notevole interesse, a testimonianza dell'esistenza di un insediamento urbano di epoca preistorica; lastroni in terracotta di provenienza funeraria, fittili, utensili domestici. Secondo lo studioso Valerio Cianfarani, anticamente nell'agro di San Giovanni Lipioni,venne rinvenuta una testa virile in bronzo,di squisita fattura ellenistica, che, certamente, faceva parte di un tempio pagano, esistente nel Municipio di "Terventum" (Trivento). Il reperto si trova, inspiegabilmente,nella biblioteca delle medaglie di Parigi, sicché, erroneamente si crede che provenga dall'antica Boviunum Vetus (Boviano in provincia di Campobasso), capitale dei Sanniti Pentri.

 Tra le manifestazioni popolari che più si ricordano a San Giovanni Lipioni, la festa del "Calendimaggio", del "Majo", tradizione che, fino a qualche anno fa, veniva solennizzata dal concorso di tantissimi paesani, quale simbolo emblematico per rinnovare la promessa dell'amicizia fra la gente del borgo, ed anche quale patto e vincolo di reciproca solidarietà. Forse il rito è da ricollegarsi e quello antichissimo del "Ver Sacrum" (Primavera sacra) che trova attinenza nei costumi, dì cui si ha ormai labile traccia,dell'antico popolo degli Etruschi, e, più avanti ancora nei secoli, degli Osci (o Opici, da Opscus= lavoratore della terra), gente selvaggia e rozza, coperta di pelli e senza leggi, prima stirpe di abitatori degli altipiani appenninici, amanti della loro indipendenza e sprezzanti del pericolo, sottomessi ai Sanniti. Consisteva il "Calendimaggio" nella preparazione di una ghirlanda a forma arrotondata, formata di mazzetti di ogni specie di fiore, sorretta da un "majo" fatto di fasci di canne. In quella occasione ragazzi e giovanotti, con i familiari, raccoglievano fiori che a mazzetti legavano si lagavano al Majo in foggia di corona con canne silvestri. Al termine della funzione religiosa, che culminava con la benedizione nella Cappelletta di Santa Liberata, ad ogni famiglia si faceva dono di un mazzetto di fiori benedetti. Il gesto rituale veniva accompagnato dalla recita di uno stornello che ha il seguente significato: In questa casa devono entrare due nuore: Santa Liberata ci benedica. Anche i giovani ricevono i doni, soprattutto i giovanotti: uova e vino, quale promessa di un auspicato futuro vincolo maritale. Fiori e vino vengono distribuiti fino a notte tarda; ed a volte i canti e le strofe a "dispetto" echeggiano per le vallate le cui cime già incominciano a indorarsi ai primi raggi del nuovo sole, quando le stelle, nel primo barlume dell'alba incipiente brillano sorridenti nel cielo, mentre dalla valle sale la prima spira di caldo. Tali riti possono accostarsi ai "sacra popularia" di origine romana, con riferimento alla festa dei fiori "Floralia" che si celebravano con lauti banchetti e con scambio di strenne, quasi per consacrare i legami di affetto fra la popolazione. Ed attorno resta un senso di mistero aleggiante di remote leggende di cui il popolo va fiero e che sono tradizioni che hanno radici profonde nella generosa razza abruzzese, adusa a conservare e tramandare usi, dialetti, canti e riti. GIUSEPPE CATANIA

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