Ai marosi che genera pensieri d’inverno, alle lingue
di rena sottile, coltri emerse delle sirene, ai pesci
che senza marea guizzano in breve spazio, a frotte.
All’aria che tutti involge e tutto per suo capriccio muta,
in un’estate che volge dove la vita riprenderà sua opera
e fatica, agli uomini che ubriachi di ore serali insonni
ancor vanno, da casa e albergo, al passeggio, ai ristori.
A me che in mare onde e alghe inanellate ho d’intorno,
ora che corto è il fiato per esplorare il fondo in apnea,
ai mitili preda dei chelodati granchi color di sabbia
dedico gesti stanchi, divaganti ore. Come alga su rena
qui poso il mio ingombro non pago di sale e di voglia.
All’abitato che in alto con suo orizzonte mare a fronte
immutato resta, rivolgo guardature consuete e respiri.
Del cuore che pulsa per sua ratio gli ardori rimpiango,
i patimenti dimentico.
Ora che gente lasciata o perduta
mi indirizza a mirare l’eterno, preda io resto del giorno.
A Za’ Mascia, sua distrazione qui chiedo o indulgenza.
Giuseppe Franco Pollutri, Vasto nel settembre 2015
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