Tutti
conoscono i confini di Vasto: torrente Buonanotte, vallone del Maltempo, fiume
Sinello. Meno conosciuta (ma non per questo ignorata) la demarcazione, a
ovest, tra i corsi superiori di
Buonanotte e Maltempo: parlo del cosiddetto «lᴈmmәtә dә la Pəlᴈrt∫ə» (in dialetto vastese, lᴈmmәtә designa sì un limite; un limite,
però, segnato da un terrazzamento, da una scarpata, da un declivio). Non so
quanti vastesi sappiano “leggere” sul campo l’estensione territoriale della
città: 71,35 kmq
(la terza nella provincia dopo Atessa [110,98 kmq] e Palena [93,63 kmq]). Rappresenta comunque una ragguardevole superficie (ma non tra le maggiori. La 27a in Abruzzo). A mo’ di esempio valgano due opposti riferimenti: è il doppio del territorio di Pescara (33 kmq), ma circa 1/7 di quello dell’Aquila (473,91 kmq). Importanti sono i suoi quasi 17 km lineari di costa.
(la terza nella provincia dopo Atessa [110,98 kmq] e Palena [93,63 kmq]). Rappresenta comunque una ragguardevole superficie (ma non tra le maggiori. La 27a in Abruzzo). A mo’ di esempio valgano due opposti riferimenti: è il doppio del territorio di Pescara (33 kmq), ma circa 1/7 di quello dell’Aquila (473,91 kmq). Importanti sono i suoi quasi 17 km lineari di costa.
Ora
che cosa può significare tutto questo? Nient’altro che un fatto: il rapporto che
la città storica intrattiene con il suo territorio. O ancora meglio, la
“percezione” che di esso hanno avuto e hanno i suoi cittadini (una mappa ad hoc del cabreo Tambelli [1808] rende visibili i confini tra Vasto e San
Salvo sottolineando il dialogo che si stabilisce tra i due interlocutori
frontalieri). Il torrente Buonanotte ne scandisce i limiti: a destra Vasto, a
sinistra San Salvo [fig.1]).
Intanto una prima domanda: che cosa intendiamo per «centro storico» di Vasto? Può essere delimitato? E poi un successivo interrogativo: insieme con il «centro storico» esiste anche un «centro antico»? Per intenderci: “centro storico” e “centro antico” sono sinonimi oppure realtà differenti? Se dovessimo dare un’informazione a un amico che cosa diremmo: Piazza Rossetti è centro antico? Piazza Barbacani è centro antico? E dove è allocata la chiesa di S. Francesco di Paola (più nota come “Addolorata”)? E la cappella di S. Maria delle Grazie (o, se si vuole, “Madonna delle Grazie”)? E l’altra cappella di S. Maria di Costantinopoli, a sud dello Stadio Aragona?
Non
abbiamo nemmeno cominciato e già i
problemi si sono accavallati e continuano a
accavallarsi. E allora che cosa diremmo al nostro simpatico amico: che la
cappella di S. Michele Arcangelo è centro storico? Ciò vuol dire che,
ragionando in questi termini, dovremmo considerare tale anche l’altra posta
poco più a sud di S. Antonio Abate? Non è forse vero? E qui va fatta una
piccola precisazione. Talvolta le nozioni apparentemente scolastiche hanno
incommensurabile valore storico e culturale. Perché quando si traccia una
semplice linea su un foglio di mappa di PRG vuol dire che una parte cade in una
zona e quella immediatamente frontaliera in un’altra. Con tutte le implicazioni
di ordine urbanistico che ne derivano. I confini sono importanti. Vogliamo fare
un esempio? Lo stadio di S. Salvo, la caserma dei carabinieri della stessa
città, il vecchio Cimitero e tutta l’edilizia residenziale a nord della via
Circonvallazione sempre di S. Salvo sono stati edificati in territorio di
Vasto. Ma il problema non è questo: si possono sempre raggiungere accordi tra
comuni limitrofi (soprattutto quando si discute un importante piano
intercomunale; nel caso specifico, il cosiddetto piano Kurokawa). Ma la questione vera è
un’altra. Che l’edificazione a alta densità abitativa è stata realizzata senza
autorizzazione del comune di Vasto, in una zona agricola di Prg, e con la
concessione edilizia rilasciata (e non si a quale titolo) dal comune di San
Salvo, e non da quello di Vasto! Ricordo di essere stato l’unico nel 1982, con
l’associazione “Italia Nostra” di cui ero Presidente, a sostenere quella
battaglia. Tutti a dire: non vuoi il Piano Intercomunale! Sei contro il
Progresso! (le solite banalità che si sentono ripetere ancora oggi con il
molto, ma molto, più grave caso di Ombrina mare). Ecco. Quello di cui ho
parlato è stato forse il caso più significativo di assenza di percezione dei
confini. Una divagazione, questa. Ma divagazione fino a un certo punto.
Dobbiamo essere convinti che il famoso segno sulla carta lo dobbiamo tracciare se
vogliamo essere in grado di dare un’informazione a noi stessi e a qualcuno (non
parlo dei confini originari di Vasto nel Quattrocento perché si tratta di un
capitolo di grande complessità non riassumibile in qualche pagina).
A
questo punto, orniamo a parlare del cosiddetto “centro storico” di Vasto. Mi
permetto di ricordare a noi stessi: anche in questo caso siamo sicuri di averne
la “percezione”? Vogliamo provare a vedere se abbiamo in testa qualche buona
idea? Bene! Misuriamoci allora con una straordinaria definizione offerta da
Roberto Pane in un famoso saggio del 1971:
«[…]
il centro antico corrisponde all’ambito della stratificazione archeologica,
mentre il centro storico è la città stessa nel suo insieme, ivi compresi i suoi
agglomerati moderni. In altre parole ciò che è antico è storico ma non tutto
ciò che è storico è antico. Il concetto di antico esclude il nuovo ed il
moderno e definisce il nucleo primitivo, dalle origini […] incluse, ovviamente,
le strutture e le forme medioevali, rinascimentali, barocche e ottocentesche
che sono state configurate dalle successive stratificazioni»[1].
Intanto
l’autore inizia da un presupposto che, in prima battuta, può apparire
paradossale: tutta la città è centro
storico. Anche le “cose” più recenti. E a ragione. Perché nulla più di una
città costruita riesce a fissare sulla terra una storicità in progress che si stratifica e convive con tutto ciò che precede.
E allora se la realtà urbana si presenta in questo modo, che cosa vogliamo
intendere con la locuzione “centro storico”: la città in quanto tale oppure ciò
che è più antico? Non vi sono dubbi: penso che tutti noi parliamo del secondo
aspetto. Sicché (e lo dico a noi tutti) non sarebbe meglio utilizzare il
sintagma nominale “centro antico”? Si tratta forse di un vezzo? Di un gioco di
parole? Niente affatto. Perché se è vero che tutto ciò che è antico è storico è
ancor più vero che tutto ciò che è storico non è necessariamente antico. Di
conseguenza, che cosa intendiamo con questa parola? Roberto Pane lo chiarisce:
« Il concetto di antico esclude il nuovo ed il moderno e definisce il nucleo
primitivo, dalle origini […] incluse, ovviamente, le strutture e le forme
medioevali, rinascimentali, barocche e ottocentesche che sono state configurate
dalle successive stratificazioni». E soprattutto, “centro antico” non va
confuso con l’istituzione “comune”, tenendo conto del fatto che deve trattarsi
di esclusiva aggregazione abitativa “spontanea” intorno a una chiesa. Stando
così le cose, Piazza Rossetti è da intendersi appartenente al centro antico? La
risposta è univoca: no! E piazza Barbacani? La risposta è sempre univoca: sì!
Dunque:
tout se tient direbbero i francesi
con una locuzione molto efficace.
Un’altra
cosa va precisata: gli edifici fuori dal centro antico, anche se antichi, fanno
parte del centro antico? Anche qui la risposta è univoca: per essere centro, le case palaziate devono generarsi intorno a un “qualcosa”. Se questo
“qualcosa” manca non possiamo parlare di centro. Ad esempio, le case a schiera
a nord e a sud di chiesa e convento di S. Francesco di Paola (attuale
Addolorata) non sono “centro antico” (vedi la foto 2).
Tecnicamente, non
possono essere considerate tali perché non si sono spontaneamente generate
intorno al tempio cattolico. Di fatto, sono un “prodotto” di lottizzazione tardosettecentesca opera
di un unico “imprenditore”. Stiamo parlando di edilizia popolare “ante
litteram” con facciata su linea di gronda finanziata dal barone Giuseppe
Tambelli, mastrogiurato nel 1793 (e qui il mastro muratore ricorda perfino in
un’iscrizione la data di conclusione dei lavori [fig. 3]).
Stesso tema va registrato
per gli ottocenteschi comprensori di case tra via delle Croci e via Valloncello
dovuti agli investimenti di Ferdinando Carfagna. Da questo punto di vista
occorre osservare che si tratta di «espansione»
del centro antico allo stesso modo dell’area a nord di via Crispi e via Roma,
effetti di urbanizzazione dovuta ai patrimoni di Giuseppe Antonio Rulli e
Agostino Chinni.
Fin
qui un aspetto. Per l’altro, dobbiamo porre la seguente domanda: esistono
nell’area di Vasto altri «centri antichi». Direi di sì. Sulla base di quanto
sottolineato in precedenza, ne possiamo individuare ben quattro fondati sulle
seguenti ragioni:
1.
perché sorti spontaneamente intorno a chiese rurali;
2.
perché già costruiti nell’Ottocento (un requisito indicato da Pane).
Ci
troviamo di fronte a borghi. Borghi (centri antichi minori) abitati
in case proprie da camparoli (cambarùlә),
contadini arricchiti in ragione dell’affitto di terre pubbliche ottenuto a vario titolo. Questo
l’elenco :
1.
Borgo San Michele;
2.
Borgo Santa Lucia;
3.
Borgo San Lorenzo;
4.
Borgo Pagliarelli.
Il
primo e il secondo risultano documentati nella mappa catastale di Vasto del
1875 conservata nell’ Archivio di Stato di Chieti. Borgo San Michele comincia a
emergere quando il Santo viene acclamato patrono della città nel 1827 con
l’agglomerato grosso modo compreso tra via S. Michele, via Aragona, via
Dordona. Borgo S. Lucia, al contrario, è posto a ridosso dell’omonima cappella,
di fronte a via del Cimitero, compreso tra via Pascoli e via S. Lucia, attraversato
all’interno da via Maiella e via Monte Rosa. Va da sé che si tratta di centri
minori successivamente inglobati dalle «espansioni» del centro antico maggiore.
Il
terzo borgo si costruisce spontaneamente intorno all’omonima chiesa di S.
Lorenzo, ricostruita da Giuseppe Tambelli nel 1786 (nessuna relazione con
l’edificazione dell’abitato). L’insediamento è già attestato nella Pianta topografica dei Boschi Sellotto e
Crivella redatta dall’agrimensore Giacomo Dell’Arciprete nel 1810 e
conservata nell’Archivio di Stato di Chieti.
Il
quarto borgo nasce sempre spontaneamente intorno alla cappella dell’Addolorata (detta S.
Vincenzo Ferreri) costruita nell’Ottocento dai Suriani (avi di Roberto, già
vice sindaco di Vasto scomparso nel 2005). Soprannome antico della famiglia era
li pijarìllә (nel senso di pii), da cui l’ipercorrettivo
toponomastico li Pajarìllә e non li
Pajjarìllә.
Un’ultima
considerazione. Terminus (Termine)
era il Dio guardiano della soglia che vegliava i confini dei poderi e le pietre
terminali. Nessuno poteva andare oltre senza invocarne la protezione. Ma un suo
quasi simile, l’imperatore Adriano (riduttore di confini), non volle più
saperne consentendo a Sant’Agostino (De
civitate Dei IV, 29), secoli più tardi, di affermare che ciò dimostrava
l’ingannevolezza del Dio pagano. Sicché, avremmo dovuto attendere un millennio
e mezzo di anni perché Martin Heidegger potesse ricordare a tutti noi
contemporanei che «La delimitazione non è ciò su cui una cosa si arresta, ma
come i greci riconobbero, è ciò da cui una cosa inizia la sua presenza» .
Ecco
allora la questione: il “centro antico” di Vasto esiste. Mi chiedo: quanti, di
là dall’indistinta nozione di “centro storico”, si saranno accorti della sua
presenza?
neiˈtʃɛli
[1]
R. Pane, Centro storico e centro
antico in AA.VV., Il centro antico di
Napoli, Napoli, Esi, 1971, vol. I, p. 15.
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