Prof. Luigi Murolo |
Caro Peppino,
sto studiando l’argomento da qualche tempo. E come ben saprai, il soggetto non è nuovo: è conosciuto da quasi una trentina d’anni, e cioè da quando Gino Fornaciari pubblicava nel 1988 a Lione i primi risultati della sua ricerca (avrai notato infatti che l’articolo pubblicato sul web è piuttosto datato: risulta addirittura inserito il 20 febbraio 2008). Notizia piuttosto attempata, dunque, ma da richiamare alla memoria, non foss’altro che per sottolineare il
sistematico impegno dello scienziato, assorbito in questi studi fin dal 1987, anno di conclusione dei lavori nella sacrestia di S. Domenico Maggiore a Napoli.
Fatta questa doverosa precisazione diventa importante rimarcare come l’effetto novativo dell’indagine stia non tanto nella storia personale della donna, ma nel fatto che la mummia di Maria d’Aragona (1502-1568) abbia rivelato per la prima volta la presenza di «germi che risalgono al XVI secolo e il cui studio potrebbe chiarire non pochi aspetti della biologia del Treponema, e forse anche l’origine della sifilide venerea, nella “fase epidemica” della malattia».
Nel saggio che ho cominciato a scrivere troverai di certo altre notizie quando sarà pubblicato. La diagnosi paleopatologica di Fornaciari è molto dettagliata. Ma più che l’identificazione di una “gomma luetica al terzo stadio”, ciò che conta è il riconoscimento di «condilomi acuminati, o verruche veneree», vale dire di «papillomi cutanei dei genitali esterni e dell’area perianale, causati da alcuni tipi di papilloma-virus umani (HPV)».
Che cosa significa tutto questo?
Cito ovviamente da un manualetto IST (infezioni sessualmente trasmissibili) della Regione Piemonte, disponibile sul web e utile, per la comprensione a un profano di medicina come me:
«La trasmissione è preferibilmente sessuale. Nella maggior parte dei casi l'’infezione si esaurisce in breve tempo ma talora il virus può rimanere vivo nelle cellule per tempi lunghi. L’infezione può essere trasmessa attraverso rapporti vaginali, anali o anche orali. A volte il virus può essere trasmesso attraverso il prolungato contatto mani-genitali; talvolta la persona stessa si autoinocula l’infezione durante le pratiche di igiene intima: è il caso di chi ha l’infezione a livello genitale e "trasporta" l'infezione a livello anale, dove poi si sviluppano i condilomi. Pertanto la presenza di condilomi anali non sempre è un segno di aver avuto rapporti di tale tipo. In qualche caso c'è la possibilità di trasmissione attraverso oggetti. Può essere anche trasmessa dalla madre al neonato al momento del parto. Le probabilità di trasmissione da un partner infetto ad uno non infetto e la durata della contagiosità non sono conosciute con certezza».
Quasi non bastasse, lo stesso manualetto aggiunge:
«La presenza di ceppi dei virus HPV ad alto rischio di trasformazione (molto rara in questi casi) può favorire la comparsa del cancro del collo dell’utero, dell’ano, della vulva e, forse, del pene».
Scrivo tutto questo, perché la diagnosi di Fornaciari non ammette equivoci. Parla di «papilloma acuminato».
Afferma lo studioso:
«La diagnosi di papilloma acuminato in paleopatologia riveste grande importanza poiché l’HPV 18 gioca un ruolo importante nella patogenesi di alcuni carcinomi del tratto genitale femminile. Inoltre la scoperta, che rappresenta la prima diagnosi molecolare di HPV in tessuti mummificati, può aprire la strada ad ulteriori ricerche sull’evoluzione di questi virus nei secoli».
Donna Maria d’Aragona, pur avendo contratto la sifilide, muore per «papilloma acuminato» (dunque, un cancro) cagionato dalla stessa lue. Il morbo non era noto (come giustamente fai notare, il primo a parlare di “mal franzese” [morbus gallicus] è stato Girolamo Fracastoro nel 1530). Figuriamoci se poteva essere noto questo condiloma, effetto di una trasformazione!
Tecnicamente donna Maria muore di cancro, non di sifilide.
Come ho detto, si tratta di una semplice precisazione.
«La trasmissione è preferibilmente sessuale. Nella maggior parte dei casi l'’infezione si esaurisce in breve tempo ma talora il virus può rimanere vivo nelle cellule per tempi lunghi. L’infezione può essere trasmessa attraverso rapporti vaginali, anali o anche orali. A volte il virus può essere trasmesso attraverso il prolungato contatto mani-genitali; talvolta la persona stessa si autoinocula l’infezione durante le pratiche di igiene intima: è il caso di chi ha l’infezione a livello genitale e "trasporta" l'infezione a livello anale, dove poi si sviluppano i condilomi. Pertanto la presenza di condilomi anali non sempre è un segno di aver avuto rapporti di tale tipo. In qualche caso c'è la possibilità di trasmissione attraverso oggetti. Può essere anche trasmessa dalla madre al neonato al momento del parto. Le probabilità di trasmissione da un partner infetto ad uno non infetto e la durata della contagiosità non sono conosciute con certezza».
Quasi non bastasse, lo stesso manualetto aggiunge:
«La presenza di ceppi dei virus HPV ad alto rischio di trasformazione (molto rara in questi casi) può favorire la comparsa del cancro del collo dell’utero, dell’ano, della vulva e, forse, del pene».
Scrivo tutto questo, perché la diagnosi di Fornaciari non ammette equivoci. Parla di «papilloma acuminato».
Afferma lo studioso:
«La diagnosi di papilloma acuminato in paleopatologia riveste grande importanza poiché l’HPV 18 gioca un ruolo importante nella patogenesi di alcuni carcinomi del tratto genitale femminile. Inoltre la scoperta, che rappresenta la prima diagnosi molecolare di HPV in tessuti mummificati, può aprire la strada ad ulteriori ricerche sull’evoluzione di questi virus nei secoli».
Donna Maria d’Aragona, pur avendo contratto la sifilide, muore per «papilloma acuminato» (dunque, un cancro) cagionato dalla stessa lue. Il morbo non era noto (come giustamente fai notare, il primo a parlare di “mal franzese” [morbus gallicus] è stato Girolamo Fracastoro nel 1530). Figuriamoci se poteva essere noto questo condiloma, effetto di una trasformazione!
Tecnicamente donna Maria muore di cancro, non di sifilide.
Come ho detto, si tratta di una semplice precisazione.
Aggiungo solo un elemento: la marchesa del Vasto, insieme con Giulia Gonzaga e Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, mai di Vasto (anzi, voglio ricordare a me stesso che per molto tempo l’arca dell’Aragona è stata confusa con quella della Colonna), non è mai citata in quello splendido diario gossiparo del tempo (letto per letto, prestazione per prestazione) dal titolo Le dame galanti di cui è autore il sire di Brantôme (lo avrai avuto di certo tra le mani, e ti sarai reso conto di ciò che afferma). E poi quante saranno state affette dallo stesso male e non vi sono state mummie a testimoniarlo.
Non lo stesso si può dire di Alfonso d’Avalos(1502-1546), noto corteggiatore di gonnelle e, soprattutto, guerriero aduso a un particolare tipo di riposo. Con tutte le disastrose conseguenze regalate alla consorte 24 anni dopo.
Non so, penso che tali semplici precisazioni possano risultare utili.
Non lo stesso si può dire di Alfonso d’Avalos(1502-1546), noto corteggiatore di gonnelle e, soprattutto, guerriero aduso a un particolare tipo di riposo. Con tutte le disastrose conseguenze regalate alla consorte 24 anni dopo.
Non so, penso che tali semplici precisazioni possano risultare utili.
Un cordiale saluto da
Luigi Murolo
Luigi Murolo
1 commento:
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