di Lino Spadaccini
Tutto pronto per la due giorni di festa in onore di S. Maria di Pennaluce,
con un occhio rivolto al meteo di domani che sembra riservare condizioni
favorevoli per il regolare svolgimento della processione in mare.
Questo pomeriggio, con inizio fissato alle ore 15,30, dalla chiesa di S.
Paolo Apostolo muoverà la processione per riportare la statua di S. Maria di Pennaluce
nella propria chiesa sul promontorio di Punta Penna, mentre domenica mattina proseguiranno
i festeggiamenti con la suggestiva processione in mare.
“Sopra una bella collina, a quattro
miglia da Vasto”, scriveva Antonio De Nino, “sorge la chiesa della
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Madonna della Penna. Appiè della collina battono
le acque dell’Adriatico. La festa di questa Madonna si celebra tra aprile e
maggio: bande musicali, spari di mortaletti e processione. La statua della
Madonna si porta processionalmente in riva al mare. Un grosso battello aspetta
la regina dei Cieli. Grande emozione, quando la Madonna entra nel battello coi
preti e coi vice preti, cioè coi procuratori della festa. I marinai remano di
cuore verso Pescara; e il movimento ondulatorio del battello produce
un’illusione potentissima negli spettatori, cui la Madonna sembra persona viva”.
Sorta intorno al 1500 sulle rovine dell’antica città di Pennaluce, la
chiesa della Madonna della Penna è divenuta nel corso degli anni metà di
pellegrinaggi di devoti vastesi che accorrono numerosi all’annuale festa che si
rinnova nel mese di maggio.
Tra il 1676 ed il 1689 la chiesa venne restaurata dal Marchese Diego
d’Avalos e Papa Innocenzo XI concesse l’indulgenza plenaria a chi la visitasse
nel lunedì in albis.
Così il Marchesani descriveva la chiesa nella Storia di Vasto: “…Muraglia quadrilatera più larga che alta,
orlata superiormente da archetti e da triangoli a fabbrica, ne forma il
meridional prospetto. Tre aperture vi sono; la media, priva d’imposte,
introduce a stretto atrio coverto, dal quale per basso uscio si penetra in
chiesa. Unica è la nave, il di cui fondo, sormontato da cupola tondeggiante è
vestita di mattoni colorati, resta diviso per mezzo di lapidee balaustre. In
nicchia al muro dell’altra è collocata statuetta della Vergine col Bambino in
braccio. Vedesi pinto accanto all’altare lo stemma della casa d’Avalos. A
destra ed a sinistra della navetta, sono due statuette parimente in nicchie, e
dal muro pende grosso Crocifisso di legno, lavorato da un tal Santoro nel 1744.
La porticina sinistra del mentovato muro meridionale apre l’ingresso a
corridojo crollato per gran porzione, il quale serve di stalla, e che cingendo
l’edificio della chiesolina termina nell’abituro dell’eremita. Due piani di
poche, anguste e cadenti celle formano la casetta assegnata all’eremita: in
questa entrasi per la terza porticina. La piccola campana pende da murello
elevato sul canto sinistro della navetta”.
La facciata nuova con porticato venne realizzata nel 1889 su progetto del
vastese Francesco Benedetti.
Un tempo la settimana precedente la festa, la statua della Madonna veniva
portata processionalmente a spalla da robusti contadini, fino alla chiesa di
San Pietro prima, ed a quella di Sant’Antonio di Padova poi, preceduta dalle
contadinelle, che portavano sulla fronte corone di viole, e da pellegrini con
le sacre insegne in testa. Solo da qualche anno, la statua della Madonna viene
portata presso la nuova chiesa parrocchiale di San Paolo Apostolo.
Il giorno della festa la processione in mare si svolgeva
sulle paranze. Molto bella è la descrizione del solenne imbarco, fatta dal
poeta e pittore vastese Carlo Palmili: «Le
barche, con le vele rosse, bianche, arancione, si gonfiano e si sgonfiano
nell’avvicinarsi alla riva. Salire sulla barca non è facile. I marinai sono
presi dalla fretta. Si caricano sulle spalle donne, uomini e bambini e li
trasportano sulle barche. Chi denuda le gambe, chi si stringe al collo del
marinaio per timore di cadere nell’acqua; chi ride idiotamente e rinunzia a
salire a bordo. La scena si ripete fino a che non viene imbarcata la Madonna,
che viene deposta vicino all’albero della barca. La barca che reca la Vergine è
senza vela: essa viene rimorchiata dalle altre barche. Sull’albero, in segno di
distinzione, è tesa una fune con infinite banderuole, fra il suono della banda
e grida osannanti dei fedeli».
L’origine
della processione in mare è da ricondursi probabilmente al ricordo di una
leggenda tramandata dai marinai, che parla del trafugamento della statua della
Madonna da parte dei Turchi, poi ritrovata in chiesa, mentre la loro barca
andava a fondo, e del suono di una campana, adagiata sul fondo del mare, che si
ode suonare il lunedì dopo Pasqua. Questa leggenda è
ricordata molto bene in una poesia scritta da Rosa Marcantonio, pubblicata
negli anni ’50 sul periodico Histonium
diretto da Espedito Ferrara:
Leggenda di Punta Penna
Così narrano i vecchi marinai:
Vennero i Turchi e alla chiesetta nostra
Involaron la statua prodigiosa
Della Vergine Santa. Era di Pasqua
Il dì seguente. I saraceni ladri
Tolsero su dal tetto la campana
E rifuggiron per la via del mare.
Vogavan lesti sopra l’acque nostre
Quando videro alzarsi sopra loro
Un vapor bianco e ritta sopra quello
La statua di Maria. Ella i suoi figli
Non volle lasciar per gl’infedeli crudi
E con gli angeli suoi torna alla chiesa.
Raggia la nube lume non terreno,
L’acqua si ferma dove passa Lei
Tremula, riverente, impallidita…
Sbigottirono i Turchi alto levando
Le roche voci e di vendetta in tema
La pia campana ascosero nel mare.
Ora, al dì dopo Pasqua, si solleva
Dal fondo mar la tinnula campana
Per ricordare agli uomini il prodigio.
E l’acqua che mirò passar Maria,
Commossa ancor tanto avvenimento,
Impallidisce e t’indica la via.
Un
paesaggio d'incanto come quello di Punta Penna, soprattutto prima della
costruzione del Porto, quando c'era ancora "lu scojje spaccate", ha
stimolato i versi di molti poeti locali. Seppur meno conosciuta della
precedente, merita di essere riproposta una vecchia poesia scritta da Ermindo
Colangelo di Pollutri. Risalente al 1911, quando il maestro pollutrese
insegnava nelle scuole di Vasto, i versi decantano Punta Penna con i suoi
scogli e il suo splendido mare:
Punta
Penna
Vecchi
Titani, de le vostre lotte
col Ciel
Cadder qui l'armi: (de l'orrendo
tonfo non
forse ancor per le marine
l'eco rimbomba?)
scogli
immani che dan le creste ai venti,
rocce che
san la calma ed il naufragio,
seni e
caverne rumorose, eccelsi
picchi. Gli scogli
precipiti
sull'onda come folli
demoni
scatenati a la rovina
pender
vedi, sinistri, minacciando
un cataclisma!
Tutto
intorno è silenzio; lene l'onda
ai mostri
lambe i fianchi; un rifiorire
bianco di
sali li corona e luccica
al sol di maggio.
Sul mar le
vele rosse e bianche e gialle;
fra i
sassi, a riva, lento uno sciacquio,
fra
scoglio e scoglio un defluire roco
d'acqua che scherza.
Nel fondo
de la cupa onda un viluppo
di cose
vive: un popolo di granchi
di
conchigliette di meduse e valve
iridescenti.
Le alghe
in misteriosi avvolgimenti
di vita
fan foreste, e su la grassa
preda
bramosi allungano i tentacoli
viscidi i
polpi.
Vecchia
Buca che dormi in fondo al mare
qui tutto
è bello, tutto è grande, tutto
richiama
la tua degna gloria antica
in sogno nuovo!
O bello al
sole vasto pian giocondo,
o dolce
seno in cui come gazzelle
pel dirupo
clivio van gioiose
le marinare…
Salvete!
Poco lungi Istonio nuova
al ciel le
torri, per il mondo i torti,
nei cuor
gli sguardi de le sue fanciulle
lancia e
sorride!
Sorride
all'avvenire e lo prepara;
e già sul
pian di Punta Penna, auspicio,
arra
sicura fra la industria gente,
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