martedì 13 gennaio 2015

VITTORIA COLONNA E MICHELANGELO BUONARROTI: amori e affinità spirituali (terza e ultima puntata)

LA MOSTRA A PALAZZO D'AVALOS FINO AL 15 FEBBRAIO



di GIUSEPPE CATANIA
Puntata 3/3

Per ben dieci anni Vittoria e Michelangelo si scrissero versi e lettere e lui le fece dono di sue opere, ma la donna,  apertamente, non mostrò di fare una qualche dedica all'uomo, forse al genio. Il contenuto di alcune lettere o versi rivelano il chiaro turbamento della "donna" anche se l’indole di lei, ha vocazione di silenzioso abbandono. Non così per Michelangelo che le dedicò molti versi, non nascondendo l'influsso passionale che ella imprimeva alla opera di scultore e pittore.
Michelangelo paragona Vittoria ad una pietra che l’artista si proponeva di
modellare per trarne una statua dalla materia grezza; così, infatti, la donna sembra influire nell'animo dello scultore che, però, non riesce a trovare la forza di trarla a sé.
Non è di difficile interpretazione questo sonetto allusivo scritto da Michelangelo, e tal proposito.
Non ha l'ottimo artista alcun concetto
ch'un marmo solo in sè non circoscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all'intelletto.
Il mal ch'io fuggo, e 'l ben ch'io mi prometto,
in te, donna leggiadra, altera e diva,
tal si nasconde,e perch'io più non viva,
contraria ho l'arte al disiato effetto.
Amor dunque non ha, nè tua beltate
o durezza o fortuna o gran disdegno,
del mio mal colpa, o mio destino o sorte;
se dentro del tuo cor morte e pietate
porti in un tempo, e che'il mio basso ingegno
non sappia, ardendo, trarne altro che morte.

 "Michelangelo l'amò e dapprincipio avrebbe voluto possederla; ma lei non gli ricambiava uguale sentimento, perchè lo ammirava sopra ogni altro, ma non lo amava". A tali conclusioni è giunto, di ricerca in ricerca, il prof. Romeo De Maio, sostenendo però; "E perciò la loro amicizia,ancorché fruttuosa per l'uno e per l'altro fu tanto intensa quanto intimamente travagliata. Una amorosa amicizia, all'interno della quale lei e lui molto si amarono reciprocamente, restando tuttavia autonomi". Ma per Michelangelo resta sempre "lo strazio dell'essere tragico" non corrisposto da amorosi sensi, pur se, spesso, si dichiara convinto di raggiungere la "salda consapevolezza di essere sulla via della luce".
Buonarroti dedicava alla donna dei suoi sogni opere da lui create sulle quali Vittoria Colonna traeva ispirazione per comporre versi,come quelli
A Gesù Crocifisso
Veggio in croce il Signor nudo e disteso,
Coi piedi e man chiodate e 'l destro lato
Aperto, e 'l capo sol di spine ornato,
E da vil gente d'ogni parte offeso; 97
Avendo sulle spalle il grave peso
Delle colpe del mondo; e 'n tale stato
La morte e l'avversario stuolo irato
Vincer solo col cor d'amore acceso…”

Perciò Michelangelo non cessava di scrivere per lei versi tutti traboccanti di speranza, nel desiderio di poter appagare la sua bramosia, quasi invocando da lei aiuto per superare i momenti di abbandono per il non corrisposto amore, cercando invano di liberarsi dalla passione, ed elevarsi a Dio:
Ora in sul destro, ora in sul manco piede
variando, cerco della mia salute.
Fra ’l vizio e la virtute
il cor confuso mi travaglia e stanca,
come chi ’l ciel non vede, 
che per ogni sentier si perde e manca.
Porgo la carta bianca
a’ vostri sacri inchiostri,
c’amor mi sganni e pietà ’l ver ne scriva:
che l’alma, da sé franca,
non pieghi agli error nostri
mie breve resto, e che men cieco viva.
Chieggio a voi, alta e diva
donna, saper se ’n ciel men grado tiene
l’umil peccato che ’l superchio bene.  (8) 
NOTA 8
"Segnata a dito dai critici insieme agli altri "Petrarchisti" del Cinquecento, si è sentita  accusare con loro dì “impietosità", di "imitazione pedissequa", di facile fantasia, di debolezza creatrice. S'è arrivati a un momento in cui pareva che nessun altro vanto potesse ormai restarle, se non quello peraltro negletto,delle "alte virtù"(Le Immortali – op. ci t.)
Ma la Marchesa scriveva anch'essa versi, preferendo, però, non avere consolazione nelle braccia del robusto suo spasimante, bensì rannicchiarsi nelle gramaglie pellegrine lasciate ad intristire all'ombra discreta dei chiostri, in perenne,vana attesa. Quell'attesa cui era stata abituata, insieme alle silenziose sofferenze,dalle lunghe assenze dello sposo e poi dalla vedovanza; adusa e contemplare,nel la preghiera, i malinconici infiammati tramonti a Ischia o a vegliare  le struggenti solitarie notti romane.
A lasciar trascorrere gli anni tra le lettere ed i versi, in romitaggi pensierosi, fra il turbinio di indefiniti rimpianti; in un lungo colloquio con se stessa e con gli altri, vegliata, fino all'ultimo anelito, dal suo devoto ammiratore Michelangelo che, tre anni dopo, ne piangeva ancora la morte, imprimendone i lineamenti nella Madonna del Giudizio Universale, abbozzandoli anche nella Pietà del Rondanini, nella prima versione del Cristo (9).
NOTA 9 
"Mentre fuori d’Italia, escluse poche eccezioni, la personalità femminile resta insignificante, quanto meno fino all'avvento della Riforma, la donna italiana rivaleggiò con l'uomo per individualismo, intel1igenza e coraggio. A sostegno di tale tesi l ' autore rimanda ad alcuni precedenti capitoli e cita qualche nome: le poetesse Cassandra Fedele e Vittoria Colonna,Caterina Sforza le più celebre "virago" dell'epoca; Isabella Gonzaga, Marchesa di Mantova e Clarissa Strozzi".
(Le Cortigiane nell' Italia del Rinascimento- Paul Larivallle- Hachette 1875 -Ed.Rizzoli-1983).

Riferimenti che bene si addicevano alla vedova che aveva deciso, dopo la perdita dello sposo, di prendere il velo. Una tale vocazione, però venne allontanata prudentemente dal parere negativo del Pontefice che le considerava "impetu potius sui doloris quam maturo consilio".
“D'intorno ad un portal velo consparte quasi lume cui serra un chiaro vetro" scriveva Vittoria Colonna, restandosene impietosamente muta, mentre Michelangelo continuava ad immalinconirsi per lei, mai riuscendo a reprimere la solitudine che gli ruggiva dentro per la donna verso la quale aveva, inutilmente nutrito tutte le speranze e le illusioni del mondo: arte, amicizia, poesia, amore, vita: "una viva figura” che eleva l’anima a Dio.
Vittoria Colonna, invece, continuava a rimanere nel ricordo dello sposo perduto:
“A che sempre chiamar la sorda morte,
E far pietoso il ciel col pianger mio,
Se troncar l'ali io stessa al gran desio
Posso, e sgombrare il duol dal petto forte?
Meglio assai fora che alle chiuse porte
Chieder mercede, aprirne una all'oblio,
Chiuder l'altra al pensier: così poss'io
Vincer me insieme e la nimica sorte.
Gli schermi tutti e quante vie discopre
L'anima, per uscir dal carcer cieco
Di sì grave dolor, tentato ho invano.
Riman solo a provar, se vive meco
Tanta ragion, ch'io volga questo insano
Desir fuor di speranza a miglior opre.

Vittoria Colonna, infatti, si era compromessa con i suoi versi agli occhi del mondo, degli intellettuali del suo tempo. Non poteva cancellare, corrispondendo all'amore sensuale di Michelangelo, la completa dedizione poetica al suo "bel sole". Significava la sconfitta dell'arte sulla donna (10).
NOTA 10 Vittoria Colonna fu la sola donna vissuta nella prima metà del XVI sec. a non cadere nell'oblio,
" Non tanto l’illibate virtù, quanto i dolci versi, ai quali seppe affidare ad un tempo e il dolore e il nome” (v. Erasmo Stanislao Mariotti - Il Castello di Ischia in Vastophil 1984).
Di Vittoria Colonna scrissero Pietro Aretino, Ludovico Ariosto, Bernardo Tasso che non manca di lodare, nel suo epistolario, le virtù letterarie  della donna. Il Cardinale Pietro Bembo, ammiratore delle doti letterarie di Vittoria Colonna, tra  l’altro scrisse:
"Caro e sovran de l'età nostra onore 
Donna d'ogni virtude intero esempio,
nel cui bel petto come in sacro tempio,
arde la fiamma del pudico amore..."
Il Bembo era stato più volte ospite di Vittoria Colonna nel suo salotto letterario a Ischia e, in una lettera del 25 luglio 1532, sottolineava di "poterla ancora venire a vedere costà - che è il maggior desiderio che abbia"; e ancora, il 10 ottobre 1533 accennando alla molto illustre Marchesa di Pescara, non manca di rilevare di lei
"onore e del suo sesso e del nostro secolo, e cui molto debbo".

E questo, forse, Michelangelo lo avverti all’ultimo, quando comprese, tardi, d 'essere sulla via della "luce", cioè quando aprì gli occhi che erano stati accecati dall'amore viscerale per Vittoria.

 GIUSEPPE CATANIA
Michelangelo





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