di GIUSEPPE CATANIA
Pochi Santi hanno avuto la popolarità di S. Antonio
Abate, alle cui doti taumaturgiche la gente ricorre per
invocare la salute e la liberazione di quella afflizione nota
come il "fuoco di S. Antonio". Il "fuoco", infatti, è legato
alla tradizione leggendaria del santo abate. Narra una
leggenda antica che, una volta, nel mondo non c'era fuoco
e gli uomini avevano freddo. Disperati si recarono nel
deserto per invocare l'aiuto del santo. Seguito dal maialino
S. Antonio si recò all'inferno, ma i diavoli, subito lo
riconobbero, gli rubarono il maialino e non lo fecero entrare.
Ma l'animale, scorrazzando dappertutto, combinò
tanti guai che i diavoli richiamarono il santo perché se
lo riprendesse. L'Abate con il bastone di ferula, ritornò
per riprendersi il maialino, ma lungo il viaggio di ritorno,
fece prendere fuoco al suo bastone e, tornato in superficie,
accese una catasta di legna. E fu così che il fuoco
riscaldò la terra.
IL FUOCO.A ricordo di questa leggenda si accendono
grandi
falò, attorno ai quali si canta e si mangia. Qualcuno
tornando a casa, porta via qualche tizzone ancora ardente,
o un po' di cenere quale preziosa reliquia. L'usanza
di accendere i fuochi nella notte del 17 gennaio, si perde
nella memoria del tempo. Anticamente si compiva questo
rito, non solo per onorare il santo, ma anche per invocarne
l'aiuto per la salvezza degli animali impiegati
nella lavorazione dei campi e per gli animali da cortile,
indispensabili per l'alimentazione dei contadini. La legna
raccolta per accendere i falò è quella residua dalle
potatura invernale, mentre è usanza diffusa dalle nostre
parti, procedere all'uccisione dei maiali e mangiarne la
salsiccia fresca. È la vigilia del Carnevale.
LU SAND'ANDUNIE. Le contrade risuonano di canti.
Sono i gruppi di suonatori che girano per le contrade
guidate da un uomo mascherato con la barba bianca
lunga e saio da penitente che regge una croce, mentre
l'altro e vestito di rosso. L'uno fa la parte del santo,
l'altro del diavolo tentatore. Al termine del percorso,
intrecciando danze e mottetti composti per celebrare
la sagra del santo, è sempre l'Abate ad avere le vittoria
sul suo tradizionale avversarlo. "Lu demonio scurtuquate
/ ni lassav'a ij pritanne / Sand'Andonie dispirate
/ pi purcille si li scanne / si li spezz' si li sale, / e cci
fa bbon Carnivale."
È usanza donare alle allegre compagnie di cantanti
che vanno portando le storie di S. Antonio e che narrano
le imprese del santo assediato dalle continue tentazioni
del diavolo, prodotti freschi appena confezionati, dopo
l'uccisione del maiale, invariabilmente le strofa finale,
con accompagnamento di violino e chitarra, che, appunto,
dice: "S'aije dette 'sta sturielle / è pi ress'arihalate /
ficatazze, custatelle, / saggicciutte e sangunate: / chi mi
da lu porche sane / sci bbindatte chili mane. / Nghi sta
néuve chi vi porte / è firnute lu quandaje, / arrapéteme
'ssa porte / ca mi vuije ariscallaije / ca' stu fredde malidatte
/ mi fa' sbatte li hanghatte".
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