venerdì 16 gennaio 2015

Sant'Antonio Abate tra fede leggenda e tradizioni

 di GIUSEPPE CATANIA

Pochi Santi hanno avuto la popolarità di S. Antonio Abate, alle cui doti taumaturgiche la gente ricorre per invocare la salute e la liberazione di quella afflizione nota come il "fuoco di S. Antonio". Il "fuoco", infatti, è legato alla tradizione leggendaria del santo abate. Narra una leggenda antica che, una volta, nel mondo non c'era fuoco e gli uomini avevano freddo. Disperati si recarono nel deserto per invocare l'aiuto del santo. Seguito dal maialino S. Antonio si recò all'inferno, ma i diavoli, subito lo riconobbero, gli rubarono il maialino e non lo fecero entrare. Ma l'animale, scorrazzando dappertutto, combinò tanti guai che i diavoli richiamarono il santo perché se lo riprendesse. L'Abate con il bastone di ferula, ritornò per riprendersi il maialino, ma lungo il viaggio di ritorno, fece prendere fuoco al suo bastone e, tornato in superficie, accese una catasta di legna. E fu così che il fuoco riscaldò la terra.

 IL FUOCO.A ricordo di questa leggenda si accendono grandi
falò, attorno ai quali si canta e si mangia. Qualcuno tornando a casa, porta via qualche tizzone ancora ardente, o un po' di cenere quale preziosa reliquia. L'usanza di accendere i fuochi nella notte del 17 gennaio, si perde nella memoria del tempo. Anticamente si compiva questo rito, non solo per onorare il santo, ma anche per invocarne l'aiuto per la salvezza degli animali impiegati nella lavorazione dei campi e per gli animali da cortile, indispensabili per l'alimentazione dei contadini. La legna raccolta per accendere i falò è quella residua dalle potatura invernale, mentre è usanza diffusa dalle nostre parti, procedere all'uccisione dei maiali e mangiarne la salsiccia fresca. È la vigilia del Carnevale.

 LU SAND'ANDUNIE. Le contrade risuonano di canti. Sono i gruppi di suonatori che girano per le contrade guidate da un uomo mascherato con la barba bianca lunga e saio da penitente che regge una croce, mentre l'altro e vestito di rosso. L'uno fa la parte del santo, l'altro del diavolo tentatore. Al termine del percorso, intrecciando danze e mottetti composti per celebrare la sagra del santo, è sempre l'Abate ad avere le vittoria sul suo tradizionale avversarlo. "Lu demonio scurtuquate / ni lassav'a ij pritanne / Sand'Andonie dispirate / pi purcille si li scanne / si li spezz' si li sale, / e cci fa bbon Carnivale." È usanza donare alle allegre compagnie di cantanti che vanno portando le storie di S. Antonio e che narrano le imprese del santo assediato dalle continue tentazioni del diavolo, prodotti freschi appena confezionati, dopo l'uccisione del maiale, invariabilmente le strofa finale, con accompagnamento di violino e chitarra, che, appunto, dice: "S'aije dette 'sta sturielle / è pi ress'arihalate / ficatazze, custatelle, / saggicciutte e sangunate: / chi mi da lu porche sane / sci bbindatte chili mane. / Nghi sta néuve chi vi porte / è firnute lu quandaje, / arrapéteme 'ssa porte / ca mi vuije ariscallaije / ca' stu fredde malidatte / mi fa' sbatte li hanghatte".

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