domenica 22 dicembre 2013

Giuseppe Franco Pollutri e il suo primo Natale del 1943

La vita e i sentimenti di 70 anni fa in questa poesia-ricordo di Pino Pollutri: "Non so se il frate a Stella Maris allestì presepi, accese ceri e intonò canti, mai saprò con qual voce invitò gli astanti ad un “Adeste fideles, ... laeti, triunphantes”...
Poesia

                                “I morti, i vinti, chi li desterà?”
                                                           (Alfonso Gatto)

Del primo dei miei settanta, Natale del ‘43
Non so quel che urlarono - scacciandoci
-  e perché, forse “Fascisti”...,
                                                    del resto
come i tanti vastesi,
italiani come altri noi si era
in quegli anni, fiduciosi nell’idea ‘sociale’,
rigorosa e fervida di opere, identitaria
con fondamenta nella storia e per cultura.
Retorica forse nelle parole e “dal balcone”,
presuntuosa certo per la numerata “Era”,
delle libertà altrui violatori i Gerarchi
e gli accoliti del Regime ...,
                                      quel che noi, la gente,
 di certo non eravamo nei nostri atti mai.

Fu mia, nei primi mesi di vita, ferita viva
e straniante, di mia madre il dramma
di  sfollata, lo scoramento dell’esser sola
nella cura della sopravvivenza mia d’infante,
e di mio fratello il pianto le fu duro assillo.
Lì, nel vecchio magazzino, buio
e privo d’una guardatura dalle finestre,
fra il cordame delle paranze e le reti,
le incerate e carminiate vele,
con sopra un “vegetale” a giaciglio,
trascorremmo lunghi giorni e notti, allora,
violati nella nostra vita dai sopraggiunti,
contro i tedeschi combattenti,  anglo-alleati.
Quelli della Liberazione” li proclamarono
e così fu scritto su propagandistici  manifesti.
Erano lì per odio dilagante e reciproco,
crudelmente portato fra uomini quotidiani
qual fosse la divisa, l’eloquio e il proprio fine.
“Per ristabile l’ordine” - così ne tempi
si proclama e allor si disse - “la democrazia!”.

Avvenne in quell’inverno, come sempre
fra gli uomini accade, nel  crudo “a chi tocca,
tocca”, piangere e fuggire, e nel cuore ricevi
la ferita e doverlo dimenticare, e poi tacere.
Mio padre  emigrato per lavoro altrove,
lì poi perché “italiano” confinato, a lungo
non ebbe di sua famiglia certezza di vita,
conforto alcuno o reciproca notizia.

Sulle porte delle stanze nostre restituite,
negli anni e nei decenni poi, inutilmente
ponemmo vernice a strati sulle scritte,
ma “2 Men”, “3 Men” ... pur vi si leggeva,
chiara traccia degli armati che in casa
alla via Dalmazia, di Vasto a la  Stazione,
s’erano da sé dati, violando d’altri la vita
e la dimora, propria ... free accommodation.

Di tutto questo,
                            se io fossi un cantautore
ne farei una ballata di note con parole,
dolente e triste, da ‘recitarsi’ d’inverno,
pacificati oggi, seppur mai noi lo siamo.
Resta in me oggi un trasferito ricordo,
una mestizia nel cuore mai consolata
o assolta, e che oggi a manifestarla
c’è chi ti guarda in strano modo, e ... :
“Non fa storia” -  alzando l’indice ti dice
- giacché la dolenza dell’ordinaria gente
citazione nei libri non merita - si sa -
né nella scuola de “i vincitori” la lezione.

Ci dissero urlando non so cosa,
magari un Go out, ...let’s go, petulante
soltanto ma da spavento per l’arma
imbracciata e mostrata dritta,
                                          ... forse: Fascisti!
da scacciare comunque, come cani,
“per fortuna – si disse poi
-  non fummo uccisi”, ma “soltanto”
nell’animo vilipesi e nel vivere sfollati.

Natale venne anche allora,
per me il primo,
fu nel ’43. 
                  Non so se il frate a Stella Maris
allestì presepi, accese ceri e intonò canti,
mai saprò con qual voce invitò gli astanti
ad un “Adeste fideles, ... laeti, triunphantes”,
quando, come il “pargolo divino”,  noi,
i privati a forza di dimora, fummo
posti a dimorare ... “al freddo e al gelo”.

Di quella notte resa ancor più buia
non posso averne una mia memoria,
se non, per un mai cessato imprinting
nella mente: il rumoreggiare forte,
a notte, delle onde lì presso il mare,
ma il cuore ancora per allora duole
per questa vicenda nostra pur ‘minima’,
priva d’immagini d’archivio, ‘avulsa’
dalla Storia, “di quella che conta”,
ma crudamente nella carne dei miei cari
allor vissuta, e nei settant’anni  miei
poi venuti mai sepolta o dimenticata,
nelle parole qui e oggi ancor sofferta.
***
L’odio dell’uomo portato all’altro
uomo, non è, non porta, Liberazione!

Giuseppe Franco Pollutri,  
nel Natale del 2013

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