venerdì 27 dicembre 2013

ANTONIO BINI ALLA RISCOPERTA DELLE SONORITA' PERDUTE DELL'ABRUZZO PASTORALE

UN LIBRO ED UNA MOSTRA SUGLI ZAMPOGNARI D'ABRUZZO
Antonio Bini, vastese della Marina, ha pubblicato in questi giorni il libro “Li chiamavano pifferari: zampognari mito dell’Abruzzo pastorale” ed ha curato l'interessante mostra presso Casa D'Annunzio a Pescara dal titolo "Nell'anima l'eco delle zampogne" che resterà aperta fino al 26 gennaio. 
Conoscendo altri lavori di Bini, su argomenti molto diversi, abbiamo chiesto direttamente  a lui i motivi di questa scelta. 

Antonio, è vero che il libro nasce da due foto della tua infanzia in via Spalato a Vasto Marina?
Qualche anno fa ritrovai tra le carte di mio padre due foto in cui ero stato ritratto mentre ero un bambino di pochi mesi incuriosito dal suono della zampogna
e della ciaramella. Abitavo allora in via Spalato a Vasto Marina. A mio padre piaceva fotografare e volle evidentemente cogliere quei momenti. In una foto sono ritratto in braccio a mia madre, con gli zampognari in primo piano, nell’altra foto sono tenuto da mia nonna paterna, e dietro gli zampognari compaiono bambini e ragazzi della zona. Il codazzo classico che accompagnava un tempo il passaggio di questi singolari musicisti erranti. Quest’ultima foto, che per ragioni di spazio non compare nel libro, è offerta ai tuoi lettori. Sono immagini che mi hanno permesso di dare una spiegazione alla simpatia con cui ho sempre guardato a questi personaggi e alla loro musica. Per quanto non siano antiche foto, si tratta pur sempre di immagini non facilmente reperibili, dalle quali ho iniziato ad approfondire l’argomento, tornando anche alle mie origini.
Zampognari a Vasto Marina (1952, forse settembre) via Spalato: Antonio Bini sull'uscio di casa con la nonna.
Sotto: con la nonna e la mamma alla finestra. (foto Vitantonio Bini, inedite archivio famiglia Bini)

Dalle foto non sembra si tratti di Natale.
Si in effetti non era Natale. Essendo nato sul finire del 1951, era forse giugno 1952, ma più  sicuramente settembre. La loro presenza era certamente da ricondurre alla transumanza. A Vasto Marina le greggi dirette in Puglia prendevano generalmente la spiaggia, facendo sosta. Per giorni le loro tracce rimanevano visibili sulla sabbia per giorni. Ricordo che mio padre acquistava da loro la ricotta. Se c’erano pastori che sapevano suonare era inevitabile che facessero un giro per raccogliere qualche soldo, ma anche cibo, olio e vino, come le pesanti sacche documentano. Occorre ricordare le miserabili condizioni dei pastori. Ancora in quegli anni c’era la prassi di compensare in natura il lavoro dei pastori più giovani.

Erano anni in cui si manifestava in modo evidente il declino della pastorizia e la fine del fenomeno zampognari.
Credo di aver assistito al passaggio delle ultime greggi transumanti all’inizio degli anni sessanta. La Marina era ancora un villaggio, molto diverso dal mare di cemento di oggi. La pastorizia tradizionale si stava definitivamente spegnendo, dopo decenni di declino, sancito dalle leggi del periodo 1861-1871 che ponevano fine alla pascolo forzato in Puglia. La zampogna, che era espressione diffusa del mondo pastorale, da allora conobbe il suo inesorabile declino. Si pensi che in Abruzzo si è passati da punte di 8,5 milioni di pecore ad appena circa 100mila capi di oggi. Questo non impedisce che nell’immaginario collettivo la regione continui ad essere percepita come terra di pastori. Il che non costituisce valore negativo, come forse è avvenuto in passato. Ma questo è un discorso più complesso.

L’altro spunto della tua ricerca, spieghi nella prefazione, è rappresentato da una mostra che si è tenuta in Francia nell’estate 2012.
Si tratta della mostra “Le voyage musicale in Italie di Hector Berlioz”, che si è tenuta nella cittadina natale del grande compositore francese, situata tra Grenoble e Lione. La mostra, sviluppata secondo gli schemi legati alla riproposizione culturale dell’affascinante fenomeno del Grand Tour in Italia, proponeva come sintesi la zampogna e gli zampognari, con particolare riferimento all’Abruzzo, che Berlioz visitò in più occasioni. Si apprende dalla mostra che Berlioz fosse talvolta accompagnato anche da Feliz Mendelsshon. Quelle vecchie foto insieme alla mostra sono state i presupposti del libro e della stessa mostra, promossa dall’Associazione Culturale Zampogne d’Abruzzo, in corso di svolgimento presso la Casa natale di Gabriele d’Annunzio, visitabile fino al 26 gennaio 14. Al direttore artistico dell’Associazione, il maestro Antonello di Matteo, si deve anche l’opera di riappropriazione culturale della composizione per orchestra di Berlioz “Serenade d’un montagnard des Abruzzes” riportata alle originarie sonorità della zampogna e della ciaramella che ispirarono il musicista francese, con eccellenti risultati, molto apprezzati dal pubblico. 

Il Grand Tour di cui lo stesso Berlioz fu espressione in che misura si interessò a questo fenomeno musicale ?
Ai viaggiatori stranieri si deve la stessa possibilità di ricostruire questo fenomeno, in alcuni casi anche attraverso il recupero di partiture di un repertorio musicale andato in gran parte perduto. Il titolo del libro intende per questo richiamare l’etichetta di “Pifferari”, con cui proprio artisti, letterati, poeti e musicisti del Grand Tour definivano gli zampognari. Questo è un paradosso che il libro tende ad evidenziare, quasi confrontando l’indifferenza della cultura locale verso questo fenomeno, che non era solo musicale, è il grande interesse manifestato durante il Grand Tour, soprattutto sotto la spinta del romanticismo ottocentesco.  Fu in particolare a Roma, che l’arrivo dei pastori abruzzesi legato alla novena di Natale, ispirò vaste schiere di artisti e letterati, il cui elenco di nomi potrebbe essere infinito.

Anche in Abruzzo ci sono testimonianze del Grand Tour su questo tema ?
Sono diversi i  riferimenti. Tra l’altro il libro comprende due brevi racconti di viaggiatori pubblicati su periodici inglesi del 1833 e 1835 che fanno ampi cenni all’argomento. Voglio ricordare come la scrittrice inglese Ann Macdonell, che nel 1907 raggiunse Vasto sulle tracce della memoria di Gabriele Rossetti, scrisse come la zampogna utilizzata anche nelle feste popolari e serenate era ancora in uso nel vastese. A proposito di immagini, nel libro è pubblicata una rara foto da studio, realizzata intorno al 1890 da Giuseppe De Guglielmo (Vasto, 1847-1909), allora titolare del premiato “Stabilimento Tipografico d’Istonio”. Di zampognari nel territorio vastese spesso tornava Carlo d’Aloisio da Vasto. Una sua incisione fu scelta da Beatrice Testa (FOTO) per la copertina del suo racconto di viaggio “Abruzzo nel mio cuore”, edito a Napoli nel 1929. 

Per molti versi questo libro è utile per riscoprire un mondo che noi stessi abruzzesi ignoriamo ?
Mi auguro che venga considerata la sottile provocazione diretta a riscoprire questo fenomeno culturale, che d’Annunzio, avido lettore, aveva colto. Dalla mostra francese emerge evidente il fascino che questo mondo continua ad esercitare nella cultura europea, al quale non può continuare a corrispondere l’indifferenza del passato, la trascuratezza nei riguardi del nostro patrimonio culturale, materiale e immateriale. Anche le recenti tesi le quali   riconoscono che S. Alfonso M. de Liguori utilizzò per musicare il suo famoso “Tu scendi dalle stelle” melodie da tempo in uso tra i pastori abruzzesi, meritano considerazione. Ma qui entrano in ballo anche le politiche culturali pubbliche, soprattutto regionali. E il discorso ci porterebbe lontano. Non posso però fare a meno di sottolineare come la mostra in svolgimento in Casa d’Annunzio non si avvalga di contributi pubblici. Come lo stesso libro, peraltro, che sarà presentato il 7 gennaio 2014 a Deliceto, nei Monti Dauni, sede della missione pugliese di S. Alfonso /1744-1746) a servizio spirituale dei pastori transumanti nel Tavoliere.
L'inaugurazione della mostra"Nell'anima l'eco delle zampogne" in casa d'Annunzio a Pescara: in primo piano il curatore Antonio Bini, a lato Lucia Arbace (soprintendente Abruzzo Mibac), Massimiliano Mezzadonna e Antonello di Matteo. SOTTO: un'immagine del pubblico (foto Lucia Ciccarini)

Ricordiamo che Antonio Bini è nato a Vasto nel 1951, è autore di articoli e libri sulla valorizzazione del territorio e del turismo culturale. E’ stato dirigente del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Miur) e della Regione Abruzzo. E’ stato docente a contratto di Sociologia del Turismo presso l’Università degli Studi di Teramo.

NICOLA D'ADAMO 

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