La sopraelevazione di un altro piano del tetto in fondo avrebbe ostruito la vista del mare all'appartamento alle sue spalle |
L'avv. Vittorio Emanuele Russo ci ha inviato copia della sentenza del Consiglio di Stato che dopo 13 anni pone fine alla questione di una sopraelevazione sulla loggia Amblingh della ditta Puccioni, che avrebbe ostruito la veduta del golfo ad un appartamento dei coniugi Carta-d'Attilio. "Dopo ben 13 anni di continue battaglie - dice l'avv. Russo - finalmente giunge a termine una annosa vicenda che risale ai primi anni del 2000. Si tratta della sopraelevazione dell'appartamento di proprietà della Puccioni S. p. A. che veniva posta
a ridosso della casa dei coniugi Carta-D'Attilio, a soli tre metri dal fabbricato, ostruendo completamente tutte le finestre ed il terrazzo. In questi lunghi tredici anni ci siamo dovuti difendere dinanzi al Tribunale Civile di Vasto, al Tribunale
Penale di Vasto, al TAR di Pescara,
alla Corte di Appello de L'Aquila e, da ultimo, per ben due volte, davanti al Consiglio di Stato di Roma. In tutto saranno stati oltre 15 procedimenti giudiziari che hanno visto sempre soccombente la Puccioni S. p. A., quale proprietaria dell'immobile da sopraelevare".
"Ciò che dispiace - conclude l'avv. Russo - è la disparità di trattamento sul piano economico, atteso che la difesa per tutti i procedimenti giudiziari, è stata offerta gratuitamente da questo Studio alla Signora Carta-D'Attilio, pensionata, che ha solo provveduto alle spese vive. I costi della difesa della Puccioni S.p.A., che si è sempre avvalsa di docenti universitari, hanno gravato sulla Società Puccioni".
avv. Vittorio Emanuele Russo |
testo della sentenza
N.
05120/2013REG.PROV.COLL.
N.
06594/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 6594 del 2006, proposto da:
Puccioni S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Maria Bruni, con domicilio eletto presso Alberto M. Bruni in Roma, via G. Carducci, 4;
Puccioni S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Maria Bruni, con domicilio eletto presso Alberto M. Bruni in Roma, via G. Carducci, 4;
contro
D'Attilio Francesca,
rappresentato e difeso dall'avv. Vittorio Emanuele Russo, con domicilio eletto
presso Giuliana Carta in Roma, via Marylin Monroe N. 150; Carta Antonio
Giuseppe;
nei confronti di
Comune Di Vasto;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO
- SEZ. STACCATA DI PESCARA n. 00089/2006, resa tra le parti, concernente
concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i
relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica
del giorno 18 giugno 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli
avvocati Vittorio Emanuele Russo e Alberto Maria Bruni;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con due distinti ricorsi al
TAR Abruzzo, sez. di Pescara,, i coniugi Francesca D’Attilio e Antonio Giuseppe
Carta, proprietari di un fabbricato situato in località Loggia Ambling nella
parte antica del Comune di Vasto, domandavano l’annullamento:
- della concessione edilizia 12
dicembre 2001, n. 304, e successiva concessione edilizia in variante 13
febbraio 2003, n. 462, assentite dal Dirigente del Settore Urbanistica del
Comune di Vasto alla società Puccioni s.p.a. per l’esecuzione dei lavori di
ristrutturazione edilizia di un’unità immobiliare sita in località Loggia
Ambling (adiacente al fabbricato dei ricorrenti) nonché degli atti presupposti
e connessi, tra cui, i delle N.T.A. del P.R.G. vigente nel Comune di Vasto,
nella parte in cui consentono di realizzare l’intervento in questione;
b) il permesso di costruire 17
ottobre 2003, n. 393, e successivo permesso di costruire in variante 2 aprile
2004, n. 33, assentiti per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione del
predetto fabbricato.
I ricorrenti censuravano inoltre,
“in parte qua” le norme del PRG del Comune di Vasto vigente al momento del
rilascio delle concessioni impugnate.
1.1.- A sostegno del primo
gravame, dopo aver premesso che con l’atto impugnato era stata autorizzata la
modifica della sagoma e dell’altezza del fabbricato adiacente con la
realizzazione, mediante sopraelevazione, di un sottotetto posto a poco meno di
tre metri dalla finestra della loro abitazione, hanno dedotto le seguenti
censure:
a) Violazione dei principi generali
che regolano la pianificazione del territorio. Eccesso di potere per
inesistenza dei presupposti e per falsità della causa.
Le norme contenute nelle N.T.A.
del P.R.G. del Comune sono illegittime in quanto, in violazione delle norme che
definiscono gli interventi di ristrutturazione, consentono la ristrutturazione
di fabbricati situati nel centro storico con modifica della sagoma e
dell’altezza e con la creazione di locali sottotetto non abitabili. In
applicazione di tali norme tecniche illegittime è stata consentita nel caso di
specie la realizzazione di un manufatto più alto di m. 3,50.
b) Violazione dell’art. 7 del
D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, e dell’art. 30 della L.R. Abruzzo 12 aprile 1983,
n. 18.
La norma di piano che consente di
realizzare locali sottotetto non abitabili di altezza inferiore a m. 2,70 (art.
64, punto c), comma 3) è illegittima in quanto si consente nella sostanza un
aumento della superficie utile interna.
c) Violazione dell’art. 31, I
comma, lettera d), della L. 5 agosto 1978, n. 457, e dell’art. 30 della L.R.
Abruzzo 12 aprile 1983, n. 18. E’ stata autorizzata la sopraelevazione del
fabbricato preesistente senza rispettare la distanza minima dai confini, che
avrebbe dovuto essere, quanto meno, pari alla metà dell’altezza del nuovo
fabbricato, cioè di almeno 4
metri .
d) Violazione dell’art. 873 del
codice civile e dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444. E’ stata
autorizzata l’apertura di due finestre poste a circa m. 1,50 dalla finestra
della cucina dei ricorrenti.
e) Violazione dell’art. 9 del
D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.
L’art. 56 della N.T.A. è
illegittimo in quanto impone il rispetto di una distanza di 5 metri tra pareti
finestrate. Le opere da realizzare, nella parte in cui comportano nuove
costruzioni, avrebbero dovuto in realtà rispettare le distanze dai confini e
dalle pareti finestrate previste dal D.M. 2 aprile 1968.
I ricorrenti chiedevano altresì
la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti.
1.2.- Nelle more di tale
giudizio, e dopo che con ordinanze collegiali erano state accolte le domande
incidentali di sospensione dei provvedimenti impugnati, il Dirigente del
Settore Urbanistica del Comune di Vasto assentiva alla società Puccioni s.p.a.
permesso di costruire 17 ottobre 2003, n. 393, per l’esecuzione dei lavori di
ristrutturazione del predetto fabbricato.
2.- Con un secondo ricorso, i
coniugi Carta adìvano pertanto il TAR avverso tale atto, deducendo, oltre ai
vizi dedotti con il precedente ricorso, anche la censura di eccesso di potere
per violazione del giudicato, per non avere il Comune tenuto conto del fatto
che con le predette ordinanze cautelari era stata inibita, in sede di
ristrutturazione del fabbricato in questione, la realizzazione del sottotetto.
Successivamente, con motivi
aggiunti i ricorrenti hanno esteso l’impugnativa anche al successivo permesso
di costruire in variante 2 aprile 2004, n. 33, deducendo motivi analoghi ed
evidenziando, tra l’altro, l’illegittimità delle predette norme tecniche di
attuazione, impugnate con il precedente gravame.
3. - Con la sentenza epigrafata
il TAR, respinte le eccezioni avanzate della ditta Puccioni, ha :
- dichiarato improcedibile il
primo ricorso per avere la parte controinteressata rinunciato alle concessioni
assentite, come da questa espressamente riconosciuto nelle sue memorie
difensive e come del resto si rileva dagli atti del giudizio;
- accolto il secondo ricorso
annullando il permesso di costruire 17 ottobre 2003, n. 393, per l’esecuzione
dei lavori di ristrutturazione del predetto fabbricato in quanto, per
l’edificazione dei “sottotetti praticabili non abitabili” di cui al predetto
art. 52 delle NTA di PRG, tale norma deve interpretarsi nel senso debbano
rispettarsi le norme sulle distanze (D1 e D3);
- respinto l’istanza risarcitoria
proposta col secondo gravame.
4.- La società Puccioni ha
impugnato innanzi questo Consesso, l’accoglimento del secondo ricorso
formulando motivi riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da
parte della presente decisione .
4-1.- Si è costituita nel giudizio
d’appello la sig.ra d’Attilio resistendo al gravame ed esponendo in successiva
memoria le proprie argomentazioni difensive (tre cui un’ eccezione di
irricevibilità dell’appello)..
4.2.- Parte appellante ha
riepilogato in memoria le proprie tesi, sostenendo peraltro l’irrilevanza della
sentenza civile resa sulla tutela possessoria.,Alla pubblica udienza del 18
giugno 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione
DIRITTO
L’appello in trattazione
controverte della legittimità di una concessione di ristrutturazione edilizia e
di variante alla stessa , assentite dal Comune in favore della società
appellante (con riguardo ad immobile situato nel nucleo antico (zona A1 di PRG)
del Comune di Vasto) ed annullate dalla sentenza impugnata.
1.- Ritiene il Collegio di poter
prescindere dall’eccezione di irricevibilità dell’appello proposta da parte
appellata (memoria 25.5.2013), poiché il gravame è infondato nel merito.
2. - Col primo ordine di censure,
ricordato che la vicenda contenziosa si è sviluppata su due ricorsi di primo
grado, la soc. Puccioni critica la decisione gravata nella parte che ha
dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso
contro la prima concessione (n. 304/2001 e relativa variante), sul presupposto
della rinuncia della istante a detti titoli, avendo la stessa presentato una
nuova richiesta di permesso di costruire con completa modifica dell’intervento
progettato in origine. Argomenta l’appellante che non avendo i coniugi Carta
impugnato le NTA di PRG anche nel secondo ricorso, il TAR si sarebbe dovuto
limitare a valutare solo ed esclusivamente la censura di violazione del
giudicato anziché estendere la propria cognizione oltre l’unico motivo
ritualmente proposto, per di più desumendo dal secondo ricorso le doglianze avanzate
nel primo. La tesi non ha alcun fondamento.
Va in primo luogo osservato che
l’improcedibilità è stata pronunziata con riferimento al primo ricorso (e non
al secondo) e con riguardo al sopravvenire di una successiva domanda edilizia
ritenuta sostitutiva della precedente e soddisfatta col provvedimento oggetto
del secondo gravame.
La correttezza della pronunzia in
esame, pertanto, deve essere valutata verificando l’effettiva radicale
diversità tra il progetto originario e quello successivo e non l’ammissibilità
dei motivi proposti nei ricorsi. Applicando il suddetto criterio, si rileva che
parte appellante non solo non contrasta la comparazione tra i due progetti
(posta dal TAR a motivo della improcedibilità) ma, al contrario, riconosce
espressamente il dato affermato dal TAR, vale a dire che il contenzioso
rilevante attiene “ad un progetto completamente diverso da quello autorizzato
con le concessioni edilizie fatte oggetto del precedente ricorso”; resta quindi
confermata la sussistenza dei presupposti sui quali la sentenza ha dichiarato
l’improcedibilità del primo ricorso, sicché la materia del contendere è
circoscritta al solo secondo gravame. Conseguentemente, i rilievi sulla
idoneità dei motivi a sostegno del primo ricorso (che sarebbero desunti dal
secondo) non sono da questo Consesso esaminabili a ciò ostando la pronunzia di
improcedibilità e non possono perciò sul punto inficiare la decisione gravata.
2.1.- Il primo gruppo di censure
sostiene inoltre che illegittimamente una della due impugnative opera, senza
ulteriori specificazioni, un mero rinvio a alle censure dedotte dall’altra. La
doglianza, che per le ragioni sopra esposte va esaminata con riferimento al
solo secondo ricorso , non può essere condivisa. Dalla lettura dell’atto emerge
infatti il richiamo “per relationem” a tutti i motivi formulati nel primo
gravame ma espressamente corredato dalla formula “motivi che qui abbiansi per
integralmente trascritti e riportati e che formano parte integrante e
sostanziale del presente ricorso”.
Il rinvio, pertanto, non può
essere considerato un rinvio meramente formale e privo di ogni ulteriore
specificazione ma al contrario un rinvio chiaramente recettizio delle censure
proposte con la prima impugnativa, il cui contenuto viene perciò integralmente a
trasfondersi nella seconda, restando peraltro del tutto indifferente alla
corretta decisione di improcedibilità che ha colpito il gravame di riferimento.
3.- Il secondo gruppo di motivi
avversa la sentenza di accoglimento del secondo ricorso (contro il permesso il
permesso di costruire n. 393/2003) precisamente ove il TAR afferma che
“l’edificazione in zona A1 di sottotetti non abitabili, con modifica della
sagoma del fabbricato esistente, avrebbe dovuto rispettare le norme di piano
sulle distanze dai confini (D1) e dai fabbricati (D3), fissate rispettivamente
in m. 5 per le pareti finestrate e di m. 3 per le pareti cieche (quanto alle
distanze dai confini D1) ed in m. 10 per le pareti finestrate (quanto alle
distanze dai fabbricati adiacenti D3).”
Il primo giudice ha affermato
quanto sopra con riferimento alla concessione gravata che aveva assentito una
sopraelevazione (sottotetto non abitabile) da edificarsi a distanza inferiore
ai tre metri dalle pareti finestrate dei ricorrenti. Accogliendo questa tesi, applicativa
delle norme di cui agli artt. 56 e 58 delle NTA del PRG, il primo giudice
avrebbe, secondo la società Puccioni, illogicamente ed erroneamente trascurato
che :
a- dette disposizioni sarebbero
derogate dalla specifica e diversa distanza che sarebbe in vigore (ex art.58,
comma 5 delle NTA) nel nucleo antico per ristrutturazioni con modifica di
sagoma;
b- l’art.98, comma 5, delle norme
predette prevede, in assenza del piano di recupero, una riduzione della
distanza nella misura di 1/3 dell’altezza del fabbricato da costruire e che
tali riduzione per le ristrutturazioni opererebbe non solo nella zone A2 ma
anche nelle zone A1;
c- nella zona sono consentiti gli
interventi di ristrutturazione edilizia e quella assentito rispetta gli indici
volumetrici (ma si discute di distanze)
d- secondo la giurisprudenza la
ristrutturazione che utilizza l’area di sedime (a seguito demolizione e
ricostruzione ) non è tenuta al rispetto delle distanze legali (CDS sez. V
5032/2003)
e- per tutti gli interventi di
nuova costruzione la distanza è di 10 metri , ma, ai sensi del 58 comma 5, esclusi
in nuclei antichi (zone A, dove si trova l’edifico in questione)
Nessuna di queste argomentazioni
può trovare accoglimento in base alla locale normativa di PRG.
Dopo un’accurata ricostruzione
della normativa locale e della fattispecie edilizia controversa , muove il
primo giudice dai seguenti rilievi:
- gli “atti autorizzativi
impugnati sono stati, invero, assentiti, come già detto, in asserita
applicazione del predetto art. 98 delle N.T.A., che consente nelle zone A1 e
A2, in assenza di piano di recupero, di effettuare lavori di ristrutturazione,
con possibilità, in base al penultimo comma dell’art. 64, di realizzare
“sottotetti praticabili non abitabili, nei limiti stabiliti dall’art. 52” .
- con i medesimi “è stata
consentita la modifica della sagoma del fabbricato esistente sulla base, nella
sostanza, del rilievo che in zona A1 avrebbero potuto, in base alle predette
norme di piano, realizzarsi modifiche della sagoma degli edifici esistenti per
realizzare sottotetti abitabili, senza rispettare le altre norme di piano sulle
distanze dai confini e dalle pareti finestrate esistenti”.
Accogliendo le censure formulate
dai ricorrenti contro detta interpretazione, il TAR ha invece ritenuto che
nell’edificazione dei “sottotetti praticabili non abitabili” debbano
rispettarsi le norme sulle distanze (D1 e D3) contenute negli artt. 56 e 58,
che per espressa previsione, si applicano, in tutti i casi di interventi di
ristrutturazione “che comportano modifiche della sagoma degli edifici
esistenti”; per cui le distanze previste da tali norme vanno certamente
rispettate “per le parti modificate” nelle ristrutturazioni eseguite in tutte
le parti del territorio comunale.
Il Collegio condivide integralmente
l’orientamento accolto dal giudice di prime cure . Ed invero va sul punto
confermato che:
- l’art. 58 disciplina la
distanza da altri edifici (D3), con la previsione che in caso di interventi di
ristrutturazione “che comportano modifiche della sagoma degli edifici
esistenti”, va rispettata “per le parti modificate” sia la distanza dai confini
(D1) di m. 5 per le pareti finestrate e di m. 3 per le pareti cieche, sia le
distanze dai fabbricati adiacenti (D3) di m. 10 per le pareti finestrate;
- è per contro inconferente alla
fattispecie la diversa distanza introdotta dall’art. 98, comma 6, della NTA,
operando la stessa limitatamente agli interventi nella zone A2 (mentre
l’edificio si trova in zona A1).
2.1.- Anche gli altri rilievi
formulati dal gruppo di motivi in esame non possono trovare accoglimento.
Diversamente da quanto si
sostiene, non si è in presenza di un intervento di ristrutturazione edilizia a
scopo conservativo, sicché la normativa sulle distanze da rispettare in caso di
sopraelevazione risulterebbe inapplicabile. Al contrario e nonostante che nulla
descriva l’intestazione del provvedimento, limitandosi a rinviare al progetto,
l’esame di questo rivela poi trattarsi di una ristrutturazione con
sopraelevazione , come peraltro nello stesso atto di appello (v.p.2) viene
descritto l’intervento.
E del resto tra le argomentazioni
a sostegno del gravame viene invocato il comma 6 dell’art. 98 che disciplina
proprio gli interventi di nuova costruzione, ristrutturazioni e ricostruzioni,
i quali in tutta evidenza rispondono a nozioni totalmente diverse dagli
interventi conservativi (cfr. art. 31
l .n.457/1978).
Ancor minore pregio ha sostenere
(p.16) che trattandosi di ricostruzione su medesima area di sedime, quindi
previa demolizione, non sussista il dovere di rispettare le distanze legali.
Anzitutto la prospettata fattispecie concreta non risulta da alcun atto o
documento allegato al processo, sicchè “quod non est in actis non est in
mundo”. ‘E ben vero che il concetto di ristrutturazione emergente dalla legge
n. 443/01 (art. 1, comma 6, lett. b), è comprensivo della “demolizione e
ricostruzione” ma sempreché si realizzino, come dispone la medesima norma “la
stessa volumetria e sagoma” (conf. Cons. di Stato, sez. V, n.5032/2003); nel
caso in esame, però, la progettata sopraelevazione non sembra compatibile col
rispetto sia della sagoma che della volumetria originarie e nel contempo pone
il problema del rispetto della distanza della edificazione rispetto
all’edificio prospiciente, poiché viene a porsi a limitazione di una sua luce o
veduta.
3.- Infondato è anche il terzo
gruppo di doglianze, che si sviluppano muovendo dalla sostenuta violazione e
falsa applicazione del DM n. 1444/68. Il richiamo a tale fonte è nella
fattispecie fuori luogo, poiché la legittimità delle concessioni in
controversia è stata, correttamente, vagliata con riferimento alla fonte
normativa speciale, costituita dalle NTA del locale PRG.
4.- Il quarto mezzo argomenta
come il progetto assentito sia rispettoso della distanza di 3 ml prevista
dall’art. 56 dall’edificio prospiciente, poiché l’apertura esistente sulla
parete non è una finestra ma una “luce” . Ma la sentenza gravata si fonda sulla
violazione dell’art. 58, che disciplina la “distanza da un altro edificio”
(dunque tra costruzioni antistanti) mentre l’invocato art. 56 regola le
distanze tra confini di proprietà.
5.- Del tutto carente di
interesse, infine, è la doglianza che evidenzia come la sentenza non si sia
pronunziata sul sostenuto motivo di violazione del giudicato. Non sussiste
infatti alcun interesse dell’appellante a censurare il rigetto di censure,
formulate dalla controparte ricorrente in primo grado, che non sono state prese
in considerazione dai motivi della sentenza impugnata.
6.- Conclusivamente l’appello
deve essere respinto.
- Le spese del presente grado di
giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso
in epigrafe,
respinge l’appello.
Condanna la società appellante al
pagamento, in favore della parte costituita, delle spese del presente grado di
giudizio che liquida complessivamente in Euro cinquemila (5.000). oltre
accessori di legge.
Ordina che la presente decisione
sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera
di consiglio del 18 giugno 2013 , dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale – Sezione Quarta - con l’intervento dei signori:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere,
Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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