venerdì 25 ottobre 2013

Niente sopraelevazione sulla Loggia: il consiglio di Stato dice no all'appello della Puccioni spa

La sopraelevazione di un altro piano del tetto in fondo
avrebbe ostruito la vista del mare
all'appartamento alle sue spalle
L'avv. Vittorio Emanuele Russo ci ha inviato copia della sentenza del Consiglio di Stato che dopo 13 anni pone fine alla questione di una sopraelevazione sulla loggia Amblingh della ditta Puccioni,  che avrebbe ostruito la veduta del golfo ad un appartamento dei coniugi Carta-d'Attilio. "Dopo ben 13 anni di continue battaglie - dice l'avv. Russo - finalmente giunge a termine una annosa vicenda che risale ai primi anni del 2000. Si tratta della sopraelevazione dell'appartamento di proprietà della Puccioni S. p. A. che veniva posta
a ridosso della casa dei coniugi Carta-D'Attilio, a soli tre metri dal fabbricato, ostruendo completamente tutte le finestre ed il terrazzo. In questi lunghi tredici anni ci siamo dovuti difendere dinanzi al Tribunale Civile di Vasto, al Tribunale
Penale di Vasto, al TAR di Pescara,
alla Corte di Appello de L'Aquila e, da ultimo, per ben due volte, davanti al Consiglio di Stato di Roma. In tutto saranno stati oltre 15 procedimenti giudiziari che hanno visto sempre soccombente la Puccioni S. p. A., quale proprietaria dell'immobile da sopraelevare". 



"Ciò che dispiace - conclude l'avv. Russo - è la disparità di trattamento sul piano economico, atteso che la difesa per tutti i procedimenti giudiziari, è stata offerta gratuitamente da questo Studio alla Signora Carta-D'Attilio, pensionata, che ha solo provveduto alle spese vive. I costi della difesa della Puccioni S.p.A., che si è sempre avvalsa di docenti universitari, hanno gravato sulla Società Puccioni".


avv. Vittorio Emanuele Russo
testo della sentenza
N. 05120/2013REG.PROV.COLL. 
N. 06594/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6594 del 2006, proposto da:
Puccioni S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Maria Bruni, con domicilio eletto presso Alberto M. Bruni in Roma, via G. Carducci, 4;
contro
D'Attilio Francesca, rappresentato e difeso dall'avv. Vittorio Emanuele Russo, con domicilio eletto presso Giuliana Carta in Roma, via Marylin Monroe N. 150; Carta Antonio Giuseppe;
nei confronti di
Comune Di Vasto;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA n. 00089/2006, resa tra le parti, concernente concessione edilizia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Vittorio Emanuele Russo e Alberto Maria Bruni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1.- Con due distinti ricorsi al TAR Abruzzo, sez. di Pescara,, i coniugi Francesca D’Attilio e Antonio Giuseppe Carta, proprietari di un fabbricato situato in località Loggia Ambling nella parte antica del Comune di Vasto, domandavano l’annullamento:
- della concessione edilizia 12 dicembre 2001, n. 304, e successiva concessione edilizia in variante 13 febbraio 2003, n. 462, assentite dal Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Vasto alla società Puccioni s.p.a. per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione edilizia di un’unità immobiliare sita in località Loggia Ambling (adiacente al fabbricato dei ricorrenti) nonché degli atti presupposti e connessi, tra cui, i delle N.T.A. del P.R.G. vigente nel Comune di Vasto, nella parte in cui consentono di realizzare l’intervento in questione;
b) il permesso di costruire 17 ottobre 2003, n. 393, e successivo permesso di costruire in variante 2 aprile 2004, n. 33, assentiti per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione del predetto fabbricato.
I ricorrenti censuravano inoltre, “in parte qua” le norme del PRG del Comune di Vasto vigente al momento del rilascio delle concessioni impugnate.
1.1.- A sostegno del primo gravame, dopo aver premesso che con l’atto impugnato era stata autorizzata la modifica della sagoma e dell’altezza del fabbricato adiacente con la realizzazione, mediante sopraelevazione, di un sottotetto posto a poco meno di tre metri dalla finestra della loro abitazione, hanno dedotto le seguenti censure:
a) Violazione dei principi generali che regolano la pianificazione del territorio. Eccesso di potere per inesistenza dei presupposti e per falsità della causa.
Le norme contenute nelle N.T.A. del P.R.G. del Comune sono illegittime in quanto, in violazione delle norme che definiscono gli interventi di ristrutturazione, consentono la ristrutturazione di fabbricati situati nel centro storico con modifica della sagoma e dell’altezza e con la creazione di locali sottotetto non abitabili. In applicazione di tali norme tecniche illegittime è stata consentita nel caso di specie la realizzazione di un manufatto più alto di m. 3,50.
b) Violazione dell’art. 7 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, e dell’art. 30 della L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, n. 18.
La norma di piano che consente di realizzare locali sottotetto non abitabili di altezza inferiore a m. 2,70 (art. 64, punto c), comma 3) è illegittima in quanto si consente nella sostanza un aumento della superficie utile interna.
c) Violazione dell’art. 31, I comma, lettera d), della L. 5 agosto 1978, n. 457, e dell’art. 30 della L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, n. 18. E’ stata autorizzata la sopraelevazione del fabbricato preesistente senza rispettare la distanza minima dai confini, che avrebbe dovuto essere, quanto meno, pari alla metà dell’altezza del nuovo fabbricato, cioè di almeno 4 metri.
d) Violazione dell’art. 873 del codice civile e dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444. E’ stata autorizzata l’apertura di due finestre poste a circa m. 1,50 dalla finestra della cucina dei ricorrenti.
e) Violazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.
L’art. 56 della N.T.A. è illegittimo in quanto impone il rispetto di una distanza di 5 metri tra pareti finestrate. Le opere da realizzare, nella parte in cui comportano nuove costruzioni, avrebbero dovuto in realtà rispettare le distanze dai confini e dalle pareti finestrate previste dal D.M. 2 aprile 1968.
I ricorrenti chiedevano altresì la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti.
1.2.- Nelle more di tale giudizio, e dopo che con ordinanze collegiali erano state accolte le domande incidentali di sospensione dei provvedimenti impugnati, il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Vasto assentiva alla società Puccioni s.p.a. permesso di costruire 17 ottobre 2003, n. 393, per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione del predetto fabbricato.
2.- Con un secondo ricorso, i coniugi Carta adìvano pertanto il TAR avverso tale atto, deducendo, oltre ai vizi dedotti con il precedente ricorso, anche la censura di eccesso di potere per violazione del giudicato, per non avere il Comune tenuto conto del fatto che con le predette ordinanze cautelari era stata inibita, in sede di ristrutturazione del fabbricato in questione, la realizzazione del sottotetto.
Successivamente, con motivi aggiunti i ricorrenti hanno esteso l’impugnativa anche al successivo permesso di costruire in variante 2 aprile 2004, n. 33, deducendo motivi analoghi ed evidenziando, tra l’altro, l’illegittimità delle predette norme tecniche di attuazione, impugnate con il precedente gravame.
3. - Con la sentenza epigrafata il TAR, respinte le eccezioni avanzate della ditta Puccioni, ha :
- dichiarato improcedibile il primo ricorso per avere la parte controinteressata rinunciato alle concessioni assentite, come da questa espressamente riconosciuto nelle sue memorie difensive e come del resto si rileva dagli atti del giudizio;
- accolto il secondo ricorso annullando il permesso di costruire 17 ottobre 2003, n. 393, per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione del predetto fabbricato in quanto, per l’edificazione dei “sottotetti praticabili non abitabili” di cui al predetto art. 52 delle NTA di PRG, tale norma deve interpretarsi nel senso debbano rispettarsi le norme sulle distanze (D1 e D3);
- respinto l’istanza risarcitoria proposta col secondo gravame.
4.- La società Puccioni ha impugnato innanzi questo Consesso, l’accoglimento del secondo ricorso formulando motivi riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione .
4-1.- Si è costituita nel giudizio d’appello la sig.ra d’Attilio resistendo al gravame ed esponendo in successiva memoria le proprie argomentazioni difensive (tre cui un’ eccezione di irricevibilità dell’appello)..
4.2.- Parte appellante ha riepilogato in memoria le proprie tesi, sostenendo peraltro l’irrilevanza della sentenza civile resa sulla tutela possessoria.,Alla pubblica udienza del 18 giugno 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione
DIRITTO
L’appello in trattazione controverte della legittimità di una concessione di ristrutturazione edilizia e di variante alla stessa , assentite dal Comune in favore della società appellante (con riguardo ad immobile situato nel nucleo antico (zona A1 di PRG) del Comune di Vasto) ed annullate dalla sentenza impugnata.
1.- Ritiene il Collegio di poter prescindere dall’eccezione di irricevibilità dell’appello proposta da parte appellata (memoria 25.5.2013), poiché il gravame è infondato nel merito.
2. - Col primo ordine di censure, ricordato che la vicenda contenziosa si è sviluppata su due ricorsi di primo grado, la soc. Puccioni critica la decisione gravata nella parte che ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso contro la prima concessione (n. 304/2001 e relativa variante), sul presupposto della rinuncia della istante a detti titoli, avendo la stessa presentato una nuova richiesta di permesso di costruire con completa modifica dell’intervento progettato in origine. Argomenta l’appellante che non avendo i coniugi Carta impugnato le NTA di PRG anche nel secondo ricorso, il TAR si sarebbe dovuto limitare a valutare solo ed esclusivamente la censura di violazione del giudicato anziché estendere la propria cognizione oltre l’unico motivo ritualmente proposto, per di più desumendo dal secondo ricorso le doglianze avanzate nel primo. La tesi non ha alcun fondamento.
Va in primo luogo osservato che l’improcedibilità è stata pronunziata con riferimento al primo ricorso (e non al secondo) e con riguardo al sopravvenire di una successiva domanda edilizia ritenuta sostitutiva della precedente e soddisfatta col provvedimento oggetto del secondo gravame.
La correttezza della pronunzia in esame, pertanto, deve essere valutata verificando l’effettiva radicale diversità tra il progetto originario e quello successivo e non l’ammissibilità dei motivi proposti nei ricorsi. Applicando il suddetto criterio, si rileva che parte appellante non solo non contrasta la comparazione tra i due progetti (posta dal TAR a motivo della improcedibilità) ma, al contrario, riconosce espressamente il dato affermato dal TAR, vale a dire che il contenzioso rilevante attiene “ad un progetto completamente diverso da quello autorizzato con le concessioni edilizie fatte oggetto del precedente ricorso”; resta quindi confermata la sussistenza dei presupposti sui quali la sentenza ha dichiarato l’improcedibilità del primo ricorso, sicché la materia del contendere è circoscritta al solo secondo gravame. Conseguentemente, i rilievi sulla idoneità dei motivi a sostegno del primo ricorso (che sarebbero desunti dal secondo) non sono da questo Consesso esaminabili a ciò ostando la pronunzia di improcedibilità e non possono perciò sul punto inficiare la decisione gravata.
2.1.- Il primo gruppo di censure sostiene inoltre che illegittimamente una della due impugnative opera, senza ulteriori specificazioni, un mero rinvio a alle censure dedotte dall’altra. La doglianza, che per le ragioni sopra esposte va esaminata con riferimento al solo secondo ricorso , non può essere condivisa. Dalla lettura dell’atto emerge infatti il richiamo “per relationem” a tutti i motivi formulati nel primo gravame ma espressamente corredato dalla formula “motivi che qui abbiansi per integralmente trascritti e riportati e che formano parte integrante e sostanziale del presente ricorso”.
Il rinvio, pertanto, non può essere considerato un rinvio meramente formale e privo di ogni ulteriore specificazione ma al contrario un rinvio chiaramente recettizio delle censure proposte con la prima impugnativa, il cui contenuto viene perciò integralmente a trasfondersi nella seconda, restando peraltro del tutto indifferente alla corretta decisione di improcedibilità che ha colpito il gravame di riferimento.
3.- Il secondo gruppo di motivi avversa la sentenza di accoglimento del secondo ricorso (contro il permesso il permesso di costruire n. 393/2003) precisamente ove il TAR afferma che “l’edificazione in zona A1 di sottotetti non abitabili, con modifica della sagoma del fabbricato esistente, avrebbe dovuto rispettare le norme di piano sulle distanze dai confini (D1) e dai fabbricati (D3), fissate rispettivamente in m. 5 per le pareti finestrate e di m. 3 per le pareti cieche (quanto alle distanze dai confini D1) ed in m. 10 per le pareti finestrate (quanto alle distanze dai fabbricati adiacenti D3).”
Il primo giudice ha affermato quanto sopra con riferimento alla concessione gravata che aveva assentito una sopraelevazione (sottotetto non abitabile) da edificarsi a distanza inferiore ai tre metri dalle pareti finestrate dei ricorrenti. Accogliendo questa tesi, applicativa delle norme di cui agli artt. 56 e 58 delle NTA del PRG, il primo giudice avrebbe, secondo la società Puccioni, illogicamente ed erroneamente trascurato che :
a- dette disposizioni sarebbero derogate dalla specifica e diversa distanza che sarebbe in vigore (ex art.58, comma 5 delle NTA) nel nucleo antico per ristrutturazioni con modifica di sagoma;
b- l’art.98, comma 5, delle norme predette prevede, in assenza del piano di recupero, una riduzione della distanza nella misura di 1/3 dell’altezza del fabbricato da costruire e che tali riduzione per le ristrutturazioni opererebbe non solo nella zone A2 ma anche nelle zone A1;
c- nella zona sono consentiti gli interventi di ristrutturazione edilizia e quella assentito rispetta gli indici volumetrici (ma si discute di distanze)
d- secondo la giurisprudenza la ristrutturazione che utilizza l’area di sedime (a seguito demolizione e ricostruzione ) non è tenuta al rispetto delle distanze legali (CDS sez. V 5032/2003)
e- per tutti gli interventi di nuova costruzione la distanza è di 10 metri, ma, ai sensi del 58 comma 5, esclusi in nuclei antichi (zone A, dove si trova l’edifico in questione)
Nessuna di queste argomentazioni può trovare accoglimento in base alla locale normativa di PRG.
Dopo un’accurata ricostruzione della normativa locale e della fattispecie edilizia controversa , muove il primo giudice dai seguenti rilievi:
- gli “atti autorizzativi impugnati sono stati, invero, assentiti, come già detto, in asserita applicazione del predetto art. 98 delle N.T.A., che consente nelle zone A1 e A2, in assenza di piano di recupero, di effettuare lavori di ristrutturazione, con possibilità, in base al penultimo comma dell’art. 64, di realizzare “sottotetti praticabili non abitabili, nei limiti stabiliti dall’art. 52”.
- con i medesimi “è stata consentita la modifica della sagoma del fabbricato esistente sulla base, nella sostanza, del rilievo che in zona A1 avrebbero potuto, in base alle predette norme di piano, realizzarsi modifiche della sagoma degli edifici esistenti per realizzare sottotetti abitabili, senza rispettare le altre norme di piano sulle distanze dai confini e dalle pareti finestrate esistenti”.
Accogliendo le censure formulate dai ricorrenti contro detta interpretazione, il TAR ha invece ritenuto che nell’edificazione dei “sottotetti praticabili non abitabili” debbano rispettarsi le norme sulle distanze (D1 e D3) contenute negli artt. 56 e 58, che per espressa previsione, si applicano, in tutti i casi di interventi di ristrutturazione “che comportano modifiche della sagoma degli edifici esistenti”; per cui le distanze previste da tali norme vanno certamente rispettate “per le parti modificate” nelle ristrutturazioni eseguite in tutte le parti del territorio comunale.
Il Collegio condivide integralmente l’orientamento accolto dal giudice di prime cure . Ed invero va sul punto confermato che:
- l’art. 58 disciplina la distanza da altri edifici (D3), con la previsione che in caso di interventi di ristrutturazione “che comportano modifiche della sagoma degli edifici esistenti”, va rispettata “per le parti modificate” sia la distanza dai confini (D1) di m. 5 per le pareti finestrate e di m. 3 per le pareti cieche, sia le distanze dai fabbricati adiacenti (D3) di m. 10 per le pareti finestrate;
- è per contro inconferente alla fattispecie la diversa distanza introdotta dall’art. 98, comma 6, della NTA, operando la stessa limitatamente agli interventi nella zone A2 (mentre l’edificio si trova in zona A1).
2.1.- Anche gli altri rilievi formulati dal gruppo di motivi in esame non possono trovare accoglimento.
Diversamente da quanto si sostiene, non si è in presenza di un intervento di ristrutturazione edilizia a scopo conservativo, sicché la normativa sulle distanze da rispettare in caso di sopraelevazione risulterebbe inapplicabile. Al contrario e nonostante che nulla descriva l’intestazione del provvedimento, limitandosi a rinviare al progetto, l’esame di questo rivela poi trattarsi di una ristrutturazione con sopraelevazione , come peraltro nello stesso atto di appello (v.p.2) viene descritto l’intervento.
E del resto tra le argomentazioni a sostegno del gravame viene invocato il comma 6 dell’art. 98 che disciplina proprio gli interventi di nuova costruzione, ristrutturazioni e ricostruzioni, i quali in tutta evidenza rispondono a nozioni totalmente diverse dagli interventi conservativi (cfr. art. 31 l.n.457/1978).
Ancor minore pregio ha sostenere (p.16) che trattandosi di ricostruzione su medesima area di sedime, quindi previa demolizione, non sussista il dovere di rispettare le distanze legali. Anzitutto la prospettata fattispecie concreta non risulta da alcun atto o documento allegato al processo, sicchè “quod non est in actis non est in mundo”. ‘E ben vero che il concetto di ristrutturazione emergente dalla legge n. 443/01 (art. 1, comma 6, lett. b), è comprensivo della “demolizione e ricostruzione” ma sempreché si realizzino, come dispone la medesima norma “la stessa volumetria e sagoma” (conf. Cons. di Stato, sez. V, n.5032/2003); nel caso in esame, però, la progettata sopraelevazione non sembra compatibile col rispetto sia della sagoma che della volumetria originarie e nel contempo pone il problema del rispetto della distanza della edificazione rispetto all’edificio prospiciente, poiché viene a porsi a limitazione di una sua luce o veduta.
3.- Infondato è anche il terzo gruppo di doglianze, che si sviluppano muovendo dalla sostenuta violazione e falsa applicazione del DM n. 1444/68. Il richiamo a tale fonte è nella fattispecie fuori luogo, poiché la legittimità delle concessioni in controversia è stata, correttamente, vagliata con riferimento alla fonte normativa speciale, costituita dalle NTA del locale PRG.
4.- Il quarto mezzo argomenta come il progetto assentito sia rispettoso della distanza di 3 ml prevista dall’art. 56 dall’edificio prospiciente, poiché l’apertura esistente sulla parete non è una finestra ma una “luce” . Ma la sentenza gravata si fonda sulla violazione dell’art. 58, che disciplina la “distanza da un altro edificio” (dunque tra costruzioni antistanti) mentre l’invocato art. 56 regola le distanze tra confini di proprietà.
5.- Del tutto carente di interesse, infine, è la doglianza che evidenzia come la sentenza non si sia pronunziata sul sostenuto motivo di violazione del giudicato. Non sussiste infatti alcun interesse dell’appellante a censurare il rigetto di censure, formulate dalla controparte ricorrente in primo grado, che non sono state prese in considerazione dai motivi della sentenza impugnata.
6.- Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
- Le spese del presente grado di giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe,
respinge l’appello.
Condanna la società appellante al pagamento, in favore della parte costituita, delle spese del presente grado di giudizio che liquida complessivamente in Euro cinquemila (5.000). oltre accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 giugno 2013 , dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con l’intervento dei signori:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere






L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE















DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/10/2013
IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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