di LINO SPADACCINI
Se la scoperta della grotta di Monte Calvo, fatta dal Rossetti nel 1803, di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi, ha avuto e continua ad avere ancora oggi ampia risonanza, è dovuta soprattutto alla presenza di una piccola quanto misteriosa piramide.
Ancora oggi, a 210 anni dalla scoperta, si formulano le ipotesi più disparate. Esisteva già al tempo del Rossetti, oppure è stata lo stesso letterato vastese a costruirla? La piramide tronca e altri simboli iniziatici sono solo coincidenze oppure sono la conferma di riferimenti massonici o templari riferibili alla misteriosa struttura? A queste domande cercheremo di rispondere analizzando le varie teorie fino ad oggi formulate.
| Domenico Rossetti |
Torniamo per un attimo al poemetto La Grotta di Monte-calvo scritto da Domenico Rossetti. Sul frontespizio è presente una bella incisione dello Stagnon, disegnata dalla pittrice Sophie Leclerk (1777-1829), moglie di Scipione Giordano e protetta del Consigliere di Prefettura Giovan-Giacomo Vinay, padrone del fondo dove avvenne la scoperta della grotta. Il Rossetti è ritratto poco più che trentenne, con l’indice della mano sinistra che indica una piramide raffigurata alla sua destra; mentre alla sua sinistra si può notare una piccola costruzione denominata Bastide.
La piramide, situata a circa cento metri dalla sommità del Monte Calvo, nel territorio di Falicon, è una delle rarissime strutture piramidali esistenti in Europa. Le sue dimensioni sono relativamente modeste, le basi hanno dimensioni che variano da 5 a 6,5 metri, ed in più la sua cima oggi risulta tronca all’altezza di 3 metri. I materiali di costruzione utilizzati derivano da un minerale locale, che ne danno un aspetto rudimentale e fatiscente, tra l’altro molte pietre che la compongono, durante gli anni, sono state asportate da ignoti vandali: probabilmente, a causa di una leggenda che vuole che sotto la piramide ci sia un tesoro nascosto.
Molte sono le ipotesi formulate sulla natura della piramide. La piramide disegnata dalla Leclerk è la più antica rappresentazione finora conosciuta: nessun testo antecedente alla scoperta del Rossetti menziona in alcun modo la presenza di una struttura piramidale nella zona.
C’è da chiedersi se sia possibile che il poeta vastese, nella stesura de La Grotta, dove descrive ogni minimo dettaglio della scoperta, abbia potuto tralasciare di indicare la presenza di una piramide di sicuro interesse storico, collocato in territorio francese. Questa mancanza fatta dal Rossetti può essere interpretata in due modi: che la piramide non esisteva al tempo della scoperta della grotta, oppure doveva che essere in qualche modo così integrata al paesaggio che ormai non la si notava più. Questa tesi è rafforzata anche dallo studioso Robert Charroux, il quale nel 1967 affermò: “A vrai dire, quelques préhistoriens et une poignée de spéléologues connaissent son existence, mais soit par indifférence, soit par manque de culture, ils ne sont pas intéressés au monument”. In sostanza, la mancanza di informazioni sulla piramide può essere dovuta all’indifferenza ed alla pochezza culturale della gente del luogo.
Negli anni a seguire la scoperta, la stampa italiana e quella transalpina parlarono diffusamente della grotta, con commenti positivi, ma in alcuni casi, in maniera negativa, ridimensionando l’eccessivo entusiasmo del Rossetti.
La grotta del Monte Calvo venne citata in numerosi opuscoli turistici dell’800 fino agli inizi del secolo successivo. Numerosi furono gli studiosi che si dedicarono a questa curiosità naturale: Melle Boquet (1812), Marius Nodadier (1823), Paul-Emile Barbéri (1834), Louis Roubaudi (1843), Goffredo Casalis, gli abati Dunier e Monveraul (1859), il dottore Roger Baraul (1870), e altri. Ma è da notare che in tutti questi anni la piramide, al contrario della grotta, venne citata solo una volta, nel 1814, nella pubblicazione Nice et ses environs, dove si affermava che l’entrata della grotta era coperta da una piramide che s’innalzava sul lato della montagna.
Altri illustri scrittori, che visitarono e descrissero la grotta furono il torinese Davide Bertolotti (1784-1860) ed il medico e botanico francese Francois Emmanuel Foderè (1764-1835), quest’ultimo accusato dal Bertolotti di aver descritto la grotta con troppa enfasi ed esagerazioni, tanto da deludere le aspettative dei visitatori.
Nel 1898, sotto l’iniziativa del professor Jean-Robert Salifard, ebbe luogo la prima vera esplorazione della rete sotterranea, accessibile tramite il pozzo della piramide. Il ricco resoconto si compone di 657 pagine manoscritte con 174 tavole, cartine e schizzi degli ambienti. I rilevamenti del Salifard comprendono anche un’indagine accurata riguardante i tre avanzamenti della seconda sala. In particolare, uno di questi proseguiva per un lungo tratto. Tre anni più tardi, nel 1901, un noto speleologo Jules Gavet, che fu il primo a pubblicare lo studio scientifico della grotta, riferì che le estensioni della seconda sala erano ostruite. Chi ostruì i passaggi in questi tre anni, e perché? I cunicoli furono chiusi perché ritenuti pericolosi o per nascondere qualcosa? A questi interrogativi, più avanti, cercheremo di dare delle risposte.
All’inizio del ventesimo secolo lo scenario cambiò completamente. Fu il Bollettino della Sezione delle Alpi Marittime del Club Alpino Francese ad aprire la strada a nuove interpretazioni circondate da una dimensione sacra ed al tempo stesso esoterica. Nell’articolo si leggeva: “in maniera di segnale, l’abisso è sormontato, o meglio coperto, da una enigmatica piramide innalzata lì dalla mano dell’uomo, la cui origine è oscura...”. Sono bastate due parole énigmatique e ténébreuse, a scatenare una vera e propria corsa alle interpretazioni più disparate.
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| I gradini all'interno della grotta |
Nel 1922 un certo Etienne Gothland si stabilì vicino a Falicon dove fondò l’Université Pratique. Egli si appassionò al sito e dopo aver effettuato approfonditi studi in merito, affermò che la costruzione della piramide poteva essere ricondotta a due società esoteriche: la grotta è un luogo iniziatico, confermato dalla presenza di una scala di sei gradini, da lui chiamato “Antre sacrè de la Sagesse”. Gothland cercò anche di far classificare il sito, ma non vi riuscì mai.
Molti anni dopo, l’Université scomparì, ma non tutti i suoi ricchi archivi e documenti. Gothland ritenne che la piramide era anteriore ai romani. Basandosi sul processo degli equinozi, nel 1922 Gothland datò la località della piramide (ma non la costruzione stessa) di 4335 anni, all’incirca la stessa epoca della piramide di Cheope in Egitto. Parlò anche della presenza di Templari, che probabilmente abitarono intorno al 1100 nella bastide, la costruzione situata al di sotto della piramide e, inoltre, che la grotta veniva utilizzata come nascondiglio segreto in caso di attacco dei Saraceni.
Nel 1927, il giornalista Fred Gérard, entrò nella grotta senza aggiungere altro alle attente rilevazioni fatte da Jeles Gavet. Secondo la studiosa Beatrice Elliot, in una sua teoria formulata nel 1938, la grotta doveva essere conosciuta in epoca Romana ed i soldati romani s’inoltravano nella grotta per consultare una maga.
Negli anni cinquanta, alcune società di studiosi riuniti a Falicon, ritennero che c’erano forti motivi di credere che in epoca gallo-romana, questa grotta fosse un luogo dedicato al culto di Mithra.
Altre tesi vennero sviluppate nel 1970 da Maurice Guinguand nella sua pubblicazione dal titolo “Falicon, pyramide, templière”. Secondo l’autore, al tempo delle crociate l’antro doveva essere il luogo di rifugio di pestilenti e lebbrosi provenienti dalla Palestina. La costruzione della piramide risale al 1260 ad opera di un’organizzazione templare. Inoltre, per Guinguand il perno centrale della grotta è il dio della Ratapignata che avrebbe 4310 anni, e la grotta è stato un luogo liturgico dell’antichità che avrebbe subito modifiche nel XIII secolo e incorporato alla nuova costruzione piramidale.
Anche il successivo libro “La mysteriéuse pyramide de Falicon”, di Henri Broch finirà per confermare l’ipotesi di Mithra. In particolare, l’autore fa un accostamento tra i sette gradini deliberatamente costruiti nella grotta, e non tagliati nella roccia, e i sette gradi della scala iniziatica di Mithra. Broch concentrò i suoi studi verso i Gétules, legioni romane emigrate in Africa del Nord, che nel primo secolo dopo Cristo, introdussero in Gaule ed in tutto il bacino Mediterraneo il culto di Mithra. Lo stesso Gothland afferma che l’altare che si trova in cima ai sette gradini serviva all’iniziazione, ed i neofiti vi subivano le prove del fuoco, dell’acqua e dell’aria.
Sulla presenza di sette gradini si sono fatte molte congetture, ma la spiegazione potrebbe essere più semplice di quanto sembri. Domenico nelle note al canto primo, così descrive l’ingresso della grotta: “L’ingresso della Grotta rappresenta un triangolo, che nei punti dell’unione delle linee, ossia della formazione degli angoli, si accosta alquanto alla circolare, il che ci obbliga a considerarlo piuttosto come un triangolo composto di tre angoli ottusi. La lunghezza della sua superficie è di 4 e più metri, e di sotto si prolunga perpendicolarmente, in modo che forma una specie di collo di pozzo alto metri 5. Al fondo vi è un piano inclinato verso il Settentrione lungo 7 metri, e largo uno e mezzo, fatto alla guisa di un acquedoccio colla sua volta al di sopra, e si passa tutta la sua lunghezza prima di entrare nella Grotta. Ultimamente si è fatto scalpellare, e ridurre a comodi gradini, altrimenti si correrebbe pericolo di sdrucciolare, e di precipitare poi dentro il primo salone per un’altezza verticale di 8 metri, che s’incontra nel fine del descritto piano inclinato”. I gradini di cui parla il Rossetti, realizzati per una maggior comodità, potrebbero essere gli stessi di cui parla Heni Broch nel suo libro, anche se lo studioso francese afferma che il Rossetti non parla di questi sette gradini (“Rossetti ne nous parle pas de ces mareches”). Inoltre, come fa notare qualche studioso, i gradini corrono lungo la parete, mentre i sette gradini iniziatici sono situati all’interno degli edifici in posizione centrale.
Nell’ispezionare la prima sala della grotta, Henri Broch prelevò un blocco di roccia e detriti da far analizzare attentamente da un laboratorio scientifico. Il risultato confermò che la sua composizione era molto vicino al cemento utilizzato nella vicina città romana di Cemenelum, in particolare nell’erezione delle Arènas. Questo risultato avvalorava l’ipotesi romana da lui sostenuta.
Nella terza parte del suo libro, Henry Broch da’ ampio spazio anche ad una interpretazione templare. Secondo un’antica leggenda i templari, avevano occupato la bastide ed erano a conoscenza di un cunicolo sotterraneo, che collegava le grotte alla costruzione romana e, all’interno di questo cunicolo, si trovava una stanza dove era nascosto un tesoro. In particolare Henri Broch pone l’accento sull’incisione riportata sul libro del Rossetti, dove si nota la piramide e la Bastide disegnati sullo stesso piano, mentre, in realtà, la prima si trova ad un’altitudine di 431 metri e la seconda, più in basso a 380 metri. Secondo lo studioso francese questo poteva significare che il Rossetti avrebbe voluto comunicare ai suoi lettori l’esistenza di un rapporto tra la piramide e la Bastide. Man mano che lo scrittore va avanti, cerca di demolire le tesi più fantasiose, ma anche egli alla fine deve ammettere che “le mystère demeure”, anche perché non si è in possesso di alcun elemento che permetta una datazione esatta della piramide.
Altre ipotesi, di cui ci permettiamo definire abbastanza fantasiose, affermano che la piramide potesse servire da orologio cronologico, mentre secondo altri la costruzione è da attribuire ai Celti. L’ultima delle ipotesi formulate, risale al 1998, ad opera di Charles Lebonhaume, secondo il quale nell’antichità, nelle Alpi Marittime, solo gli etruschi avrebbero potuto costruire la piramide di Falicon.
Lino Spadaccini



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