Il toccante ricordo del poeta Fernando D'Annunzio, nato e vissuto in quei luoghi
In questi giorni si parla di un nuovo parcheggio di 200 posti auto in un'area alla fine di via della Libertà incrocio via B.A. da Furci, non lontano dall'ospedale. A leggere la stampa sembra sia un'area anonima, invece si tratta dell'antico "delizioso" giardino della Palazzina di S. Lucia di proprietà dei d'Avalos. Quindi grande attenzione durante i lavori di sistemazione perchè potrebbbero venir fuori preziosi resti!
Ecco la descrizione
dello storico Marchesani fatta nel 1841: “La palazzina di S. Lucia, che comprende la Cappella dedicata alla martire, fiancheggiata da giardini circondati da mura, fa tuttora bella mostra di sé nel nord-est della città, dall'altro capo della valle dell'Angrella. Essa appartenne ai Canonici delle Tremiti, che poi la vendettero a Cesare Michelangelo d'Avalos (630); costui la trasformò in una villa deliziosa piena di cedri venuti da Roma e da Firenze (863); qui la sera del 28 Ottobre 1723, fu rappresentata un'opera in prosa intitolata la Merope, alla presenza del connestabile Colonna (673). Lo splendore del luogo diminuisce di giorno in giorno”. Storia di Vasto di Luigi Marchesani - Guida alla lettura a cura di P.Benedetti e G. Izzi, Editrice Il Nuovo, 2004, pag.259
Le torrette agli angoli del muro perimetrale del giardino |
Abbiamo chiesto al poeta Fernando D'Annunzio che è nato e vissuto a S. Lucia di descriverci come erano questi luoghi durante la sua infanzia.
NDA
LU CIARDINE DI SANDA LUCI’
di Fernando D'Annunzio
S. Lucia, oggi |
(in dialetto abruzzese)
Sanda Lucì’... La vije a ndo’ so’ nnate,
…la case, lu curtìle, la luggette...
Quanta ricurde i’ ci so’ lassàte!
Quanta prihìre dentr’a la cchisette!
Tutte la ggiuvindù ci so’ passàte,
vindiquattr’anne sott’a chilu tette.
M’arcorde lu ciardìne arizzilàte
e la campàne ‘n cime a la turrette.
Ma chilu sone dôce e argindìne
pe’ la vallàte, mo, cchiù nin zi sente.
Che štrazie arividè chili ruvine,
chila fineštre che sbatt’a lu vente,
‘ndo’ nu ragge di sole, la matine,
jav’ a svijjià nu cìtele cuntente.
Fernando D’Annunzio
Sono nato a Santa Lucia e lì, in quella che era una residenza
marchesale dei D’Avalos, ho vissuto fino all’età di 24 anni, cioè fino al 1971,
quando la mia famiglia dovette lasciare quella abitazione poiché l’intero
stabile comprensivo di tutto il terreno era stato ceduto ad una impresa edile.
Angolo arrotondato e merlato, Nord-Ovest, del giardino di Santa Lucia già in abbandono. Addossate al muro erano state erette piccole costruzioni adibite a stalle. |
La famiglia D'Annunzio al gran completo, assieme al fotografo Di Marco, alla "loggetta". |
Mimì D'Annunzio, sullo sfondo "li casune" |
Dalla cisterna attingevamo l’acqua per il fabbisogno
quotidiano (cucina, pulizia e irrigazione, l’acqua per bere si andava a
prendere nel pozzo di acqua sorgiva “lu pozze di cummuàre Giuvìne”, che
si trovava su Via S. Lucia a cinquanta
metri più giù di casa mia, un caratteristico pozzo al quale si accedeva aprendo
uno sportello come fosse una finestra a lato di una porta di casa, solo che il
davanzale presentava numerosi solchi lasciati dallo strusciare della corda che
serviva per attingere). D’estate la cisterna diventava il nostro frigorifero e
le bevande, la frutta (citrùne e milùne) e quant’altro, si mettevano
dentro un cesto che veniva calato con una fune a fior d’acqua (si mitteve a
ddinfresche). Ogni tanto qualche secchio affondava perchè si spezzava la
fune, ed allora si calava giù un marchingegno che chiamavamo “lu gràppele”,
un cerchio in ferro battuto da cui pendevano innumerevoli ganci, col quale, a
forza di scandagliare il fondo del pozzo, si riusciva a ripescare il secchio.
Ho già descritto il cancello che ci metteva in comunicazione
con Via Santa Lucia, all’altezza della confluenza con la strada dell’Anghella (la
vì’ di la Ngrèlle )
e, a proposito del cancello, non
posso mai dimenticare quando mio cugino Domenico restò con la testa incastrata
tra sue sbarre, (siamo circa
nell’anno1954/55), Don Romeo Rucci, parroco di San Pietro, passava spesso per
Via S. Lucia per recarsi a S. Nicola, dove, adiacente la chiesetta, utilizzava
una stanzetta per trascorrervi, specialmente in estate, qualche ora in
tranquillità e meditazione; tutte le volte che noi bambini ci accorgevamo del
suo passaggio, gli uscivamo incontro per chiedergli “li cumbattucce” ,
confettini lunghi e sottili con ripieno di cannella, che Don Romeo estraeva
dalle profonde tasche della sua tonaca e regalava ai bambini che incontrava;
quel giorno il cancello era chiuso e io e Domenico eravamo all’interno, vedendo
passare il sacerdote e impossibilitati a corrergli incontro, cominciammo a
chiamarlo: “Do’ Rromé’, Do’ Rromé’, li cumbattucce!” subito Don Romeo si
avvicinò al cancello e mise la mano in tasca, io stesi la mano attraverso le
sbarre, mentre mio cugino, oltre la mano infilò tra le sbarre anche la testa,
contentissimi, ricevemmo i deliziosi confettini; ma, allontanatosi il
sacerdote, al momento di ritirare dentro la testa, Domenico non riuscì a farla
ripassare attraverso le sbarre; spaventatissimi, provammo più volte, anche
forzatamente, ma alla fine fui costretto, nostro malgrado, perché sicuramente
le avremmo buscate, a chiamare aiuto; accorsero sia mia mamma che mia zia, la
mamma di Domenico; una dall’interno e l’altra dall’esterno, e, dopo varie
manovre e torsioni, finalmente la testa di mio cugino fu liberata e tale evento
fu “festeggiato” a suon di scapaccioni per entrambi.
Del giardino ricordo tutte le piante, ornamentali e da
frutto; il terreno era vasto più di mezzo ettaro; nella zona adiacente la casa
c’erano varie piante ornamentali e da fiori: una grande palma,(poi ne piantai una piccola che era nata ai piedi
della grande, anch’essa ora è cresciuta, mi è capitato di notarla tempo
addietro nel mezzo della boscaglia che circonda quelli che sono i ruderi del
palazzo); piante di alloro (ce n’era un gruppo vicinissimo al muraglione, nella
zona a fianco della chiesetta, dove io avevo incastrato una vecchia poltrona e
lì, quando potevo, sostavo a contemplare la vallata e il mare verso est e,
quando il tempo lo permetteva, usavo anche quel posto per studiare, era il mio
angolo di pace, sicuramente lì sono nate le ispirazioni per alcuni primi miei
componimenti), due cipressi, uno vicinissimo alla casa e vicino alla torretta
della chiesa (tante volte attraverso i suoi rami sono salito sul tetto per
sostituire la corda della campana) e l’altro più distante, vicino alla grande
palma; un lauro-gelso (d’eštàte cacciàve li pallucce a graspitille e da
huajjùne ci faciavàme la huèrre nghi li cannillucce, che doppe haje scuperte ca
in italiane si chiame la cerbottana, ma se n’ zìa ma’ allore li chiamàve
accuscì ci’abbuscàve pure, picchè li scagnàvene pe’ ‘na mmaleparòle),
oleandri (li fiure di sand’Anne), iucche, siepi di rosmarino ed altre
essenze; c’erano tante rose, margherite, fiori di San Pasquale, gerani,
citronella, calle (donne ‘n camìcie), gigli, giacinti, violette, ecc.
ecc. Poi una grande varietà di alberi da frutta: un enorme gelso, all’angolo
nord-est, davanti al pagliaio, ricordo, quando i suoi frutti maturavano, tra
fine maggio e inizio giugno e si raccoglievano allargando una tovaglia da
tavola tenuta da più persone, mentre altri scuotevano i rami (si cutuluéve
li ciùse) con canne o bastoni, che scorpacciate!; alberi di ciliege di tre
o quattro varietà, ce n’era uno, il più grande che alla diramazione era stato
innestato con due diverse varietà, un ramo produceva le ciliege precoci e
l’altro i duroni (li ciréce a bbômme), quelle che si possono conservare
sotto spirito; alberi di mandorle (li mènnele), peri, meli, diverse varietà di susini (li lécine), alberi di albicocche con nocciolo dolce e con
nocciolo amaro(bbargine, crisomme e virlingocche), peschi (pricòche
e prèzziche), un grande melo
cotogno, (a primavera, con la fioritura quasi contemporanea di molte di queste
varietà, sembrava di essere in paradiso); c’erano poi alberi di fichi (ficra
cole, vajaràne, pricissotte, filacciàne, ficra turche, e addr’ ancòre); vicino
al cancello c’erano due nespoli (ddu’ pìte di ciappùne), uno dei quali
enorme, dal tronco partivano almeno cinque grosse diramazioni che si allargavano
quasi orizzontalmente e quei rami diventavano, nei giochi, il rifugio di ognuno
di noi ragazzini e spesso vi costruivamo sopra delle vere capanne (tipo quelle
di Tarzan); non mancavano inoltre viti di uva con tutte la varietà locali
conosciute (uva San Francésche, uva prèvele, miscardèlle, cciapparòne, uva
cazzarèlle, uva pane, e mi pare ch’ avàšte). Riparato dal muro lato nord, c’era qualche albero di arance,
sicuramente residuo di un antico agrumeto. A ridosso del muro ad ovest
c’erano i semenzai (li ròle), fatti in muratura con coperture mobili in
vetro con cornici di legno, servivano, a fine inverno, per seminare pomodori (primìdiche,
mizzitembe, a pirùne, a llecine, ecc.), peperoni (dugge, cucìnde, a
scarciòfine), melanzane, ecc. Avevamo un bel campo di carciofi e
coltivavamo molte verdure stagionali.
Nell’angolo nord-ovest, a ridosso del bastione arrotondato e sormontato da archetti, erano state costruite le stalle: per l’asino, per i maiali, per le pecore, le galline e i conigli.
Nell’angolo nord-ovest, a ridosso del bastione arrotondato e sormontato da archetti, erano state costruite le stalle: per l’asino, per i maiali, per le pecore, le galline e i conigli.
Nelle vicinanze delle stalle si erigevano ogni anno i
depositi della paglia e del fieno
(la méte de la paje e
la méte de lu fuìne).
Ci vorrebbe un libro per continuare a parlare di questo
posto a me tanto caro e dei ricordi ancora vivi nella mia mente... e chi sa che
non possa essere questo il momento e lo spunto per iniziare...
FERNANDO D'ANNUNZIO
FERNANDO D'ANNUNZIO
7 commenti:
È stato un piacere leggere le memorie di D'Annunzio. È riuscito a far rivivere un mondo che è tramontato. Spero che stia leggendo questo commento e che possa rispondere a questa mia domanda: " Se potesse tornare giovane, preferirebbe vivere la propria giovinezza in quegli anni o ai giorni nostri?". Aspetto con ansia la sua risposta :)
Da Fernando D'Annunzio riceviamo la risposta ad Alessandro:
Caro Alessandro, non so quanto sei giovane... ma vorrei vivere a lungo per sentire come racconterai un giorno la tua "citilanze".
Comunque quando si racconta la propria gioventù si tende quasi sempre a privilegiare il bello e a trascurare il brutto.
Nel mondo che "è tramontato" ci sono le nostre radici e le radici sono indispensabili ad evitare l'inaridirsi di ogni essere vivente.
Alla tua "bella domanda" mi piacerebbe rispondere dopo essere tornato giovane (se hai la ricetta passamela).
Scherzi a parte... La cosa migliore "sarebbe" poter vivere sia la giovinezza che tutto il resto della vita scegliendo gli aspetti positivi e belli sia del passato che del presente e vivere nella massima semplicità e in armonia con gli altri. Più che altro vedo che oggi ci diamo troppo da fare per complicarci e a farci complicare la vita, dando la massima importanza agli aspetti materiali (senza dubbio indispensabili).
L'argomento della tua domanda non può certo esaurirsi con una risposta secca.
Grazie per aver dedicato un po' del tuo tempo a leggere una piccola parte dei miei poveri ricordi... Ti saluto cordialmente,
Fernando D'Annunzio
Caro Fernando, due parole della tua risposta mi fanno riflettere maggiormente: "semplicità" e "armonia". Nei tuoi ricordi traspare proprio quella semplicità che è amore per le piccole cose e l'armonia di sentirsi parte di una comunità. Oggi tendiamo ad affannarci per problemi che molto spesso sono frutto di nevrosi personali e a perdere di vista quei valori che invece tu hai riportato alla luce con il tuo scritto. Ci vuole proprio la sensibilità dei poeti per ritrovare in luoghi immolati alla modernità il proprio luogo dell'anima.
Un saluto cordiale anche a te e spero di poter leggere ancora i tuoi ricordi. Per i miei c'è ancora tempo :)
Le radici, le mie radici, leggendo questi ricordi, mi rendo conto che sono prevalentemente nell'anima...
Non nego che ci sono stati momenti in cui ho invidiato coloro che hanno vissuto una vita intera o parte della loro vita in un unico posto... lo stesso posto del padre, la madre e magari dei nonni.
Però, ho imparato a tenere i ricordi legati al cuore, ricordi che ogni tanto emergono e che la mia mente sa già che nulla di ciò che c'era c'è... Per quanto da molti anni vivo nelle stesso territorio, molte cose non ci sono più... Forse questa, è una "condanna" che spetta alla maggior parte di noi figli del grande boom...
Non sarebbe male leggere un libro su questo fantastico giardino, magari un mix tra autobiografia e romanzo... :)
Sì, Vasto, via Santa Lucia ! E chi non è passato in questa via ed ha alzato la testa a guardare in silenzio la chiesa sola, diventata rudere penoso, umiliante !?
Ogni volta che passo per questa via mi fermo, niente c'è da ammirare, molto da biasimare ! Gli infissi, la porta e le mura di S. Lucia sono segnate dal tempo e più di tutto dall'incuria dei vastesi, Istituzioni civiche e anche gli abitanti, almeno quelli chiamati Lucio, Lucia, luciette.
Il quadro, che ha pennellato l'amico Fernando, invoglia ad entrare a S. Lucia e a vedere un angolo di storia, un giardino da sogno. Quasi a fogliare una bella pagina di storia di Vasto !
Niente, il vero è che passare oggi per via S. Lucia fa disonore, un po' a tutti, e molto a chi aveva ed ha il compito di custodire il patrimonio della città, quello ricco di cultura, di affetti, di valori.
A Vasto si è terribilmente bravi ad abbattere le piante maestose, non a mettere a frutto le belle risorse esistenti, ne è di esempio vergognoso -dopo S. Lucia- i Palazzi Genova Rulli, Ciccarone, Asilo Carlo Della Penna, etc etc etc.-
prof.mugoni
caro Fernando permettimi di darti del tu, io mi chiamo Michele Pierabella e sono nato e ho abitato in via Santa Lucia al n. 2. Sono un po' più vecchio di te (1941) e sono partito da Vasto nel 1955 ed abito in provincia di Milano. Non so se ho avuto occasione di conoscerti ma ricordo bene il tuo papà che vedevo passare nella via e che probabilmente conosceva il mio ( classe 1912) e che aveva abitato in zona. Di più ricordo i tuoi nonni materni ed i tuoi cugini. Ho letto il tuo articolo su Santa Lucia e credimi mi ha commosso, mi sono rivisto nella via e nella chiesa quando ero ragazzo. Per noi era un punto di riferimento e quando si andava per asparagi (sperne?) o more (mirachili?) si arrivava giocoforza fino alla chiesetta, e poi per andare agli scogli era un punto di sosta soprattutto al ritorno, e d era anche il punto di riferimento religioso. Mi hai ricordato donna Emilietta che passava nella via con il suo ombrellino tutto ornato di merletti ed era riverita e salutata da tutti.Termino ringraziandoti per i ricordi che susciti in noi e ti assicuro che ho letto alcune tue poesie e mi sono commosso. grazie Michele Pierabella
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