Le poesie in lingua di Espedito Ferrara
Ferrara e il Sindaco Prospero certame di poesia 1982 |
di Lino Spadaccini
Oltre ad essere stato un grande giornalista e commediografo,
Espedito Ferrara è stato anche un fine poeta dialettale e in lingua. Oggi ci
soffermeremo sui componenti in lingua rimandando a domani un breve
approfondimento sulle poesie in vernacolo.
La produzione poetica di Ferrara è piuttosto significativa,
ma di difficile rintracciabilità in quanto sparsa in decine di giornali e
opuscoli. Per sua stessa volontà non è mai stata pubblicata una raccolta di
poesie, pertanto, gran parte del materiale oggi risulta ancora inedito.
Probabilmente
la prima poesia pubblicata risale al 1928,
scritta all’età di vent’anni, apparsa sulle colonne de Il Vastese d’Oltre Oceano. Il titolo è Una visita al Museo Civico:
Dove non giunge l’eco
del rumore
Degli uomini, remoto al
mondo intero
E ne la solitudine de
l’ore
Ricorrenti insensibili,
il Pensiero
Ne la necropoli marmorea
sonda
Tra cippi e steli;
interroga nel mero
Vano, dei tempi ne la
notte fonda;
Scruta nel cumulo de le
memorie;
Ne la sublime apoteosi
affonda…
E tra i relitti de
l’ardue vittorie
E le vestigie eroiche
erra il Pensiero
Sognando nuovi trionfi e
nuove glorie
Ne’ conflitti col dèmone
Mistero!
Molto profonda e sincera è la poesia Proximus Tuus, apparsa sul mensile Vasto Domani. Ricordi personali, personaggi e macchiette lasciano
posto all’intimo che scaturisce dalla fede matura, che s’interroga sul
prossimo:
Se mi vedrai allegro
che diverto
me stesso e gli altri
per passare il tempo
un po’ diversamente
com’è d’uso,
ebbene, sappi, sono il
prossimo tuo.
Se mi vedrai mesto,
amareggiato
dalle contrarietà dei
nostri giorni,
e tu mi guardi a
infondermi coraggio,
di più lo sono allora
il prossimo tuo.
Se mi vedrai a terra,
abbandonato
nel fango della colpa
o dell’infamia,
e tu ti chini a
porgermi la mano
fra tanta differenza
quotidiana,
allora sono tutto il
prossimo tuo:
l’udrai da un tocco di
resurrezione,
l’udrai tu solo il
Cielo che lo suona
in quel momento di
bontà d’amore:
tu sei allora il
prossimo di Dio.
Chiudiamo con una bella poesia, pubblicata ancora sul
mensile Vasto Domani nel luglio del
1985, dal titolo Le
mie radici, dove l’autore ripercorre in versi la propria vita ricordando
tutti i suoi “maestri” e le persone che lo hanno guidato e accompagnato durante
il suo cammino. Tra parentesi sono indicati i nomi delle persone o le opportune
indicazioni date dall’autore, nell’originale riportati in calce alla
composizione:
Porto con me radici
assai profonde,
che mi alimentano di
giorno in giorno:
si chiamano “mia
madre” (Angela Marchesani), “mia
prozia” (Serafina Falcone)”
suor Ismaele e don
Vincenzo (Pomponio). Seguono
Antonucci, Raiani, poi
Tupone,
Pietro Mattioli (insegnanti) e quindi don Alfonso (Ricci),
don Romeo (Rucci), don Cesare de Titta,
la giovane docente di
francese
signorina Bottari di
San Pietro (madre del prof. Luigi Benedetti),
e don Valeri “il
professore”, in ordine
l’italo inglese
Forever, sincero
ammiratore del
Rossetti; aggiungo
don Obletter e padre
Zimarino,
Ezio Marino già del
nostro Abruzzo,
insigne un dì sul
podio della Scala
(mi piace dirlo: e il
suo centenario),
i due don Ernesto (Cianci
e Del Fra), poi don Checco (Francesco
Anelli)
don Romualdo (Pantini), don Salvatore Pepe,
araldo del Signore per
l’Italia
e fuori e, certo
ancora, tutto pepe
d’intelligente amore
al nostro Vasto.
Mi hanno condotto al
vero, al buono, al bello;
al bello sempre, dalle
fasce quando,
una Madonna passa in
processione
e si sussulta: “Guarda
quanto è bella!...”
al gesto ed alla voce
di una mamma
Si guarda la Madonna quando è bella
all’alba della vita; e
per la vita
si aspetta la bellezza
da una donna.
Sono radici queste
della terra
semplicemente, della
mia terra.
Ed oro m’inginocchio
per baciarla.
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