lunedì 19 marzo 2012

ESPEDITO FERRARA: Speciale VENTENNALE DELLA MORTE (PUNTATA 9/10)


Le poesie in lingua di Espedito Ferrara

Ferrara e il Sindaco Prospero
certame di poesia 1982 
di Lino Spadaccini
Oltre ad essere stato un grande giornalista e commediografo, Espedito Ferrara è stato anche un fine poeta dialettale e in lingua. Oggi ci soffermeremo sui componenti in lingua rimandando a domani un breve approfondimento sulle poesie in vernacolo.
La produzione poetica di Ferrara è piuttosto significativa, ma di difficile rintracciabilità in quanto sparsa in decine di giornali e opuscoli. Per sua stessa volontà non è mai stata pubblicata una raccolta di poesie, pertanto, gran parte del materiale oggi risulta ancora inedito.
Probabilmente
la prima poesia pubblicata risale al 1928, scritta all’età di vent’anni, apparsa sulle colonne de Il Vastese d’Oltre Oceano. Il titolo è Una visita al Museo Civico:

Dove non giunge l’eco del rumore
Degli uomini, remoto al mondo intero
E ne la solitudine de l’ore

Ricorrenti insensibili, il Pensiero
Ne la necropoli marmorea sonda
Tra cippi e steli; interroga nel mero

Vano, dei tempi ne la notte fonda;
Scruta nel cumulo de le memorie;
Ne la sublime apoteosi affonda…

E tra i relitti de l’ardue vittorie
E le vestigie eroiche erra il Pensiero
Sognando nuovi trionfi e nuove glorie
Ne’ conflitti col dèmone Mistero!

Molto profonda e sincera è la poesia Proximus Tuus, apparsa sul mensile Vasto Domani. Ricordi personali, personaggi e macchiette lasciano posto all’intimo che scaturisce dalla fede matura, che s’interroga sul prossimo:
Se mi vedrai allegro che diverto
me stesso e gli altri per passare il tempo
un po’ diversamente com’è d’uso,
ebbene, sappi, sono il prossimo tuo.

Se mi vedrai mesto, amareggiato
dalle contrarietà dei nostri giorni,
e tu mi guardi a infondermi coraggio,
di più lo sono allora il prossimo tuo.

Se mi vedrai a terra, abbandonato
nel fango della colpa o dell’infamia,
e tu ti chini a porgermi la mano
fra tanta differenza quotidiana,

allora sono tutto il prossimo tuo:
l’udrai da un tocco di resurrezione,
l’udrai tu solo il Cielo che lo suona
in quel momento di bontà d’amore:
tu sei allora il prossimo di Dio.

Chiudiamo con una bella poesia, pubblicata ancora sul mensile Vasto Domani nel luglio del 1985, dal titolo Le mie radici, dove l’autore ripercorre in versi la propria vita ricordando tutti i suoi “maestri” e le persone che lo hanno guidato e accompagnato durante il suo cammino. Tra parentesi sono indicati i nomi delle persone o le opportune indicazioni date dall’autore, nell’originale riportati in calce alla composizione:

Porto con me radici assai profonde,
che mi alimentano di giorno in giorno:
si chiamano “mia madre” (Angela Marchesani), “mia prozia” (Serafina Falcone)
suor Ismaele e don Vincenzo (Pomponio). Seguono
Antonucci, Raiani, poi Tupone,
Pietro Mattioli (insegnanti) e quindi don Alfonso (Ricci),
don Romeo (Rucci), don Cesare de Titta,
la giovane docente di francese
signorina Bottari di San Pietro (madre del prof. Luigi Benedetti),
e don Valeri “il professore”, in ordine
l’italo inglese Forever, sincero
ammiratore del Rossetti; aggiungo
don Obletter e padre Zimarino,
Ezio Marino già del nostro Abruzzo,
insigne un dì sul podio della Scala
(mi piace dirlo: e il suo centenario),
i due don Ernesto (Cianci e Del Fra), poi don Checco (Francesco Anelli)
don Romualdo (Pantini), don Salvatore Pepe,
araldo del Signore per l’Italia
e fuori e, certo ancora, tutto pepe
d’intelligente amore al nostro Vasto.
Mi hanno condotto al vero, al buono, al bello;
al bello sempre, dalle fasce quando,
una Madonna passa in processione
e si sussulta: “Guarda quanto è bella!...”
al gesto ed alla voce di una mamma
Si guarda la Madonna quando è bella
all’alba della vita; e per la vita
si aspetta la bellezza da una donna.
Sono radici queste della terra
semplicemente, della mia terra.
Ed oro m’inginocchio per baciarla.


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